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Acque reflue in UE: migliora il trattamento ma persistono disomogeneità

Dai profili dei Paesi sulla conformità della Direttiva sulle acque reflue, pubblicati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, emerge che la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane ha un tasso di conformità di circa l’80%, ma in 5 Paesi rimane al di sotto del 50% e in Italia è del 56%.

La raccolta e il trattamento delle acque reflue sono fondamentali per ridurre le pressioni e i rischi per la salute umana e per l’ambiente, in particolare per fiumi, laghi e acque costiere.

A ribadirlo è l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) che in occasione del World Toilet Day ha pubblicato i dati dei 27 Paesi membri dell’UE e di Islanda e Norvegia, da cui emerge che nell’UE circa il 90% delle acque reflue urbane viene raccolto e trattato in conformità con gli standard della Direttiva 91/271/CEE (UWWTD) e che è in continuo miglioramento, come risulta dai Profili dei singoli Paesi.

I Profili dei Paesi, pubblicati sulla piattaforma WISE Freshwater che si sta sviluppandoche si sta sviluppando in un punto di accesso unico per accedere a dati e informazioni sullo stato ambientale e sulle valutazioni delle politiche dell’acqua dolce europea, contengono mappe interattive con gli impianti di trattamento delle acque reflue in tutta Europa. Ciascun profilo mostra anche i dati sui progressi di ogni Paese verso gli obiettivi di trattamento delle acque reflue, la protezione dei sistemi idrici sensibili, l’uso dei fanghi delle acque reflue e le emissioni di gas serra dal settore.

L’AEA sottolinea che le acque reflue urbane devono essere trattate adeguatamente perché possono contenere batteri, virus, azoto, fosforo e altri inquinanti che possono rappresentare un rischio per l’ambiente e la salute umana.

Nel corso della pandemia, il settore delle acque reflue sta svolgendo un ruolo essenziale nella protezione della salute umana e dell’ambiente, essendo stato dimostrato che il nuovo coronavirus è presente nelle acque, ma non è più contagioso quando queste vengono adeguatamente trattate negli impianti di depurazione. Il monitoraggio della presenza del Covid-19 nelle acque reflue può anche aiutare a identificare le aree contaminate.

Oggi, quando ricordiamo a noi stessi che il 32% della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi igienico-sanitari di base e solo il 39% delle persone nel mondo ha accesso a servizi igienico-sanitari gestiti in modo sicuro, possiamo essere veramente soddisfatti e orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato in Europa – ha dichiarato Virginijus Sinkevičius, Commissario UE per l’Ambiente, la pesca e gli oceani – Grazie ai successi della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane e ai massicci investimenti e sforzi delle autorità nazionali, gli europei ora godono non solo di servizi igienico-sanitari sicuri e funzionanti, ma anche di laghi e fiumi più puliti. Tuttavia, permangono differenze tra i Paesi, e per realizzare l’ambizione del Green Deal europeo e del Piano d’azione per l’inquinamento zero sono necessarie nuove risposte. Ecco perché l’anno prossimo cercheremo di migliorare le regole dell’UE”.

La Direttiva infatti, sarà sottoposta a revisione nel 2022, per tener conto dopo 30 anni delle nuove sfide emerse e renderla adeguata ai prossimi decenni. A tal fine, la Commissione UE ha avviato una pubblica Consultazione che si è conclusa lo scorso luglio.

L’importanza di avere un settore idrico dell’UE forte, sostenibile ed efficiente dal punto di vista energetico e di garantire la sua sostenibilità finanziaria a lungo termine deve essere riconosciuta quando si valutano le opzioni per migliorare la Direttiva.

Le aree di miglioramento individuate includono:
– l’inquinamento proveniente da piccoli agglomerati che attualmente non sono coperti nella stessa misura dalla Direttiva o da sistemi di trattamento delle acque reflue su piccola scala o individuali o da tracimazioni di acqua piovana e ruscellamento urbano;
microinquinanti provenienti dalle acque reflue, ad esempio l’inquinamento delle acque superficiali da parte di tutti i tipi di microinquinanti, compresi i residui farmaceutici o i residui di prodotti per la cura personale;
– l’allineamento della Direttiva alle nuove ambizioni riguardanti l’uso efficiente dell’energia, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e l’economia circolare, in particolare per quanto riguarda la gestione dei fanghi di depurazione;
– la parte relativa alla governance, in particolare per quanto riguarda la trasparenza, l’accesso alla giustizia, l’accessibilità economica e l’accesso ai servizi igienico-sanitari.

Sulla base dei profili, l’AEA evidenzia che 4 Paesi (Austria, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) trattano il 100% delle loro acque reflue urbane in conformità con i requisiti della Direttiva, mentre altri 10 Paesi hanno raggiunto un tasso di conformità superiore al 90%. All’altra estremità della scala ci sono 5 Paesi (Irlanda, Bulgaria, Romania, Ungheria e Malta) che rispettano gli standard in meno della metà delle loro aree urbane, ma l’Italia è appena sopra con il 56% delle acque reflue trattate.

Dal profilo dell’Italia emerge che il nostro Paese non ha raggiunto gli obiettivi per la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane stabiliti dalla Direttiva e sono necessari ulteriori sforzi per:
– raccogliere ulteriori 0,57 milioni di abitante equivalente (ae: il carico di una particolare utenza civile o industriale dell’impianto di depurazione, in termini omogenei e confrontabili con le utenze civili) di acque reflue urbane (0,7%);
– trattare biologicamente ulteriori 9,15 milioni di ae di acque reflue urbane (12,2%);
– rimuovere azoto e/o fosforo per ulteriori 2,24 milioni di ae di acque reflue urbane (6,3%).

Tra gli altri problemi che emergono dal profilo dell’Italia c’è quello dello smaltimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue:
L’Italia nel 2018 ne ha prodotte oltre 387.289 tonnellate, di cui:
– il 23,9 % è stato riutilizzato in agricoltura;
– il 31,5 % è stato riutilizzato per altri usi;
– l’’11,4 % è stato messo in discarica;
– il 12,7 % è stato incenerito;
– il 20,5 % è stato smaltito in altro modo.

Viene sottolineato, inoltre, che per l’Italia “non sono disponibili informazioni sul riutilizzo delle acque reflue trattate” e che “investe attualmente 16 euro per cittadino all’anno per nuove infrastrutture di raccolta e trattamento, nonché per il rinnovo di infrastrutture obsolete. Questo è al di sotto della media Ue di 41 euro per cittadino ogni anno”.

Le aree sensibili e i relativi bacini di utenza che abbisognano di un trattamento più rigoroso di quello secondario, ovvero rimozione dell’azoto e/o del fosforo sono:
– 77 aree in cui è necessaria la rimozione di azoto e fosforo per evitare l’eutrofizzazione;
– 4 aree in cui è necessaria la rimozione del fosforo per evitare l’eutrofizzazione;
– 2 aree in cui sono necessarie la rimozione dell’azoto e la disinfezione;
– 3 aree in cui sono necessarie la rimozione e la disinfezione di azoto e fosforo;
– 4 aree in cui è necessaria la disinfezione.

Il nostro Paese “deve applicare un trattamento più rigoroso in modo da eliminare almeno il 75% dell’azoto totale e il 75% minimo del fosforo totale”. In particolare, non è conforme alla Direttiva il “Bacino Distretto Padano” che comprende 7.265 impianti di trattamento con una capacità progettuale di circa 29.896.000 ae, dove non sono state raggiunte le prestazioni minime per la riduzione dell’azoto che è stata del 68%.

Immagine di copertina: Foto © Ivan Bandura su Unsplash

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