Due studi condotti su modelli similari confermano i notevoli vantaggi ambientali di una transizione ad un’economia circolare, mentre sono contraddittori i risultati sugli impatti relativi ai posti di lavoro.
L’attuale momento storico va indirizzandosi verso la transizione ad un modello economico circolare che promuove la progettazione di beni durevoli ed efficienti sotto il profilo delle risorse, che possono essere riparati, riutilizzati e riciclati.I materiali riciclabili e riciclati sono sempre più integrati nei nuovi prodotti come, ad esempio, nel settore automobilistico, e sempre più aziende offrono prodotti a noleggio o servizi in condivisione (imprese di stampanti che vendono servizi di stampa anziché le stesse stampanti).
Un’economia circolare determina grandi cambiamenti nella produzione e nel consumo di prodotti che incidono non solo sull’economia, ma hanno un notevole peso in termini ambientali, soprattutto se si vogliono approntare soluzioni in grado di affrontare la crisi climatica.
Un recente Rapporto della Ellen MacArthur Foundation ha calcolato che allungando la vita dei materiali utilizzati in 5 aree chiave (acciaio, plastica, alluminio, cementoecibo) si ridurrebbero le emissioni di gas serra di 20,3 miliardi di tonnellate al 2050, pari alle attuali emissioni di tutte le forme di trasporto a livello globale.
Sono ancora molte le barriere comportamentali e politiche da superare prima che un’economia circolare possa essere pienamente realizzata. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) nel suo ultimo Rapporto per fare il punto sulle iniziativeintraprese per implementare un’economia circolare che preservi le risorse naturali e riduca al minimo le emissioni e i rifiuti dannosi, ha osservato che cultura aziendale, fattori di mercato e complessità del sistema ne stanno limitando la diffusione.
Sempre più ricerche e studi cercano di esplorare le opportunità legate a questo sistema economico e ai suoi impatti sulla crescita economica e sui posti di lavoro che potrebbero essere creati.
Lo scorso anno lo Studio “Global Circular Economy Scenario in a Multiregional Input-Output Framework”, condotto da ricercatori norvegesi e svizzeri e pubblicato su Environmental Science & Technology, ha trovato che un’economia più circolare potrebbe ridurre i livelli di estrazione globale di materia prima del 10% entro il 2030. Inoltre, potrebbero aumentare i livelli occupazionali in lavori altamente qualificati nel settore dei servizi, mentre si ridurrebbero i posti di lavoro con competenze medio-basse nei settori minerario e manifatturiero.
I ricercatori hanno previsto i potenziali impatti sull’estrazione di materiali e sull’occupazione di 200 categorie di prodotti da 163 settori industriali per l’anno 2030, utilizzando il modello EXIOBASE, un database globale di analisi multiregionale input-output (MRIO) di 43 Paesi che rappresentano il 95% del PIL globale per tracciare gli impatti economici e ambientali lungo ogni fase della catena di approvvigionamento di un prodotto. Vi sono inclusi gli indicatori per i requisiti materiali e occupazionali distinti tra maschi e femmine, alta, media e bassa specializzazione.
Le risultanze dello Studio sulla futura economia circolare possono sintetizzarsi in 3 punti.
– La quota di mercato delle industrie secondarie (materiale riciclato) in ogni Paese salirebbe al 65% entro il 2030, con una corrispondente riduzione delle industrie primarie (materiale grezzo) del 35%. Questa statistica rispecchia la situazione attuale, dove le industrie delle materie prime, come quelle dei minerali metallici, hanno una quota media di circa il 65%:
– I beni saranno progettati e fabbricati per essere più durevoli, al fine di ridurre la quantità complessiva di materiali consumati attraverso la sostituzione del prodotto. Come tale, ci sarà un aumento annuale dell’1% dell’efficienza dei materiali su tutti i gruppi di prodotti.
– Ci sarà più riparazione, riutilizzo e condivisione di beni, con un ampliamento del settore dei servizi e un contestuale calo dell’1% annuo della domanda di macchinari.
I ricercatori descrivono questo scenario come un “estremo stilizzato“, suggerendo che serve per fornire una prima visione di alcune delle possibili implicazioni di un’economia circolare.
Dalle loro analisi, i ricercatori evidenziano che verrebbe estratto circa il 10% in meno di materia prima entro il 2030, rispetto ai livelli in uno scenario business-as-usual (BAU) per lo stesso anno. Le cifre variano in base al materiale, ad esempio viene prevista una riduzione del 27% nell’estrazione di metalli, dell’8% di prodotti forestali e del 7% di minerali non metallici.
Nella maggior parte dei Paesi, lo scenario presentato nello studio promuoverebbe l’occupazione e il modello mostra un lieve aumento dei livelli occupazionali complessivi di circa il 3% rispetto allo scenario BAU. Tuttavia, i risultati rivelano grandi cambiamenti nei modelli dei futuri lavori, con i posti di lavoro in contrazione nell’estrazione dei minerali e nel settore manifatturiero e in crescita nelle attività di servizi, come quelli di riparazione e noleggio.
Di questo spostamento di attività beneficeranno soprattutto le donne che hanno maggiori probabilità di assumere ruoli nel settore dei servizi di livello medio-alto. Il calo coinvolgerebbe i lavoratori maschi occupati in attività di media-bassa qualificazione, in particolare nelle economie asiatiche dove ricoprono ruoli di bassa qualificazione nel settore manifatturiero.
Le conclusioni indicano che sarà necessario riqualificare i lavoratori per far fronte alle sfide che porrà l’economia circolare, tuttavia lo studio aiuta a individuare alcuni dei potenziali benefici di un’economia circolare, ma anche gli impatti e costi. Per risultati più precisi, i ricercatori sottolineano che sono necessari dati più precisi, così come una migliore comprensione dello sviluppo economico nel Sud del mondo, dove vengono estratte quantità significative di materiali.
Un nuovo Studio “Modeling the circular economy in environmentally extended input-output tables: Methods, software and case study”, è stato appena pubblicato sul numero di gennaio 2020 di Resources, Conservation and Recycling e condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze Ambientali del Dipartimento di Ecologia Industriale dell’Università di Leida e finanziato dall’UE nell’ambito di EIT RawMaterials, progetto il cui obiettivo è di aumentare la competitività, la crescita e l’attrattività del settore delle materie prime europee attraverso un’innovazione radicale e un’imprenditorialità assistita, ottenuta grazie alla condivisione di informazioni e competenze.
Utilizzando un pacchetto in linguaggio python per modellare scenari complessi di economia circolare (Pycirk), e i dati di EXIOBASE, ma a livello biregionale (UE e Resto del Mondo), i ricercatori hanno evidenziato che in termini di riduzione di estrazione dei materiali i risultati sono ancora migliori (-12,5%), come pure c’è una minor uso di suolo (-4,2%) e un prelievo di acqua blu decisamente inferiore (-14,6%) ma relativamente ai posti di lavoro vi sarebbe una contrazione del 5,3%, anche se non sono stati inclusi, come sottolineano gli stessi ricercatori, gli incentivi (sussidi o variazioni fiscali), gli investimenti e le variazioni dei prezzi.
Secondo gli autori, ulteriori studi dovrebbero fornire approfondimenti sugli effetti dell’economia circolare su altri aspetti, categorie di prodotti e relativi stock in tutte le regioni, nonché di integrare maggiormente gli studi economici e dei materiali per far emergere le pressioni indirette generate dalla produzione dei beni importati.