Dal Dossier dell’ANCE, aggiornato al 7 settembre 2017, si evidenzia che i Piani paesaggistici regionali che, secondo le indicazioni del Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici avrebbero dovuto essere obbligatori entro il 2009, sono stati approvati solo da quattro Regioni ed altre due li hanno adottati, ma non ancora approvati. Evidentemente, incidendo prescrittivamente sui Piani urbanistici, le Regioni ne intravedono un limite alle loro prerogative pianificatorie, come dimostra peraltro l’incagliamento in Senato, dopo la sua approvazione alla Camera, della Legge sul consumo di suolo, sulla quale le Regioni avevano manifestato la propria contrarietà.
Dopo le tradizioni gastronomiche, di certo il paesaggio è l’elemento connotativo più forte del Bel Paese nell’immaginario internazionale.
Per tutelarlo e sottrarlo alla voracità del mercato, nonostante l’Italia fosse stato il primo Stato al mondo a considerare nella propria Costituzione la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio (Art. 9), si riuscì, anche grazie alla spinta della precedente adozione nel 2000 della Convenzione Europea del Paesaggio, ad approvare il “Codice Urbani“, dove il paesaggio viene definito il “territorio espressivo di identità il cui carattere deriva dall’azione di caratteri naturali, umani e dalle loro interrelazioni” (art. 131).
Seppure attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, la tutela del paesaggio vede le Regioni assumere il ruolo di attori primari sia sotto il profilo normativo che amministrativo.
L’art. 135 del D.lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e ambientali“, così come modificato dall’Art. 5 comma 1 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e dall’Art. 2, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63, attribuisce infatti alle Regioni l’approvazione di Piani paesaggistici ovvero di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, da elaborare congiuntamente con il MIBACT, che:
– riguardano l’intero territorio regionale;
– non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico;
– sono cogenti per gli strumenti urbanistici e territoriali;
– sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici e nei piani di settore compresi quelli delle aree naturali protette;
– stabiliscono norme di salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici (artt. 143 e 145).
Chi temeva che la complessiva labilità della pianificazione paesaggistica prevista dal Codice potesse vanificarne gli intenti, leggendo il dossier “Pianificazione paesaggistica: quadro regionale“, diffuso dall’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) che dà conto dello stato di attuazione della pianificazione paesaggistica a livello regionale, ne trova conferma.
Al 7 settembre 2017, data di aggiornamento del Dossier, solo Sardegna, Toscana, Puglia e Calabria hanno approvato il Piano paesaggistico secondo le indicazioni del Dlgs 42/2004 (doveva essere obbligatorio entro il 31 dicembre 2009), mentre Lazio e Piemonte lo hanno adottato, ma non è stato ancora approvato.
Tuttavia, osserviamo che anche dove è stato approvato, come in Sardegna, la prima regione ad essersi dotata di tale strumento (2006), si tenti di proporne adeguamenti che di fatto costituiscono delle deroghe al Piano, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale intervenuta nuovamente al riguardo abbia riaffermato che “si deve escludere, proprio in ragione del principio della prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici (sentenza n. 11 del 2016), che il piano paesaggistico regionale sia derogabile” (Sentenza n. 189 del 14 giugno 2016).
Emblematico è anche il caso della Regione Campania che non ha un Piano paesaggistico ed ha approvato la Legge n. 19 del 22 giugno 2017, recante “Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio” che è stata impugnata dal Governo per violazione dell’Art. 117 della Costituzione, che riserva la competenza statale in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali“, confermando una certa insofferenza delle Regioni per dei “paletti” alla loro potestà legislativa.
I motivi sono abbastanza intuibili dal momento che i Piani paesaggistici incidono in maniera molto forte sui piani urbanistici e molte Regioni intravedono in questo strumento un limite alle loro prerogative, ovvero parafrasando,un impedimento a continuare a pianificare la cementificazione del territorio, visto che la Pianificazione paesaggistica prescrive e prevede la “salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio” (Art, 135, comma 4, lettera C).
A riprova di ciò ci sono le difficoltà che incontra l’approvazione definitiva della Legge sul consumo del suolo, sulla quale le Regioni non hanno nascosto la loro contrarietà, considerandola invasiva rispetto ai poteri, inopinatamente introdotti con la riforma del Titolo V della Costituzione, con il rischio di veder compromessi i grossi interessi di progetti urbanistici ed edilizi che si davano per scontati. Nonostante sia già stata approvata lo scorso anno dalla Camera dei Deputati a 5 anni dalla presentazione del testo originario, attualmente la Legge è ferma al Senato e non sembra esservi alcuna volontà di approvarla definitivamente entro la fine della legislatura (febbraio 2018).
C’è da dire che anche i Governi che si sono succeduti in questi anni non hanno ottemperato a quanto previsto dall’art.145, c.1 del Codice per “la individuazione da parte del Ministero delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio con finalità di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali“.
Tralasciando gli impatti dei cambiamenti climatici su un territorio già fragile, qual è quello italiano, e compromesso dalla cementificazione che non si è arrestata in questi anni nonostante la crisi economica, come ha confermato l’ultimo Rapporto dell’ISPRA, che purtroppo si ripropongono ad ogni inizio di autunno, è stata l’Agenzia Europea dell’Ambiente a sottolineare nei giorni scorsi con la pubblicazione del Rapporto “Paesaggi in transizione: un resoconto di 25 anni di cambiamento di copertura del suolo in Europa” ad ammonire che se non si vuole rischiare di compromettere irrimediabilmente il paesaggio storico europeo c’è bisogno di una revisione nelle modalità di politiche di gestione territorio per favorirne un uso più responsabile.
La situazione non sembra cambiata, forse è peggiorata, da quando il primo Rapporto del 2010 di Italia Nostra sulla pianificazione paesaggistica, che analizzava le inadempienze statali e regionali in materia, aveva per titolo “Paesaggio: la tutela negata“.
Immagine di copertina: fonte Rivista S.S.E.F. (Carpentieri)
Eleonora Giovannini