Prende il via il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile, proclamato nel 2017 dall’ONU e coordinato dalla Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC) dell’UNESCO, la cui cui missione è: “La scienza di cui abbiamo bisogno per l’oceano che vogliamo!”.
L’Assemblea delle Nazioni Unite ha proclamato il 6 dicembre 2017 il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile (2021-2030) con l’obiettivo primario di sostenere i Paesi nel raggiungimento dell’Obiettivo 14 (Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile) dell’Agenda 2030, demandandone il coordinamento alla Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC) dell’UNESCO.
Oggi, gli oceani della Terra hanno una triste storia da raccontare, sopportando il peso delle attività insostenibili dell’umanità, che si manifestano attraverso indicatori come l’acidificazione, l’aumento delle temperature, la diminuzione dell’ossigeno, lo sbiancamento della barriera corallina, l‘accumulo di rifiuti di plastica e il declino generale della biodiversità.
Il “Rapporto speciale dell’IPCC sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia” (SROCC) , pubblicato nell’autunno del 2019 sui cambiamenti osservati negli oceani sotto la spinta dei cambiamenti climatici, e sui rischi che ne derivano per l’umanità, ha anche fornito le prove dei benefici ottenibili dalla riduzione degli impatti di origine antropica, consentendo nel contempo agli oceani maggior resilienza, e la necessità di approfondire le conoscenze scientifiche e il grado di consapevolezza degli individui.
“All’inizio del terzo millennio, l’oceanografia ha la capacità di identificare problemi e offrire soluzioni, a condizione che smettiamo di trascurare il suo contributo – ha affermato Audrey Azoulay, Direttrice generale dell’UNESCO – Mentre il mondo cerca di adattarsi ad una nuova normalità dopo l’emergenza del coronavirus, le scienze oceaniche giocheranno un ruolo importante negli sforzi di recupero post-pandemia”.
Conoscere gli oceani è la chiave per risolvere molti problemi che l’umanità deve affrontare, come la scarsità di cibo, lo sviluppo sociale, la povertà, i cambiamenti climatici e la sicurezza energetica.
Nonostante tutta la tecnologia a disposizione, “abbiamo mappe della superficie di Marte e della Luna migliori di quelle dei fondali oceanici – ha affermato Gene Feldman, Oceanografo della NASA – Sappiamo molto poco della maggior parte dell’oceano, soprattutto delle aree centrali e più profonde lontane dalle coste”.
La missione del Decennio è “La scienza di cui abbiamo bisogno per l’oceano che vogliamo!” ovvero di generare e utilizzare la conoscenza per la trasformazione necessaria per avere un oceano sano, sicuro e resiliente per lo sviluppo sostenibile entro il 2030 e oltre:
– un oceano pulito dove vengano identificate e rimosse le fonti di inquinamento;
-un oceano sano e resiliente dove gli ecosistemi marini siano mappati e protetti;
– un oceano prevedibile di cui la società abbia la capacità di comprendere le condizioni oceaniche presenti e future:
– un oceano sicuro dove le persone siano protette dai suoi pericoli;
– un oceano produttivo e coltivabile in modo sostenibile che garantisca la fornitura di cibo e mezzi di sussistenza stabili;
– un oceano trasparente e accessibile con accesso aperto a dati, informazioni e tecnologie.
Mentre molti Paesi beneficiano di infrastrutture scientifiche, tecnologie e capacità umane sofisticate e all’avanguardia per la scienza e l’innovazione, esistono tuttavia grandi disparità nella capacità in tutto il mondo di intraprendere la ricerca scientifica marina, come ha rilevato il il Global Ocean Science Report (GOSR2020), che la IOC ha pubblicato il 14 dicembre 2020 in occasione del 60° Anniversario della sua costituzione e che raccoglie i dati da tutto il mondo sui come, dove e da chi viene condotta la scienza oceanica.
Il GOSR è il compendio sullo stato e le tendenze delle scienze oceaniche e sulle possibili strade da seguire per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, secondo il target 7.a dell’Obiettivo 14: “Aumentare le conoscenze scientifiche, sviluppare la capacità di ricerca e di trasferimento di tecnologia marina, tenendo conto dei criteri e delle linee guida della Commissione Oceanografica Intergovernativa sul trasferimento di tecnologia marina, al fine di migliorare la salute degli oceani e migliorare il contributo della biodiversità marina per lo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo, in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati”.
Per la IOC, la mancanza di fondi sta ostacolando lo sviluppo e l’implementazione della ricerca marina e delle sue preziose applicazioni. In media, gli Stati dedicano solo l’1,7% dei loro budget di ricerca alle scienze dell’oceano, molto meno di quanto spendono in altri importanti campi scientifici. Questo non è accettabile, considerando il ruolo fondamentale dell’oceano nella regolazione del clima e della sua ricca biodiversità.
Inoltre, le scoperte in oceanografia alimentano quasi tutti i settori dell’economia e della società con applicazioni in medicina, nella conservazione della biodiversità e nello sviluppo di nuovi processi industriali. Le applicazioni per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici rappresentano la maggior parte delle tecnologie oceanografiche brevettate.
Il numero di pubblicazioni di scienze oceaniche è in aumento in Asia e, in misura minore, in Nord America ed Europa. I Paesi più avanzati sono Cina, Giappone e Repubblica di Corea. Nonostante la sottoscrizione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che prevedono, tra l’altro, il controllo dello sfruttamento delle risorse oceaniche entro il 2030, solo pochi Paesi hanno definito strategie per raggiungere questo obiettivo.
I budget per le scienze oceaniche variano notevolmente da Paese a Paese e nel tempo. Ad esempio, tra il 2013 e il 2017, 14 paesi hanno aumentato il proprio budget medio, con la Federazione Russa che ha registrato la crescita annuale più elevata (oltre il 10%), seguita da Regno Unito e Bulgaria, mentre 9 Paesi hanno ridotto la spesa, in alcuni casi in modo significativo, come in Italia.
Il Rapporto evidenzia un aumento della collaborazione internazionale tra oceanografi e chiedendo il rafforzamento dei partenariati Sud-Sud e Nord-Sud. L’innovazione, integrata dal trasferimento di tecnologia, deve svolgere un ruolo fondamentale nell’aiutare gli Stati in via di sviluppo a ottenere uno sfruttamento sostenibile delle risorse marine e ittiche.
In termini di risorse umane, il Rapporto evidenzia anche la necessità cruciale di formazione nei vari settori della gestione degli oceani, e rileva, inoltre, la sotto-rappresentanza delle donne che costituiscono il 39% di tutti gli oceanografi, seppur in aumento del 6% rispetto al primo Rapporto (2017), con grandi disparità tra i Paesi, ad esempio, le donne rappresentano il 63% dei ricercatori oceanografici in Croazia, rispetto a solo il 12% in Giappone.
“La oceanografia cerca di migliorare la nostra comprensione e conoscenza dell’oceano e dei suoi processi, per affrontare i cambiamenti climatici e i fattori di stress – ha sottolineato la Azoulay – La scienza oceanica non attiene solo alla protezione dell’oceano, ma anche alla protezione del nostro Pianeta e del nostro futuro”.