Cambiamenti climatici Edilizia e urbanistica

PNACC: INU segnala criticità e pianificazione che non c’è

Con una nota stampa l’Istituto Nazionale di Statistica riporta le osservazioni aggiuntive, dopo le precedenti del 2022, al testo finale del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) formulate dal suo membro Prof. Simone Ombuen, secondo il quale la struttura del Piano è insufficiente, non individua azioni concrete e la parte attuativa rinvia alle Regioni senza dare linee guida convincenti.

La recente approvazione con Decreto (GU. n. 42 del 20 febbraio 2024) del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), non risolve, secondo una nota stampa dell’INU, le esigenze di programmazione in un ambito sempre più centrale e strategico per la qualità della vita e la sicurezza nei territori del nostro Paese.

L’adozione da parte della Commissione UE nel febbraio 2021della nuova Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici che definiva un nuovo approccio per la definizione dei Piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici, aveva indotto a tirar fuori dai cassetti ministeriali il Piano italiano che, dopo la prima stesura effettuata dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e la Consultazione avviata nel 2017 per la “elaborazione della versione finale”, se ne erano perse le tracce, nonostante fosse stato indicato dal Ministro dell’Ambiente dell’epoca “strumento strategico irrinunciabile per un Paese come l’Italia che vive ogni giorno gli effetti dei mutamenti climatici”.

Riavviato quindi l’iter procedurale di adozione e una nuova consultazione sulla proposta di Piano, il Professore di Architettura presso l’Università Roma Tre e membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), Simone Ombuen aveva formulato nell’ottobre 2022 delle osservazioni in cui sottolineava i vulnus e le mancanze con cui il Documento prendeva forma.

Tra gli altri, anche l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) aveva avanzato in un Policy brief concrete raccomandazioni per migliorane l’efficacia e adottare misure adeguate di prevenzione e di risposta agli effetti dei cambiamenti climatici in atto.

Tuttavia, la redazione finale del Piano non sembra avere risolto le criticità evidenziate, tant’è che Ombuen vi è tornato per evidenziare altri rilevanti effetti che esso avrà sulla pianificazione territoriale in generale e su quella settoriale: “Il Piano approvato non tiene conto delle osservazioni, nemmeno di quelle avanzate dalle Regioni, che hanno in modo competente eccepito sulla sua struttura, in molti punti – ha osservato Ombuen – Questo sebbene le osservazioni siano contenute nella sintesi della VAS, quindi nel documento stesso”.

Si intravede quindi un certo disordine, che discende da un’errata impostazione della procedura di redazione e valutazione del piano.
La VAS è stata fatta nella fase preliminare, salvo doverla ripetere in seguito, ma a quel punto senza reiterare le modalità di partecipazione – ha spiegato Ombuen – Mancava poi, di fatto, un identificabile gruppo di lavoro incaricato della redazione”.

Ma soprattutto, per l’esponente dell’INU, è “la struttura del Piano ad essere insufficiente. Non individua azioni concrete, elenca azioni possibili in un database di 370 voci che sono solo titoli. La parte attuativa è rinviata a una fase successiva con la costituzione di osservatori regionali, un nome curioso visto che avrebbero potere dispositivo, ma non inseriti in un quadro di governance. Si dice che il piano impatterà sul sistema di pianificazione, ma allo stesso tempo si rinvia alle Regioni senza dare linee guida convincenti, tanto che in fase di recepimento esse si sentirebbero autorizzate a fare ciascuna quel che crede. La componente nazionale viene interpretata in modo riduttivo, essenzialmente limitandola a un quadro analitico – ricognitivo”.

Un evidente punto debole, ha proseguito Ombuen, sta poi nei dati: “Il Piano è del 2023 ma si poggia su un’analisi di coerenza esterna che è del 2015, benché le Regioni abbiano denunciato che non tenga conto dell’esistenza, ad esempio, del PNRR. È paradossale che non vi compaiano gli strumenti operativi in corso, alcuni dei quali già individuano obiettivi ed azioni di adattamento climatico”.

Messe in fila queste gravi criticità, va comunque riconosciuto che “è un bene che vi sia ora un piano per il clima, ma serve subito un cantiere per la sua ridefinizione. Occorrerebbe una iniziativa ambiziosa sulla materia ‘governo del territorio’, oggi ancora orfana della pur necessaria legge di principi, ed ancora affidata a una legge, la L. 1150/1942, scritta prima della Costituzione repubblicana. Servirebbe un quadro che certifichi l’esistenza di tale materia e da cui trarre le esigenze di pianificazione, che non potrebbe che risultare da un’iniziativa dello Stato. Se non si compie questo passo è inevitabile che quando si deve passare all’attuazione il piano rinvia alle Regioni, le uniche che fanno manutenzione del sistema di pianificazione; ma così si aumenta l’effetto di dispersione, si allarga la divaricazione nei loro profili operativi. Una legge quadro sul governo del territorio, la cui proposta è stata giustamente avanzata dall’INU, sarebbe un passo essenziale. Ecco quindi che il problema a monte è sempre quello che abbiamo segnalato più volte, la scarsa considerazione che si ha della necessità della pianificazione, un’attitudine che nasce da lontano ed è purtroppo molto radicata. Basti pensare ai grandi investimenti infrastrutturali contenuti nel PNRR, la cui programmazione è stata di fatto appaltata alle decisioni delle grandi aziende pubbliche, salvo poi operare modifiche su opere vistose per esibire poteri deliberativi”.

Interventi più limitati sul PNACC, tuttavia migliorativi, sono comunque possibili, secondo Ombuen che avanza un esempio: “Si potrebbero utilizzare i piani stralcio delle autorità di bacino, aggiornati di recente e sovraordinati rispetto alla pianificazione comunale, per impostare varianti obbligatorie ai piani urbanistici non adeguati, recependo così gli obiettivi e i programmi di prevenzione e di contenimento del rischio idrogeologico. Sarebbe un intervento in ogni caso riduttivo visto che il tema dell’adattamento climatico tocca molti altri tipi di rischio oltre quelli idrogeologici – come ad esempio le isole di calore urbano – che interessano l’intero territorio dei Comuni, non solo le aree esondabili o alluvionabili. Sarebbe un miglioramento dell’operatività e dell’efficacia del Piano nazionale di adattamento, ma dal mio punto di vista anche un’occasione persa. Perché la rapidità e la gravità del cambiamento climatico in atto chiederebbe di agire più in profondità attraverso una coerente pianificazione, capace di operare sia sui principali contenuti generali che sulla gerarchizzazione delle priorità, che sono diverse per ogni specifico territorio”.

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