Una ricerca condotta da un pool di scienziati di varie Università europee e statunitensi rivela le origini evolutive della sclerosi multipla (SM), aprendo alla comprensione dell’architettura genetica di questa malattia e delle sue cause, con implicazioni per il suo trattamento e per ulteriori indagini su altre malattie.
Il rischio genetico di sviluppare la sclerosi multipla deriva da antiche varianti genetiche che probabilmente proteggevano i pastori di pecore e bovini dell’Est Europa dalle malattie infettive nei loro animali domestici.
È la conclusione a cui è giunto un team di scienziati di varie Università europee e statunitensi, che negli ultimi 5 anni ha raccolto e analizzato i resti del DNA di quasi 5.000 esseri umani che vivevano in tutta Europa e in Asia, in uno sforzo che è stato definito la più grande banca genetica umana antica mai messa insieme. Questi campioni di DNA, raccolti da denti e ossa, si estendono dall’era mesolitica (la media età della pietra) fino al Medioevo, con il più antico datato 34.000 anni fa.
La ricerca “Elevated genetic risk for multiple sclerosis emerged in steppe pastoralist populations”, pubblicata su Nature il 10 gennaio 2024 fa parte di un primo lotto di 4 articoli di altrettante ricerche specifiche del Progetto, che sono stati sottoposti a revisione paritaria.
La sclerosi multipla è una malattia autoimmune che colpisce 1 persona su 1.000, , manifestandosi tra i 20 e i 40 anni, caratterizzata da una reazione anomala delle difese immunitarie che attaccano alcuni componenti del sistema nervoso centrale e del midollo spinale, scambiandoli per agenti estranei. Non è contagiosa né mortale. Le persone con SM sperimentano molti sintomi neurologici, tra cui intorpidimento, debolezza muscolare, dolore e difficoltà a camminare. Spesso questi sintomi inizialmente vanno e vengono, ma molti pazienti alla fine sperimentano un peggioramento della qualità della vita.
Il Nord Europa ha la più alta prevalenza di SM nel mondo.
Negli ultimi anni è diventato chiaro che il virus Epstein-Barr (responsabile della varicella, del fuoco di S. Antonio e di lesioni erpetiche) è probabilmente una delle principali cause di SM. Ma mentre quasi tutti nel mondo sono esposti al virus ad un certo punto della loro vita, solo una piccola percentuale sviluppa la SM. Quindi è ovvio che ci sono altri fattori che possono rendere qualcuno più vulnerabile, inclusa la nostra genetica.
Confrontando il DNA antico con i geni delle persone che vivono oggi, gli scienziati che hanno condotto questa ricerca affermano di aver capito come alcuni di questi geni legati alla SM siano emersi e successivamente si siano diffusi a livello globale, scoprendo che queste varianti sono apparse per la prima volta tra le persone che vivevano nella steppa del Ponto, che copre parti dell’odierna Romania, Ucraina e Russia. Circa 5.000 anni fa, questi geni iniziarono a diffondersi nell’Europa nordoccidentale attraverso la migrazione degli Yamnaya, un popolo di pastori e allevatori di bestiame.
I ricercatori ritengono che queste varianti probabilmente fornissero una certa protezione dalle infezioni che colpivano i loro animali, un vantaggio che superava il rischio di SM. Nell’ambiente moderno di oggi, tuttavia, queste stesse varianti genetiche aumentano il rischio di sviluppare la malattia.
“Deve essere stato un netto vantaggio per la popolazione Yamnaya essere portatori dei geni a rischio di SM, anche dopo essere arrivati in Europa, nonostante il fatto che questi geni aumentassero innegabilmente il rischio di sviluppare la SM – ha affermato Eske Willerslev, Professore di Ecologia ed Evoluzione presso l’Università di Cambridge e Direttore del Centro di Eccellenza in Geo-Genetica presso l’Università di Copenhagen, noto per il suo lavoro pionieristico nell’antropologia molecolare, nella paleontologia e nell’ecologia, nonché Direttore del Progetto – Questi risultati cambiano la nostra visione delle cause della sclerosi multipla e hanno implicazioni sul modo in cui viene trattata”.
La ricerca, finanziata con una sovvenzione di 8 milioni di euro da parte della Fondazione Lundbeck, ha confrontato i dati conservati in un’unica banca genetica di DNA antico con la Biobank del Regno Unito, un database biomedico su larga scala e una risorsa di ricerca contenente informazioni genetiche, sullo stile di vita e sulla salute e campioni biologici di mezzo milione di partecipanti del Regno Unito.
Secondo gli autori le nuove conoscenze acquisite sui fattori genetici alla base della SM contribuiranno a demistificare la malattia.
“Ciò è molto importante sia dal punto di vista dei pazienti che dei medici, perché significa che possiamo eliminare la percezione convenzionale della SM, che definisce la malattia in termini di menomazioni che provoca, e invece comprendere e cercare di trattare la SM per quello che in realtà è: il risultato di un adattamento genetico a determinati condizioni ambientali che si sono verificate nella nostra preistoria e che sono rimaste nel nostro DNA, anche se le condizioni ambientali sono cambiate enormemente nel tempo da allora a oggi – ha spiegato Lars Fugger, co-autore dello Studio, Professore di Neuroimmunologia al Weatherall Institute of Molecular Medicine (WIMM) del Medical Research Council (MRC) dell’Università di Oxford, che da tre decenni conduce ricerche sulla SM e trattato pazienti con disturbi immuno-mediati, contribuendo a mappare finora le 233 varianti di rischio genetico per la SM – Le varianti che originariamente fornivano protezione non sono più un problema così grande come probabilmente lo erano allora. Perché nei millenni successivi si sono scoperti antibiotici, si fanno le vaccinazioni e gli standard igienici sono molto più elevati rispetto a quelli di migliaia di anni fa. Pertanto, i geni del rischio sono ora ‘sbagliati’ in termini del loro ruolo biologico originale”.
L’eredità genetica del popolo Yamnaya continua ancora oggi, notano gli autori dello studio. Molte persone nell’Europa nordoccidentale possono far risalire la loro discendenza agli Yamnaya, ad esempio, e l’area è nota per la sua prevalenza relativamente più elevata di SM.
“La SM è una malattia autoimmune e molti dei farmaci che attualmente utilizziamo per trattarla colpiscono il sistema immunitario – ha proseguito Fugger – Ciò di cui abbiamo bisogno è un approccio che ci permetta di imparare da ulteriori studi sul background genetico della SM come ‘ricalibrare’ il sistema immunitario nei pazienti. Ciò consentirebbe al loro sistema immunitario di svolgere un ruolo attivo nella soppressione della malattia. Anche se questo non è proprio dietro l’angolo, è comunque ciò a cui dovremmo mirare in termini di ricerca“.
Questo studio sulla SM dimostra che i grandi set di dati del genoma umano antico, combinati con le analisi del DNA attuale e il contributo di una serie di altri campi di ricerca, fungono da strumento di precisione scientifica in grado di fornire nuove informazioni sulle malattie.
Il gruppo di ricerca internazionale prevede ora di indagare su altre condizioni neurologiche tra cui il morbo di Parkinson e l’Alzheimer, e disturbi psichiatrici tra cui Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e la schizofrenia.
Immagine di copertina Fonte Università di Oxford