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Foreste montane: profonde alterazioni con i cambiamenti climatici

Secondo uno Studio di CMCC e NBFC, i cambiamenti climatici stanno alterando significativamente il paesaggio delle foreste montane italiane, causando cambiamenti nella composizione delle specie, la scomparsa di alcune di esse e la loro migrazione a quote più elevate, dove l’aria è più fresca.

I cambiamenti climatici in corso, che stanno surriscaldando l’Italia ad una velocità ben superiore a quella della media globale, comporteranno alterazioni paesaggistiche profonde per le foreste montane presenti lungo le Alpi e gli Appennini, tali che potrebbero non essere più visibili o essersi spostate di diverse centinaia di metri più in alto. 

È la previsione contenuta nello StudioAltitudinal shifting of major forest tree species in Italian mountains under climate change”, pubblicato suFrontiers in Forests and Global Change da ricercatori del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) e del National Biodiversity Future Center (NBFC).

Gli autori hanno mappato le foreste montane vulnerabili in Italia e hanno modellato il futuro di questi fragili ecosistemi.

Se immagino mia figlia che cammina con me da vecchia, nelle nostre foreste di montagna, posso immaginare che possiamo intravedere vedere la fase iniziale di un profondo cambiamento di specie – ha affermato Sergio Noce della Fondazione Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) – Come ogni processo naturale, ci vuole tempo e le foreste hanno tempi totalmente diversi dai nostri”.

Le foreste forniscono risorse preziose per le comunità. I prodotti del legno e gli alimenti selvatici come funghi e tartufi possono rilanciare l’economia locale, mentre le foreste influenzano la disponibilità e la qualità dell’acqua, creano e preservano il suolo, mantengono la biodiversità e offrono opportunità ricreative.

Circa un terzo del territorio italiano è ricoperto da foreste e le superfici boschive sono attualmente in aumento. Tuttavia, negli ultimi anni, siccità, tempeste e incendi hanno danneggiato le foreste, determinando rapidi cambiamenti ambientali. Le foreste montane sono particolarmente vulnerabili alla crisi climatica.

Per comprendere e reagire a ciò che sta accadendo, occorrono dati climatici ad alta risoluzione e modelli affidabili in grado di proiettarci nel futuro e cercare di comprendere le implicazioni della crisi climatica su queste foreste in situazioni di precarietà.  

Noce e il suo team hanno sviluppato modelli di distribuzione delle specie delle foreste in 5 aree tra gli Appennini e le Alpi e li hanno combinati con le proiezioni sui cambiamenti climatici basate su 2 scenari: uno in cui le emissioni sono moderate e uno in cui non cambia nulla. Utilizzando questi dati, hanno sviluppato mappe dell’idoneità del terreno per i futuri alberi fino al 2050.

“Sapere quali specie saranno avvantaggiate o svantaggiate nelle condizioni future può aiutarci nelle scelte di pianificazione, gestione e conservazione – ha affermato Noce – Le foreste forniscono all’uomo servizi ecosistemici molto importanti: la regolazione del ciclo dell’acqua, la biodiversità, i prodotti legnosi e non legnosi, il turismo, la cattura e lo stoccaggio della CO2 e molti altri. Ogni scelta fatta oggi avrà un impatto su questi servizi per gli anni a venire e deve essere presa con la massima conoscenza possibile”.

Noce e il suo team hanno scoperto che la maggior parte delle specie ha visto il proprio areale tipico ridursi, mentre alcune potrebbero estendersi oltre l’attuale quota altimetrica delle specie, acquisendo un areale più ampio – in particolare il larice europeo e il cerro. Ciò è avvenuto in entrambi gli scenari, sebbene il grado di cambiamento sia diverso: gli scienziati hanno suggerito di considerarli come i limiti superiore e inferiore dei possibili risultati.

In generale, è probabile che il limite degli alberi si sposti verso l’alto e che le specie con areali più piccoli e più specifici abbiano maggiori probabilità di andare perdute. È anche possibile che gli ecosistemi di alta montagna come i prati alpini diventino più rari, per effetto dell’invasione degli alberi.

Secondo i ricercatori è difficile identificare in modo evidente vincitori e sconfitti tra le specie arboree studiate. Tuttavia, hanno scoperto che l’abete bianco e il faggio europeo sono particolarmente vulnerabili. Delle cinque regioni studiate, gli Appennini settentrionali e nord-orientali erano quelli maggiormente a rischio, con tutte le specie di alberi presenti vulnerabili ai cambiamenti. I boschi misti di alberi che incorporavano specie diverse erano più resistenti.

Lo Studio evidenzia anche la possibilità che alcune specie sopravvissute introducano altre vulnerabilità. Il pino marittimo, candidato al potenziamento delle foreste dell’Appennino meridionale, è più infiammabile degli alberi attualmente diffusi in quell’area, per cui l’aumento del rischio di incendi potrebbe creare seri problemi.

Gli autori avvertono, comunque, che la relazione tra variabili ambientali e presenza di specie potrebbe non rimanere la stessa del passato. Il cambiamento potrebbe ancora sorprenderci, per cui questi modelli di alta qualità potrebbero aiutare a identificare le specie e le foreste che potrebbero sopravvivere alla crisi climatica.

Possiamo considerare questo lavoro come un esperimento da estendere – ha sottolineato Noce – Abbiamo già in programma di approfondire la nostra ricerca in Italia grazie ai fondi europei del programma Next Generation EU, ma contiamo di farlo anche ampliando l’estensione geografica e l’orizzonte temporale”.

Senza dimenticare che l’aumento previsto di fenomeni meteorologici estremi, come la tempesta Vaia che imperversò su Lombardia, Trentino-Alto Adige. Veneto e Friuli Venezia Giulia alla fine di ottobre 2018, che non solo ha raso al suolo in pochi minuti 41.000 ettari di boschi, 16 milioni di alberi, 8,6 milioni di m3 di legno, ma le conseguenze si sono protratte.

Sul manto verde forestale di quelle aree è possibile scorgere estese macchie marroni che testimoniano l’’epidemia di bostrico tipografo (Ips typographus), un piccolo coleottero endemico che trova nell’abete rosso le condizioni favorevoli per riprodursi, scavando cunicoli sotto la corteccia e deponendovi le uova che, trasformatesi in fameliche larve trovano un ambiente sicuro per svilupparsi. Generalmente il bostrico utilizza alberi deboli o malati per scavare queste gallerie che interrompono il flusso di linfa che porta alla morte della pianta, ma in situazioni di sovrabbondanza di legname schiantato può proliferare in maniera incontrollata, iniziando a infestare anche le piante sane che vengono alfine essiccate.

Quanto sta accadendo con l’epidemia di bostrico che, in base ai dati della Provincia Autonoma di Trento, ha fatto danni nel periodo 2019-2022 per circa 2 milioni di metri cubi di legname, pari a circa la metà del danno di Vaia, dimostra l’importanza dell’eterogeneità silvicolturale delle foreste montane, per renderle più resilienti ai cambiamenti climatici e agli eventi meteorologici estremi con cui dobbiamo sempre più spesso confrontarci.

Di qui il valore di studi come quello condotto dal Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici e dal National Biodiversity Future Center,recentemente costituitosi per conservare, ripristinare, monitorare e valorizzare la biodiversità italiana e mediterranea, e di cui CMCC è partner affiliato.

La nostra ricerca conferma ancora una volta quanto sia necessario rimanere, o in alcuni casi tornare, alle nostre foreste per intraprendere politiche di gestione forestale sostenibili in tutto il nostro territorio – ha concluso Noce –Inoltre, nelle regioni in cui il rischio di perdita di biodiversità appare più evidente, come nelle aree montane di alta quota, è particolarmente urgente mitigare la forte pressione antropica attualmente presente”.

In copertina: L’epidemia di bostrico (Ips thypographus) evidenziata dalla colorazione marrone degli alberi ( Foto: Provincia Autonoma di Trento)

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