Agenda Mari e oceani

Giornata Nazionale del Mare: WWF chiede il rispetto degli impegni

In occasione della Giornata Nazionale del Mare che si celebra l’11 aprile e che quest’anno assume un valore speciale anche alla luce della Conferenza mondiale in svolgimento a Barcellona sul Decennio ONU sulla Scienza degli Oceani per lo Sviluppo Sostenibile, il WWF chiede che l’Italia rispetti gli impegni assunti con il Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal 2021-2030, in linea con la Strategia UE sulla Biodiversità, di proteggere il 30% dello spazio marittimo.

L’11 aprile 2024 si celebra la Giornata Nazionale del Mare e della Cultura marinara, istituita dall’art. 52 del D.lgs. n. 229 del 3 novembre 2017 relativo alla revisione del Codice della Nautica da diporto, al fine di sviluppare la cultura del mare inteso come risorsa di grande valore culturale, scientifico, ricreativo ed economico.

La ricorrenza quest’anno coincide con la Conferenza mondiale (Barcellona, 10-12 aprile 2024) sul Decennio delle Nazioni Unite  della Scienza degli Oceani per lo Sviluppo Sostenibile (2021-2030), focalizzata sul motto “Fornire la scienza che ci serve per l’oceano che vogliamo“ per affrontare le questioni più attuali e pressanti per il futuro degli Oceani, come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la gestione sostenibile della biodiversità, l’economia sostenibile, l’inquinamento e le catastrofi naturali.

In occasione della Giornata nazionale del mare, WWF Italia ricorda che se investissimo nella protezione del mare, potrebbe trarne enorme vantaggio non solo la biodiversità, ma anche la specie umana con le sue comunità.

Alcune simulazioni condotte per il Mediterraneo occidentale dimostrano che proteggendo il 30% del Mare nostrum con una rete ecologicamente connessa di aree marine protette istituite in aree chiave per la biodiversità si innesca un aumento della biomassa dei predatori (come mammiferi marini, squali e grandi pesci pelagici) del 10-45% e del 10-23% delle specie ittiche di interesse commerciale, rispetto a uno scenario in cui le misure di protezione non si discostano dallo status quo. Un Mediterraneo ricco di “banche del mare” porterebbe a una serie di benefici significativi per l’ecosistema marino e per le comunità che ne dipendono, favorendo la ripresa e la conservazione delle risorse marine, promuovendo la resilienza degli ecosistemi marini e contribuendo al benessere delle popolazioni costiere e all’economia mediterranea.

La Strategia UE sulla Biodiversità al 2030, in linea con il Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal 2021-2030 impone agli Stati membri di proteggere entro il 2030 il 30% dello spazio marittimo, di cui il 10% deve essere protetto in modo rigoroso, attraverso una rete di aree marine protette (AMP) e altre misure di protezione spaziale (OECM).

Il WWF sottolinea che nel suo ultimo Rapporto Banche del Mare” ha lanciato un appello indicando 7 passi fondamentali soprattutto per l’Italia per garantire che gli impegni presi siano rispettati, tra cui la necessaria revisione della governance del sistema delle aree marine protette nazionali e dei siti Natura 2000 e del relativo sistema di sorveglianza, per uscire dalla situazione attuale di “Parchi solo sulla carta”, in cui le banche del mare continuano ad essere derubate dei propri tesori di biodiversità.

Inoltre, sottolinea l’Associazione del Panda, è necessario estendere a mare la protezione di Parchi già esistenti ed operanti sulla fascia costiera, identificare e proteggere quanto prima, attraverso la consultazione tra Ministeri e portatori di interesse, le aree chiave per la biodiversità (come il Canale di Sicilia, l’Adriatico meridionale e i numerosi canyon e monti sottomarini) fino a raggiungere il 30% dello spazio marittimo italiano incluso il mare aperto.

Per raggiungere questo obiettivo è possibile considerare anche altre misure di gestione spaziale del mare, come le zone di restrizione della pesca, ma solo se adeguatamente rafforzate e gestite: se infatti le OECM sono un’opportunità importante per favorire la gestione integrata degli oceani, in quanto per la loro identificazione e designazione si richiede una maggiore cooperazione tra i diversi settori (pesca, energia, navigazione, conservazione e molti altri settori economici), dall’altro bisogna fare attenzione alle semplificazioni: uno dei criteri chiave per il riconoscimento di un’area come OECM stabilito dalla Convenzione sulla Biodiversità (CBD) è infatti la dimostrazione che la gestione esistente nell’area garantisca risultati positivi e duraturi per la conservazione della biodiversità.

Ad oggi solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e la superficie cumulativa dell’area a protezione integrale (no-go, no-take o no-fishing) rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo, una cifra esigua schiacciata dalle minacce che incombono sul resto del Mediterraneo: oltre a perdita di habitat marini, pesca eccessiva e/o illegale, traffico marittimo e inquinamento acustico e chimico, su tutte preme il cambiamento climatico che nel nostro mare provoca un aumento della temperatura dell’acqua del 20% più veloce della media globale con alterazioni degli habitat e della distribuzione e sopravvivenza delle specie autoctone. Tutte queste pressioni antropiche hanno provocato una drammatica diminuzione delle popolazioni marine e costiere, con più di 78 specie marine e 158 specie costiere attualmente a rischio di estinzione, mentre tutti gli habitat marini sono in stato di conservazione sfavorevole.

Le aree marine protette ad oggi esistenti, inclusa la Rete Natura 2000, non sono messe nelle condizioni di compiere il proprio lavoro di “banche del mare”: più del 95% di ciò che dovrebbe essere protetto nel Mediterraneo non è soggetto a regolamenti sufficientemente severi da conferire alcun beneficio ecologico (basti pensare che solo 10% delle aree marine protette esistenti implementa adeguatamente i propri piani di gestione). In particolare, in Italia la maggior parte delle AMP esistenti lamenta una carenza di personale competente, di sorveglianza efficace e una difficoltà a reperire i finanziamenti per assicurare l’implementazione di azioni di conservazione e monitoraggio, mentre la maggior parte dei siti Natura 2000 marini sono ancora privi di misure di conservazione, tanto che la Commissione UE ha avviato lo scorso febbraio un’altra procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata attuazione delle misure previste dalla Direttiva Habitat sui Siti Natura 2000 volte a monitorare e ad evitare le catture accessorie di cetacei, tartarughe e uccelli marini da parte dei pescherecci

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