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Deossigenazione degli oceani: problema che coinvolge tutti

Cause, effetti e possibili soluzioni del fenomeno della deossigenazione degli oceani è il tema del Rapporto più ampio mai realizzato sull’argomento e presentato dalla IUNC alla COP 25 di Madrid, perché per arrestare la diffusione delle “zone morte” dei mari bisogna intervenire con tagli immediati e sostanziali delle emissioni di gas serra.

La deossigenazione degli oceani ovvero la perdita di ossigeno delle aree marine sta aumentando a ritmi senza precedenti, con la proliferazione di “zone morte” (dead zone) a causa dell’acidificazione delle acque, correlata al riscaldamento globale, dei depositi di azoto derivanti dall’uso di combustibili fossili, e del deflusso di nutrienti derivanti dall’agricoltura e dagli allevamenti intensivi, mettendo a rischio nel lungo periodo l’esistenza delle specie più sensibili all’ipossia.

Questo è il messaggio contenuto nel Rapporto Ocean deoxygenation: Everyone’s problem”, presentato dalla IUNC (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) il 7 dicembre 2019 a Madrid nel corso della COP25, a cui hanno contribuito 67 scienziati di 17 Paesi.

Si tratta del più ampio Rapporto peer-reviewed sulle cause, gli effetti e le possibili soluzioni del fenomeno crescente di deossigenazione degli oceani, che l’organizzazione descrive come “uno degli effetti collaterali più perniciosi ma ancora sottostimati del cambiamento climatico indotto dall’uomo“.

La presentazione del Rapporto era programmata per la COP25 che avrebbe dovuto svolgersi in Cile che a causa delle forti manifestazioni socio-politiche in corso non aveva più potuto garantire l’ospitalità dell’evento che era stato definito inizialmente come la “COP blu” perché avrebbe puntato i riflettori per la prima volta nella storia dei negoziati sugli effetti dei cambiamenti climatici sugli oceani, stante la forte dipendenza del Paese andino dall’economia del mare con gli oltre 4.000 km. di coste.

Dal Rapporto emerge che il livello di ossigeno è diminuito dagli anni ’50 del 2% e che il volume di acqua deossigenata degli oceani si è quadruplicato dagli anni ’60, allorché solo 45 siti oceanici soffrivano di bassi livelli di ossigeno, numero che al 2011 era salito a 700. Secondo lo studio, circa il 50% della perdita di ossigeno nella parte superiore degli oceani deve essere attribuito all’innalzamento della temperatura, rendendo difficile all’ossigeno farsi strada nelle acque più profonde e aumentandone la richiesta da parte della fauna marina. 

Molte creature marine più grandi e più attive, come tonni, marlini e squaliparticolarmente sensibili alla poca quantità d’ossigeno, a causa della loro grande taglia e dei loro alti bisogni energetici“, non sono in grado di sopravvivere in queste aree, con il rischio di andare incontro ad un’estinzione di massa a lungo termine. Al contempo, proliferano in queste condizioni specie tolleranti all’ipossia come microbi, meduse e alcuni calamari. Conseguenze ci saranno, anche se è più difficile misurarle sottolineano gli autori del Rapporto, su specie come quelle che vivono sui fondali (coralli, macroalghe, mangrovie, pesci, plancton, mammiferi marini).

Questo è forse l’ultimo campanello d’allarme del fenomeno incontrollato che l’umanità sta scatenando negli oceani del mondo mentre le emissioni di carbonio continuano ad aumentare – ha dichiarato Dan Laffoley, Senior Advisor Marine Science and Conservation del Programma Global Marine and Polar della IUCN, e coordinatore della ricerca – Il livello di deossigenazione degli oceani già registrato è abbastanza significativo da influenzare il ciclo planetario di elementi come azoto e fosforo, che sono essenziali per la vita sulla Terra”.

Il recente Rapporto speciale dell’IPCC sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia (SROCC) ha calcolato che ad oggi gli oceani hanno assorbito oltre il 90% del calore in eccesso nel sistema climatico, ed entro il 2100 assorbiranno da 2 a 4 volte più calore rispetto all’intervallo compreso dal 1970 ad oggi, se il riscaldamento globale sarà limitato a +2°C e fino a 5-7 volte di più in uno scenario con emissioni più elevate.

Man mano che gli oceani si riscaldano, si espandono, il che significa che il riscaldamento degli oceani ha più responsabilità per l’innalzamento del livello del mare di quanto non ne abbia lo scioglimento delle calotte glaciali.

Inoltre, gli oceani assorbono quasi un terzo delle emissioni di gas serra, ma gli studi hanno dimostrato che questo processo rallenta man mano che diventano più caldi, rilasciando più emissioni e aumentando, al contempo, la temperatura dell’atmosfera.

Sebbene questo assorbimento sia vitale per la Terra, ha determinato un’acidificazione degli oceani, che è stata stimata superiore del 26% rispetto al periodo pre-industriale.

Il Rapporto prevede che gli oceani perderanno circa il 3-4% del loro ossigeno entro il 2100, ma sarà la colonna d’acqua di un Km. più vicina alla superficie del mare, dove è concentrata la maggior parte delle specie, che subirà un impatto negativo maggiore rispetto alle aree più profonde, che sono meno ricche nella vita.

Contribuisce alla deossigenazione degli oceani anche l’eccessiva crescita delle alghe per effetto dell’eutrofizzazione per a causa del deflusso di fertilizzanti nei corsi d’acqua, nelle fognature, derivanti dall’acquacoltura e dai composti di azoto da combustione delle fonti fossili. Il problema “zone morte” (dead zone) era già noto da decenni ed era stato studiato nel Golfo del Messico, dove i deflussi dell’agricoltura intensiva e degli allevamenti dalla regione costiera degli Stati Uniti ha creato un’area di ipossia di oltre 20.000 km2, ma ben poco è stato fatto per affrontarlo. 

Per frenare la perdita di ossigeno nell’oceano, oltre che degli altri disastrosi impatti dei cambiamenti climatici, i leader mondiali devono impegnarsi a tagli immediati e sostanziali delle emissioni – ha affermato la Direttrice generale della IUNC Grethel AguilarGli effetti potenzialmente disastrosi sulla pesca e sulle comunità costiere vulnerabili fanno sì che le decisioni prese siano ancora più

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