Agroalimentare Fiere e convegni

Vinitaly 2024: “Se togli il vino all’Italia”

A Vinitaly (Fiera di Verona, 14-17 aprile 2024) sono stati presentati i risultati del progetto “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”, che evidenziano come in caso di scomparsa della filiera del vino, 303mila persone dovrebbero trovarsi un altro lavoro e il Paese rinuncerebbe a un asset in grado di generare (tra impatto diretto, indiretto e indotto) una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro.

Togliere il vino al Belpaese equivarrebbe, in termini di PIL, a cancellare quasi tutto lo sport italiano, compreso il calcio.

È quanto è emerso a Vinitaly 2024 (Fiera di Verona, 14-17 aprile 2024) dove nella giornata inaugurale sono stati presentati i risultati del progetto “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”, comprensivo dell’analisi “L’impatto economico dell’industria del vino in Italia”, commissionato a Prometeia e un focus dell’Osservatorio UIV-Vinitaly su 3 territori simbolo a trazione enologica: Barolo, Montalcino ed Etna.

I risultati dell’analisi d’impatto confermano, quantificandolo, il contributo economico del comparto: in caso di scomparsa della filiera del vino, 303 mila persone dovrebbero trovarsi un altro lavoro e il Paese rinuncerebbe a un asset in grado di generare (tra impatto diretto, indiretto e indotto) una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro. Uno shock per l’Azienda Italia pari all’1,1% del PIL (lo sport, secondo stime dell’Istituto Credito Sportivo vale l’1,3%). In questo scenario da day after, faremmo a meno di un moltiplicatore economico in grado di generare un contributo di 2,4 euro di produzione (e 0,9 di valore aggiunto) per ogni euro di spesa attivata dall’industria del vino. Infine, ogni 62 mila euro di valore prodotto dalla filiera garantisce un posto di lavoro.

Senza il vino, si evince dall’analisi di Prometeia, il saldo commerciale del settore agroalimentare scenderebbe del 58% (da +12,3 a +5,1 miliardi di euro nel 2023), ma anche allargando il perimetro oltre il settore alimentare, è evidente che si rinuncerebbe ad un fattore di successo determinante per il Made in Italy. Il vino lo scorso anno si è infatti posizionato al secondo posto nel surplus commerciale generato dai portabandiera tricolore, dietro a gioielleria/oreficeria – che a differenza del vino ha beneficiato di un rilevante “effetto prezzo” – e davanti a pelletteria, abbigliamento, macchine per packaging e calzature.

All’impatto economico complessivo della filiera del vino contribuisce in modo sostanziale il turismo enologico che, se alimenta “al margine” l’economia turistica delle grandi città, può diventare fondamentale (anche al di là degli effetti strettamente economici) per molti piccoli centri e comunità rurali a vocazione vitivinicola.

Nelle rilevazioni dell’Associazione Città del Vino, il turismo enologico coinvolge annualmente circa 15 milioni di persone (fra viaggiatori ed escursionisti) con budget giornalieri (124 euro) superiori del 13% a quelli del turista medio, per una spesa complessiva di 2,6 miliardi di euro. A partire da questi dati, l’analisi d’impatto evidenzia come senza questa componente verrebbe a mancare il 15% del valore aggiunto complessivo generato dalla filiera del vino.

Sin qui gli impatti economici tangibili. In una sezione finale, Prometeia ha poi analizzato, in termini qualitativi, l’interesse globale per il vino italiano con un’analisi di web sentiment che ha messo in evidenza, nei volumi di ricerca dell’ultimo anno estratti da Google trends, come, dopo pizza e pasta, il vino si collochi al 3° posto nel mondo tra i prodotti alimentari maggiormente associati al Made in Italy.

Un’Italia senza vino non conviene a nessuno: il vino è allo stesso tempo un attrattore e un generatore di valore ben oltre i perimetri del settore – ha affermato Lamberto Frescobaldi, Presidente UIV – Per continuare a distribuire ricchezza dobbiamo pensare ad affrontare al meglio una nuova fase. L’era della crescita volumica è finita e i paradigmi di consumo stanno cambiando molto velocemente: dobbiamo essere consapevoli di ciò e traghettare le imprese verso questa nuova sfida”.

Il contributo sui territori
Le pendici di un vulcano, un borgo medievale e le più note colline piemontesi. È il vino il trait d’union tra i comprensori dell’Etna, delle Langhe e di Montalcino, territori baciati da uno sviluppo socioeconomico a minimo comune denominatore enologico in cui ogni bottiglia di vino prodotta e consumata in loco è capace di generare un impatto (diretto, indiretto e indotto) quantificabile in 117 euro a bottiglia per Montalcino, 109 euro per Barolo e 82 euro per l’Etna. Una reinfusione di ricchezza sui territori che, in un anno, corrisponde rispettivamente a circa 153, 131 e 123 milioni di euro, e che li rende casi di studio emblematici di un effetto moltiplicatore attribuibile al comparto riscontrabile lungo tutta la Penisola.

Secondo lo studio realizzato dall’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly nell’ambito del progetto “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”, Montalcino, Barolo ed Etna si distinguono non solo per prezzi medi per ettaro e rese produttive ben superiori ai valori regionali: nell’ultimo decennio sono riusciti a garantire una maggiore crescita del reddito pro-capite, generando lavoro e occupazione.

Ed è così che, nel borgo toscano dove un ettaro vitato a Brunello vale quasi 8 volte un pari appezzamento in altre zone della Toscana (1 milione di euro contro 129mila), il reddito pro-capite è ben maggiore rispetto alla media regionale ed è cresciuto negli ultimi 10 anni del 37,9%, a fronte di una media nazionale del +11,1%.  Una forbice che si riscontra anche nel comprensorio del Barolo (con il valore fondiario più alto), dove il reddito pro-capite medio, sugli stessi valori di Montalcino, è cresciuto del 23,7%. Meno evidente, ma pur sempre riscontrabile, l’effetto booster anche sull’Etna, che si è attestato a +12,6% nel decennio, contro una media siciliana del +9.9%. Proprio qui, alle pendici del vulcano, valori fondiari 5 volte superiori alla media regionale hanno incoraggiato il ritorno delle giovani generazioni sui campi dei nonni, nonostante le difficoltà di una viticoltura di montagna, con 2.000 ore di lavoro annue per gli ettari terrazzati coltivati ad alberello, per un totale di 250mila giornate lavorative annue. Una trazione che negli ultimi 10 anni ha fatto registrare un +70% alle superfici vitate (1.550 ettari, con appezzamenti medi inferiori all’ettaro per la metà dei produttori) e quadruplicato il volume imbottigliato (quasi 6 milioni di bottiglie nel 2023).

Questi territori, con i relativi Consorzi di tutela, hanno saputo individuare nel virtuoso rapporto con il vino – fido custode anche del paesaggio contro speculazioni edilizie e commerciali – la loro vocazione identitaria, che nell’enoturismo trova la massima (e remunerativa) espressione.

Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio UIV-Vinitaly, Montalcino – poco più di 5.000 abitanti, con il 16% della forza lavoro impiegata nell’accoglienza – conta circa 80.000 turisti ufficiali, un flusso enorme a cui risponde con oltre 300 strutture ricettive e 3.000 posti letto. Il piccolo comune di Barolo – circa 700 abitanti – riceve il 20% dei 90.000 turisti che arrivano nel territorio delimitato dal disciplinare della Docg (11 comuni), e ha registrato una crescita del 60% rispetto ai valori pre-Covid. Sull’Etna, già soggetto al magnetico fascino del vulcano, il vino ha aggiunto quel tocco di magistrale artigianalità, contribuendo a profilare un turismo più qualificato e raffinato, soprattutto dall’estero, tanto che oggi circa il 60% delle 150 aziende di filiera organizza tour e degustazioni guidate.

Pensare a un’Italia senza vino è stata un’impresa non semplice, anche perché i numeri non bastano a manifestare il danno di una ipotetica privazione di un elemento del Dna italiano – Federico Bricolo, Presidente di VeronaFiere – Ma abbiamo voluto fortemente accendere un faro, anche in occasione della Giornata nazionale del made in Italy, perché quello del vino è un patrimonio socioeconomico che va difeso e tutelato. Lo dimostrano i focus su denominazioni bandiera – Barolo, Etna e Montalcino – che come tantissime altre confermano quanto un’economia a trazione enologica sia in grado di creare valore anche fuori dal comparto. Per fare un esempio, il vino fa da apripista a tutto l’agroalimentare: come evidenziato dalla ricerca ad ogni punto percentuale di crescita del vino su un nuovo mercato corrisponde, due anni dopo, una crescita simile per gli altri prodotti alimentari. Vinitaly aveva il dovere di ribadire questi concetti in favore di una filiera che sin dall’inizio ha dato fiducia alla sua fiera di riferimento”.

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