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IPCC: innalzamento oceani e fusione ghiacciai più veloci del previsto

La pubblicazione del Rapporto speciale su oceano e criosfera in un clima che cambia (SROCC) del Gruppo intergovernativo ONU sui cambiamenti climatici (IPCC) lancia un ulteriore allarme su quel che dovranno attendersi le nuove generazioni se non si attuano ora ambiziose politiche di adattamento e mitigazione.

Oggi (25 settembre 2019) è stato diffuso il Rapporto speciale IPCC sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia (SROCC), commissionato tre anni fa dalle Nazioni Unite al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), un rapporto completo sui cambiamenti osservati negli oceani e nella criosfera terrestre (le riserve di acqua ghiacciata del Pianeta: neve, ghiacciai, calotte glaciali, iceberg e ghiaccio marino, ghiacciai, ghiaccio su laghi e fiumi, permafrost e terreno stagionalmente ghiacciato) sotto la spinta dei cambiamenti climatici.

Si tratta del 3° Rapporto speciale nell’ambito della VI Valutazione prevista per il 2022, dopo quelli sul Riscaldamento globale a +1,5 °C (SR15), pubblicato lo scorso ottobre, e su cambiamenti climatici e il territorio (SRCCL), publicato in agosto, ed è stato predisposto da:
Gruppo di Lavoro I (WG I): cambiamenti nei gas a effetto serra e negli aerosol nell’atmosfera; osservato cambiamenti nelle temperature dell’aria, della terra e degli oceani, precipitazioni, ghiacciai e calotte glaciali, oceani e livello del mare; prospettiva storica e paleoclimatica sul cambiamento climatico; biogeochimica, ciclo del carbonio, gas e aerosol; dati satellitari e altri dati; modelli climatici; proiezioni climatiche, cause e attribuzione del cambiamento climatico;
–  Gruppo di Lavoro II (WG II): impatti dei cambiamenti climatici e le opzioni di mitigazione e adattamento.

Per la redazione del Rapporto 104 autori di 36 Paesi hanno preso in considerazione la più recente letteratura scientifica sul tema, facendo riferimento a circa 7.000 pubblicazioni scientifiche.

Il Summary per i Decisori Politici è stato approvato nel corso della 51ma Sessione dell’IPCC (Principato di Monaco, 20 – 28 settembre 2019), durante la notte del 24 settembre da 195 Paesi, dopo una serie di veti opposti dall’Arabia Saudita che contestava il forte richiamo alla riduzione dei combustibili fossili.

Il Rapporto interviene quando è in corso l’Assemblea Generale dell’ONU che ha per punti all’Odg. l’azione climatica e lo sviluppo sostenibile, e dopo la pubblicazione del RapportoUnited in Science”sui risultati scientifici sui cambiamenti climatici, redatto dalle principali organizzazioni partner dell’ONU, e nel mezzo della settimana di mobilitazione per il clima organizzata dal movimento Friday for Future che culminerà con il 3° Global Strike for Future (27 settembre).

Il Rapporto dell’IPCC evidenzia l’urgenza di dare priorità in maniera tempestiva ad azioni coordinate e ambiziose per affrontare cambiamenti persistenti e senza precedenti che riguardano l’oceano e la criosfera, rilevando al contempo i benefici per lo sviluppo sostenibile di un adattamento ambizioso ed efficace e, per contro, i crescenti costi e rischi di un’azione ritardata.

L’oceano e la criosfera giocano un ruolo fondamentale per la vita sulla terra. 670 milioni di persone nelle regioni di alta montagna, e 680 milioni di persone nelle zone costiere, dipendono direttamente da questi sistemi. Sono circa 4 milioni gli individui che vivono permanentemente nella regione artica, e 65 milioni sono quelli che vivono nei Piccoli stati insulari in via di sviluppo. A causa delle emissioni di gas serra attuali e passate, il riscaldamento globale ha già raggiunto +1 °C sopra i livelli pre-industriali. Esistono prove schiaccianti del fatto che questa situazione sa provocando gravi conseguenze per gli ecosistemi e per le persone. L’oceano è più caldo, più acido e meno prolifico. Lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari stanno provocando innalzamento del livello del mare, ed eventi estremi sulle aree costiere stanno diventando più intensi.

Il mare aperto, l’Artico, l’Antartide e le regioni d’alta montagna possono sembrare assai distanti per molte persone – ha affermato detto Hoesung Lee, Presidente dell’IPCC – Ma noi dipendiamo da loro, siamo influenzati da loro in molti modi, diretti e indiretti, che riguardano meteo e clima, cibo e acqua, energia, attività commerciali, trasporti, tempo libero e turismo, salute e benessere, cultura e identità. Se noi riducessimo le emissioni nettamente, le conseguenze per le persone e la loro vita sarebbero ancora complicate, ma potenzialmente più gestibili per coloro che sono più vulnerabili. Migliorando la nostra capacità di resilienza, ci sarebbero maggiori benefici per lo sviluppo sostenibile”.

I maggiori cambiamenti in alta montagna che interessano le comunità a valle
Nelle regioni montane le persone sono sempre più esposte a pericoli e a cambiamenti della disponibilità di risorse idriche, si afferma nel Rapporto. Ghiacciai, neve, ghiaccio e permafrost stanno diminuendo e continueranno a diminuire, aumentando i pericoli per le persone, in termini di frane, valanghe e alluvioni.

Ad esempio, per i piccoli ghiacciai in Europa, in Africa orientale, nelle Ande tropicali e in Indonesia, con gli scenari ad alte emissioni, perderanno l’80% della massa ghiacciata entro il 2100. L’arretramento della criosfera in alta montagna continuerà ad influenzare negativamente attività ricreative, turistiche e culturali.

L’arretramento dei ghiacciai in alta montagna contribuisce anche ad alterare la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con conseguenze per molti settori quali agricoltura e idroelettrico.

I cambiamenti nella disponibilità idrica non colpiranno solamente le persone che abitano le regioni di alta montagna, ma anche le comunità molto più a valle – ha sottolineato Panmao Zhai, co-Presidente del WG I – Limitare il riscaldamento aiuterebbe queste popolazioni ad adattarsi ai cambiamenti nell’approvvigionamento di risorse idriche in aree montane e oltre, e ridurrebbe i rischi legati ai pericoli della montagna. Una gestione idrica integrata e una cooperazione transfrontaliera forniscono opportunità per affrontare gli impatti di questi cambiamenti sulle risorse idriche”.

Il ghiaccio si scioglie, il mare si alza
I ghiacciai e le calotte polari stanno perdendo massa, contribuiscono così, insieme all’espansione dell’oceano dovuta al suo riscaldamento, al tasso crescente di innalzamento del livello del mare.

Nel Report si mostra che, mentre nel XX secolo il livello del mare è cresciuto di circa 15cm su scala globale, oggi cresce ad una velocità che è più che raddoppiata – 3,6 mm l’anno – e sta accelerando.

Il livello del mare continuerà a crescere per secoli. Entro il 2100, anche se le emissioni di gas serra diminuissero radicalmente e il riscaldamento globale fosse contenuto ben al di sotto dei +2°C, l’innalzamento del livello del mare potrebbe arrivare a circa 30-60 cm, mentre potrebbe raggiungere 60-110 cm se le emissioni di gas serra dovessero continuare a crescere in maniera decisa.

Nei decenni più recenti la velocità dell’innalzamento del livello del mare ha accelerato – ha dichiarato a sua volta l’altro co-Presidente del WG I, Valerie Masson-DalmotteQuesto fenomeno è dovuto al crescente contributo di acqua apportato dalle calotte polari in Groenlandia e in Antartide, che si aggiunge al contributo di acqua di scioglimento proveniente dai ghiacciai e all’espansione delle acque più calde del mare. Questa nuova valutazione ha anche rivisto i contributi, più elevati che in precedenza, delle calotte polari in Antartide all’innalzamento del livello del mare previsti al 2100 in caso di elevate emissioni di gas serra. L’ampio intervallo delle proiezioni del livello del mare per il 2100 e oltre è legato al modo in cui le calotte polari reagiranno al riscaldamento, specialmente in Antartide. Molte incertezze ancora rimangono in questo campo”.

Più frequenti gli eventi estremi legati al livello del mare
L’innalzamento del livello del mare aumenterà la frequenza di eventi estremi legati ad esempio ad alte maree e a tempeste. Le indicazioni che emergono dal Rapporto dicono che, con qualsiasi livello di aumento della temperatura, eventi che nel passato hanno avuto luogo una volta in cento anni, in molte regioni si presenteranno una volta ogni anno entro metà del secolo, aumentando così i rischi per molte città costiere e piccole isole.

Senza importanti investimenti in adattamento, queste popolazioni saranno esposte a crescenti rischi di alluvione. C’è la probabilità che piccole nazioni insulari divengano inabitabili a causa dei cambiamenti dell’oceano e della criosfera correlati al clima, ma è estremamente difficile definire la soglia di abitabilità di queste aree.

L’incremento di cicloni tropicali, venti e piogge inaspriscono gli eventi estremi legati al livello del mare e i pericoli per le aree costiere. Gli eventi pericolosi saranno ulteriormente intensificati da un aumento dell’intensità media, dell’entità degli uragani, e dei livelli di precipitazione dei cicloni tropicali, in particolare se le emissioni di gas serra rimarranno elevate.

Numerose strategie di adattamento sono già in corso di implementazione, spesso in risposta ad eventi alluvionali – ha aggiunto la Masson-Delmotte – Nel rapporto si evidenzia la varietà delle opzioni disponibili in contesti diversi per risposte integrate che anticipino la piena entità del futuro innalzamento del livello del mare”.

Come cambiano gli ecosistemi marini
ll riscaldamento e l’alterazione dei valori chimici degli oceani stanno già distruggendo le specie in tutta la catena trofica, con impatti sugli ecosistemi marini e sulle persone che da loro dipendono.

Ad oggi, l’oceano ha assorbito oltre il 90% del calore in eccesso nel sistema climatico. Entro il 2100, l’oceano assorbirà da 2 a 4 volte più calore rispetto all’intervallo compreso dal 1970 ad oggi, se il riscaldamento globale è limitato a +2°C e fino a 5-7 volte di più in uno scenario con emissioni più elevate. Il riscaldamento dell’oceano non consente il rimescolamento dei vari strati d’acqua e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive per la vita marina.

Le ondate di calore marine sono raddoppiate in frequenza dal 1982 e stanno aumentando di intensità. Si prevede che sia il riscaldamento sia le ondate di calore abbiano un ulteriore aumento in frequenza, durata, estensione e intensità. La loro frequenza sarà di 20 volte maggiore in uno scenario a + 2°C, rispetto ai livelli preindustriali e di 50 volte maggiore se le emissioni continuano ad aumentare fortemente.

L’oceano ha assorbito tra il 20 e il 30% delle emissioni di biossido di carbonio indotte dall’uomo dagli anni ’80, causando l’acidificazione degli oceani, che continuerà ad aumentare entro il 2100.

Il riscaldamento dell’oceano e la sua acidificazione, la perdita di ossigeno e i cambiamenti nella disponibilità di nutrienti stanno già influenzando la distribuzione e l’abbondanza della vita marina nelle zone costiere, in mare aperto e sul fondale marino.

I cambiamenti nella distribuzione delle popolazioni ittiche hanno ridotto il potenziale di di pesca globale. In futuro alcune aree, come gli oceani tropicali, subiranno ulteriori riduzioni, mentre altre regioni, come l’Artico, assisteranno ad incrementi. Le comunità che dipendono fortemente dai prodotti ittici possono avere difficoltà per quanto attiene l’alimentazione e la sicurezza alimentare.

La riduzione delle emissioni di gas serra limiterà gli impatti sugli ecosistemi marini che ci forniscono cibo, sostengono la nostra salute e modellano le nostre culture – ha affermato Hans-Otto Pörtner, co-Presidente del WG II – Ridurre le altre pressioni, come l’inquinamento, aiuterebbe ulteriormente la vita marina a gestire i cambiamenti che avvengono nel suo ambiente, consentendo nel contempo all’oceano maggior resilienza. Politiche quadro, come quelle per la gestione della pesca e delle aree marine protette, offrono alle comunità opportunità di adattarsi ai cambiamenti e di minimizzare i rischi per i nostri mezzi di sussistenza”.

Il ghiaccio marino artico diminuisce, il permafrost si scioglie
L’estensione del ghiaccio marino artico sta diminuendo in ogni mese dell’anno e si sta assottigliando. Se il riscaldamento globale fosse stabilizzato a +1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali, l’oceano artico sarebbe libero da ghiaccio nel mese di settembre – il mese con meno ghiaccio – una volta ogni cento anni. Nel caso di riscaldamento globale di +2 °C, ciò accadrebbe un anno ogni tre.

Chi vive nell’Artico, come le popolazioni indigene, ha già adattato il modo di spostarsi e le attività di caccia in base alla stagionalità, alla sicurezza delle condizioni del terreno, del ghiaccio e della neve. Alcune comunità costiere hanno già pianificato il loro trasferimento, ma il successo del loro adattamento dipende dalle loro capacità, dai finanziamenti e dal sostegno istituzionale.

Ghiacciato per anni, il terreno su cui poggia il permafrost si sta riscaldando e scongelando, si prevede che l’ampio disgelo del permafrost abbia luogo nel corso del XXI secolo. Anche se il riscaldamento globale fosse limitato ben al di sotto dei +2°C, circa il 25% del permafrost superficiale (3-4 metri di profondità) si scongelerà entro il 2100. Se le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare fortemente, esiste la possibilità che il 70% del permafrost vicino alla superficie vada perduto.

I permafrost artico e boreale contengono grandi quantità di carbonio organico, quasi il doppio del carbonio presente nell’atmosfera e, se si scongelano, possono contribuire all’aumento della concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera. Non è chiaro se esiste già un rilascio netto di anidride carbonica o di metano a causa del disgelo in corso del permafrost artico.

In futuro, l’aumento della crescita delle piante può incrementare lo stoccaggio di carbonio nel suolo e compensare il rilascio di carbonio dal disgelo del permafrost, ma su una scala di grandi cambiamenti a lungo termine.

Gli incendi violenti stanno distruggendo gli ecosistemi nella maggior parte delle regioni della tundra, regioni boreali e regioni montane.

Conoscere per agire
Ridurre fortemente le emissioni di gas serra, proteggere e ripristinare gli ecosistemi, una gestione attenta dell’uso delle risorse naturali sono tutte azioni che renderebbero possibile preservare l’oceano e la criosfera come fonti di opportunità a supporto dell’adattamento ai futuri cambiamenti, limitando i rischi e offrendo in aggiunta molteplici vantaggi sociali.

Saremmo in grado di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei +2°C rispetto ai livelli preindustriali solo se mettessimo in atto modifiche senza precedenti delle nostre abitudini in tutti gli ambiti della società, quali l’energia, il territorio e gli ecosistemi, le città e le infrastrutture, nonché l’industria – ha sottolineato Debra Roberts, co-Presidente del WG II – Le ambiziose politiche climatiche e le riduzioni di emissioni necessarie per realizzare l’Accordo di Parigi proteggeranno anche l’oceano e la criosfera e, infine, sosterranno tutta la vita sulla Terra”.

Il Rapporto fornisce le migliori conoscenze scientifiche disponibili per sostenere le azioni dei governi e delle comunità, incorporando nel loro specifico contesto tali conoscenze scientifiche sui futuri cambiamenti che sono inevitabili e plausibili, per limitare l’entità dei rischi e gli impatti climatici.

Quanto più presto e risolutamente agiremo – ha aggiunto la Roberts – tanto più saremo in grado di affrontare l’inevitabile cambiamento, gestire i rischi, migliorare la nostra vita e raggiungere la sostenibilità per gli ecosistemi e le persone in tutto il mondo, oggi e in futuro”.

Il Rapporto fornisce le prove dei benefici ottenibili, combinando la conoscenza scientifica con il sapere delle popolazioni dei luoghi per sviluppare opzioni adeguate al fine di gestire i rischi dei cambiamenti climatici e migliorare la resilienza. Peraltro, questo è il primo Rapporto IPCC che evidenzia l’importanza dell’istruzione per migliorare la conoscenza dei cambiamenti climatici, l’alfabetizzazione alla conoscenza dell’oceano e della criosfera.

Questo Rapporto speciale costituirà un contributo fondamentale per i leader mondiali in vista della prossima Conferenza delle Parti (COP25) della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), in programma in Cile (Santiago, 2-13 dicembre 2019).

Per decenni l’oceano e la criosfera del Pianeta hanno ‘trattenuto il calore’ prodotto dal cambiamento climatico, con conseguenze radicali e pesanti per l’umanità e la natura – ha dichiarato Kio Barrett, Vice-presidente dell’IPCC – I rapidi cambiamenti dell’oceano e delle regioni ghiacciate del pianeta stanno inducendo le persone che vivono nelle città costiere come nelle più remote comunità artiche, a modificare profondamente i loro modi di vivere – Con la comprensione delle cause di questi cambiamenti e degli impatti che ne derivano, così come con la valutazione delle opzioni disponibili, noi possiamo rafforzare la nostra capacità di adattamento. Lo SROCC fornisce la conoscenza per facilitare questo tipo di decisioni”.

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