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Demenza senile: esisteva al tempo degli antichi greci e romani?

Uno Studio condotto dall’Università di California del Sud (USC) sui testi medici degli antichi greci e romani supporta l’ipotesi che la demenza senile e le demenze correlate alla malattia di Alzheimer siano conseguenza di inquinamento ambientale e a scorretti stili di vita.  

Sussiste la possibilità che demenze e demenze correlate alla malattia di Alzheimer (AD/ADRD), le forme più comuni di perdita di memoria, siano conseguenza delle condizioni ambientali e degli stili di vita dell’età moderna.

A supportare tale ipotesi è lo StudioDementia in the Ancient Greco-Roman World Was Minimally Mentioned” messo online il 25 gennaio 2024 prima della pubblicazione sul Journal of Alzheimer’s Disease e condotto da due Professori dell’Università della California del Sud (USC)  di Los Angeles.

Nel mondo, secondo i dati del World Alzheimer Report 2023 dell’ Alzheimer’s Disease International, sono oltre 55 milioni le persone che convivono con la demenza, una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane. In Italia, secondo stime dell’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 1.100.000 persone soffrono di demenza (di cui il 50-60% sono malati di Alzheimer, circa 600mila persone) e circa 900.000 quelle con disturbo neurocognitivo minore (Mild Cognitive Impairment).

L’analisi condotta sui testi medici classici greci e romani suggerisce che una grave perdita di memoria, che oggi si verifica a livelli epidemici, era estremamente rara tra 2.000 e 2.500 anni fa, ai tempi di Aristotele, Galeno e Plinio il Vecchio.

Nei testi degli antichi greci si sono pochissime, ma noi le abbiamo trovate, menzioni di qualcosa che sarebbe simile a un lieve deterioramento cognitivo – ha affermato il Professore Caleb Finch della USC Leonard Davis School of Gerontology e principale autore dello studio – Quando siamo arrivati ​​ai Romani, abbiamo trovato almeno quattro affermazioni che suggeriscono rari casi di demenza avanzata, anche se non possiamo dire se si tratti di Alzheimer. Quindi c’è stata una progressione dagli antichi greci ai romani”.

Secondo gli autori, gli antichi greci avevano ben presente che l’invecchiamento porta comunemente a problemi di memoria che si potrebbe riconoscere come lieve deterioramento cognitivo (MCI), ma nulla che si avvicini a una grave perdita di memoria, parola e ragionamento, causata dall’Alzheimer e da altri tipi di demenza.

Finch e il coautore Stanley Burstein, Professore presso il Dipartimento di Storia della USC hanno studiato attentamente un importante corpus di scritti medici antichi di Ippocrate e dei suoi seguaci, osservando che i testi segnalano i disturbi degli anziani come sordità, vertigini e disturbi digestivi, ma non fa menzione della perdita di memoria.

Secoli dopo, nell’antica Roma, emergono alcuni cenni. Galeno osserva che all’età di 80 anni alcuni anziani cominciano ad avere difficoltà ad apprendere cose nuove. Plinio il Vecchio annota che il senatore e famoso oratore Valerio Messalla Corvino dimenticò il proprio nome. Cicerone osservò prudentemente che “la stupidità degli anziani… è caratteristica dei vecchi irresponsabili, ma non di tutti i vecchi”.

Finch ipotizza che man mano che le città romane diventavano più densamente popolate, l’inquinamento aumentava, facendo crescere i casi di declino cognitivo. Inoltre, gli aristocratici romani usavano recipienti da cucina in piombo, tubi dell’acqua in piombo e persino aggiungevano acetato di piombo nel loro vino per addolcirlo, avvelenandosi involontariamente con la potente neurotossina.

Gli autori fanno notare che alcuni scrittori antichi riconobbero la tossicità dei materiali contenenti piombo, ma furono fatti pochi progressi nell’affrontare il problema fino al XX secolo inoltrato. Ora sappiamo che “l’acqua del rubinetto” dell’antica Roma conteneva 100 volte più piombo delle acque sorgive locali,  tanto che alcuni studiosi si sono spinti in modo esagerato ad attribuire all’avvelenamento da piombo la caduta dell’Impero Romano.

I due studiosi dell’Università non si sono limitati all’Impero Romano o ai Greci. In assenza di dati demografici per l’antica Grecia e Roma, si sono riferiti ad un precedente modello per l’invecchiamento antico: gli odierni amerindi Tsimane, un popolo indigeno dell’Amazzonia boliviana, che, come gli antichi greci e romani, hanno uno stile di vita preindustriale molto attivo fisicamente e hanno tassi estremamente bassi di demenza

Un team internazionale di ricercatori cognitivi guidati da Margaret Gatz, professoressa di Psicologia, Gerontologia e Medicina preventiva presso la Leonard Davis School dell’USC, ha scoperto che tra gli anziani Tsimane solo l’1% circa soffre di demenza, contro l’11% delle persone di età pari o superiore a 65 anni che vivono negli Stati Uniti che soffrono di demenza, secondo l’Alzheimer Association.

I dati sugli Tsimane, che sono piuttosto approfonditi, sono molto preziosi – ha osservato – Si tratta di una vasta popolazione di anziani meglio documentata che soffre in percentuale minima di demenza, il che indica che l’ambiente è un fattore determinante sul rischio di demenza. Ci offrono un modello per porci delle domande”.

In copertina: La testa 535 della Fondazione Torlonia ritrae un ignoto personaggio virile ed è capolavoro del cosiddetto ritratto romano repubblicano durante il periodo di Silla. Si tratta di una copia di epoca tiberiana (I secolo d.C.) di un originale del decennio 80-70 a, C.

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