Risorse e consumi

Acqua: la disponibilità è cambiata e la responsabilità è dell’uomo

Uno Studio a cui ha collaborato la Fondazione CMCC dimostra per la prima volta come i cambiamenti climatici di origine antropica abbiano influenzato la disponibilità d’acqua terrestre nei mesi più secchi dell’anno, dal periodo preindustriale ad oggi.

L’acqua è la linfa vitale degli ecosistemi e una delle risorse naturali più importanti per gli esseri umani. L’acqua terrestre disponibile, cioè la quantità di acqua rimasta dalle precipitazioni dopo l’evaporazione, non è solo distribuita in modo non uniforme su tutto il Pianeta, ma cambia anche nel tempo. Le osservazioni mostrano che il volume di acqua disponibile è in calo in alcune regioni del mondo da alcuni decenni. Un esempio è l’Europa meridionale, dove l’aridità è in aumento. Ma in altre aree l’approvvigionamento idrico tende al rialzo.

È scientificamente indiscutibile che l’aumento delle concentrazioni atmosferiche di CO2 influenzi il complesso ciclo globale dell’acqua in vari modi. Tuttavia non è stato possibile finora dimostrare un effetto diretto del riscaldamento globale sulle risorse idriche terrestri disponibili negli ultimi decenni. Le serie storiche di osservazioni, a volte troppo brevi e qualitativamente inadeguate, non hanno consentito di escludere la variabilità climatica naturale come causa dei cambiamenti osservati.

Ora un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Sonia Seneviratne, Professoressa di  Land-Climate Dynamics presso la Scuola politecnica federale svizzera (ETH) di Zurigo, di cui ha fatto parteDaniele Peano, ricercatore nell’ambito della divisione Climate Simulations and Predictions alla Fondazione CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), ha dimostrato per la prima volta che i cambiamenti climatici indotti dall’uomo sono responsabili dei cambiamenti osservati di disponibilità di acqua terrestre.

Lo studioObserved changes in dry-season water availability attribued to human induced climateb change“, pubblicato sul numero di luglio 2020 di Nature Geosciences, ha ricostruito la disponibilità di acqua a livello mondiale nel mese più secco degli anni tra il 1902 e il 2014 utilizzando modelli climatici e nuovi dati basati sulle osservazioni.

Siamo stati in grado di dimostrare che questo modello globale di cambiamenti osservati è coerente con gli effetti dei cambiamenti climatici indotto dall’uomo – ha affermato Ryan S. Padrón, ricercatore presso l’Institute for Atmospheric and Climate Science dell’ETH e principale autore dello Studio –  È altamente improbabile che sia il prodotto di fluttuazioni naturali”.

La ricerca si è articolata in due fasi.
Il primo passo è stato quello di realizzare e confrontare, utilizzando modelli di superficie terrestre e modelli statistici guidati da osservazioni, mappe globali della distribuzione dell’acqua disponibile nel suolo dal 1902 al 2014, periodo in cui si è verificato un aumento della temperatura media globale di circa un grado. L’analisi si è focalizzata sulla differenza tra la disponibilità d’acqua media del periodo 1902-1950 e quella del periodo 1985-2014, ponendo a confronto il mese più secco dell’anno. Il team di scienziati ha così verificato una riduzione media della disponibilità d’acqua a livello globale nell’ultimo secolo, con differenze regionali. Il 57-59% della superficie terrestre ha sperimentato un aumento dell’aridità nel mese più secco dell’anno: è il caso delle zone di medie latitudini come l’Europa, il Nord America occidentale, l’Asia settentrionale, il Sud America meridionale, l’Australia e l’Africa orientale. All’opposto, in altre parti del mondo (41-43% dei territori), come l’entroterra cinese, l’Asia sud-orientale e il Sahel, l’umidità è aumentata.

Inoltre, rivela lo studio, l’intensificarsi delle stagioni secche deriva principalmente da una maggiore evaporazione dell’acqua piuttosto che dalla riduzione delle precipitazioni.

Il secondo passo è stato quello di attribuire la responsabilità di questo cambiamento, per comprendere se e in che termini questo dipenda dai cambiamenti climatici di origine antropogenica piuttosto che dalla variabilità naturale.
Attraverso un’analisi multi-modello, abbiamo paragonato in diversi set di esperimenti la distribuzione nel mondo della disponibilità d’acqua in tre diverse configurazioni: il mondo del 1850 (preindustriale), il mondo come lo osserviamo oggi (influenzato da variabilità naturale e antropogenica) e il mondo che avremmo osservato oggi se la variabilità naturale fosse stata l’unica ad influire sul clima – ha spiegato Daniele Peano, Ricercatore nell’ambito della divisione Climate Simulations and Predictions alla Fondazione CMCC, co-autore dello studio – Con e senza l’attività umana, le simulazioni ci catapultano in un inizio di ventunesimo secolo completamente diverso, mentre il mondo del preindustriale non è così differente da quello che avremmo avuto oggi senza l’influenza dell’uomo sul sistema climatico. Così facendo, abbiamo potuto escludere l’impatto della variabilità naturale, ottenendo l’influenza umana come unica spiegazione della variazione di disponibilità d’acqua terrestre dal periodo preindustriale ad oggi”.

Nel contesto dell’attuale e atteso aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale, risulta fondamentale comprendere l’origine e l’entità dei cambiamenti sul ciclo idrologico e quindi sulla disponibilità di risorse idriche, e non solo per quei Paesi che soffrono di una grave carenza d’acqua.

Peraltro, i risultati dello studio supportano le conclusioni a cui sono pervenuti altri ricercatori europei nell’ambito Progetto bilaterale XEROS (eXtreme EuRopean drOughtS: sintesi multimodello di eventi passati, presenti e futuri), finanziato dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft e dalla Czech Science Foundation, secondo cui senza una drastica riduzione delle emissioni di gas serra la frequenza delle siccità record biennali come quelle registrate nell’Europa centrale nel 2018-2019 sono destinate ad aumentare fino a 7 volte entro la fine del secolo.

In copertina: Il lago Hintersee in Baviera (Germania)

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