Fonti fossili Sostenibilità

Sussidi ambientali: quelli dannosi pesano ben di più dei favorevoli

Dalla II edizione del Catalogo messo on line dal MATTM si evince che, nonostante gli impegni assunti di graduale rimozione dei sussidi ambientali dannosi, l’Italia sta procedendo in tutt’altra direzione.

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ha messo online l’8 luglio 2019 il “Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli.2017” che, come stabilito dall’art. 68 della Legge n. 221 del 2015 (il cosiddetto “Collegato ambientale”), deve essere predisposto annualmente entro il 30 giugno, anche tramite le informazioni rese dall’ISPRA, dalla Banca d’Italia, dai Ministeri, Regioni, Enti locali e gli altri Centri di ricerca.

In base alle disposizioni di legge, i sussidi del catalogo sono intesi nella loro definizione più ampia e comprendono, tra gli altri, gli incentivi, le agevolazioni, i finanziamenti agevolati e le esenzioni.

Obiettivo del catalogo, come afferma il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa nella prefazione, “fornire ai cittadini, alle imprese e agli studiosi un importante strumento di conoscenza, al Parlamento e al Governo un importante strumento di conoscenza ma anche di decisione”, anche al fine di accogliere le raccomandazioni comunitarie e internazionali.

Nella prima edizione del Catalogo, pubblicata il e relativa all’anno 2016, erano stati individuati 131 schemi di sussidi ambientali potenzialmente rilevanti sotto il profilo ambientale, per un valore finanziario complessivo, di circa 41 miliardi di euro (2,5% del PIL):
57 forme di sussidio dannoso per l’ambiente (SAD), per una spesa finanziaria complessiva di 16,2 miliardi di euro;
46 forme di sussidio favorevole all’ambiente (SAF), per un valore di 15,7 miliardi;
27 sussidi “incerti”, per un valore complessivo di 5,8 miliardi;
1 sola misura “neutrale” (SAN), per un importo di 3,5 miliardi.

In linea di principio, tutti i sussidi pubblici dovrebbero essere “favorevoli all’ambiente” o “neutrali” (non avere, cioè, impatti significativi dal punto di vista ambientale).

In questa seconda edizione relativa ai dati del 2017:
– i SAD sono stati stimati in 19,3 miliardi di euro, con ben 16,8 come sussidi alle fonti fossili;
– i SAF sono stati pari a 15,2 miliardi di euro;
– quelli di incerta classificazione in 6,6 miliardi di euro.

In poche parole, nonostante l’Accordo di Parigi e le dichiarazioni finali al termine degli annuali G7 e G20 sulla rimozione graduale dei sussidi ai combustibili fossili entro il 2025, anche il nostro Paese non sta tenendo fede agli impegni assunti, anzi procede in tutt’altra direzione, dal momento che a distanza di un anno, sia in termini assoluti che relativi, i sussidi ambientali dannosi sono aumentati.

Riformare i sussidi ambientali favorevoli ed eliminare quelli dannosi resta nelle mani del potere politico – osserva nell’introduzione Francesco La Camera, Direttore Generale per lo Sviluppo Sostenibile, il danno ambientale, i rapporti con l’UE e gli Organismi internazionali e da aprile 2019 Direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia rinnovabile (IRENA)così come riutilizzare le risorse liberate”.

Sulla base delle indicazioni fornite da OCSE e UE, i tecnici del Ministero hanno indicato 5 principali opzioni:
a) abbattere altre forme di fiscalità maggiormente distorsive del mercato e della produzione (ad es. lavoro e imprese);
b) finanziare attività ambientalmente rilevanti, a cominciare dall’eco-innovazione;
c) finanziare altre attività non-ambientali rilevanti ai fini dello sviluppo sostenibile (ad es. scuole, ospedali, mobilità);
d) contribuire alla riduzione del debito pubblico accumulato;
e) finanziare la cooperazione ambientale internazionale (ad es. clima e biodiversità) e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Ma di tutto questo nel Documento di Economia e Finanza (DEF) non c’è traccia.

 

 

 

 

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