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Il piano dei grandi inquinatori per trarre profitti dalla riforma dell’EU-ETS

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Il 15 dicembre 2016, la Commissione Ambiente del Parlamento europeo voterà sul progetto di riforma del Sistema europeo di scambio di quote di emissione (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS), il principale strumento adottato dall’Unione europea, in attuazione del Protocollo di Kyoto, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori, ovvero i settori industriali caratterizzati da maggiori emissioni, istituito con la Direttiva 2003/87/CE e successive modificazioni.
La proposta è stata presentata della Commissione UE, anche al fine di centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 del Pacchetto “Clima ed Energia“, che sono stati confermati nell’impegno (INDC) trasmesso alla Segreteria della Conferenza UNFCCC nell’ambito della ratifica dell’Accordo di Parigi e che prevedono per i settori sottoposti all’EU-ETS una riduzione del 43% complessivo rispetto alle emissioni del 2005.

Sulla proposta sono stati presentati ben 729 emendamenti che, qualora accolti, potrebbero elargire alle industrie ad alta intensità energetica più di 230 miliardi di euro di sussidi, in totale contraddizione del principio originario che era sotteso al Sistema, “chi inquina, paga”.
È questo il rischio paventato da Corporate Europe Observatory (CEO), organizzazione non-profit che si occupa di raccogliere e documentare le azioni e gli eventuali effetti dell’attività di lobbying da parte di società nazionali o multinazionali sui processi decisionali all’interno dei principali organi dell’UE (Commissione, Consiglio, Parlamento …) che ha diffuso alla vigilia del voto al Parlamento UE il Rapporto “Carbon Welfare“.

Secondo l’Osservatorio, le corporation inquinanti hanno tutto da guadagnare da una un’azione climatica debole e non dovrebbero avere alcun ruolo nelle relative politiche, invece “La revisione della Direttiva ETS ha presentato una perfetta opportunità per i lobbisti per annacquare l’azione per il clima dell’UE – ha affermato Belén Balanyá, co-autrice del Report e del più famoso “Europe Inc.” che 26 anni fa già denunciava i rapporti tra le grandi corporation e le politiche dell’allora nascente Unione europea – Anche piccole modifiche alle modalità con cui vengono distribuiti i permessi di inquinamento possono generare milioni di profitti o di risparmi. Invece di far pagare i grandi inquinatori, ora l’EU-ETS sembra destinata a far aumentare i loro profitti“.

Di seguito sono riportati alcuni dei principali risultati che emergono dal Rapporto.

– Alcune delle industrie più inquinanti d’Europa hanno fatto pressioni per elargizioni superiori a 175 miliardi di euro derivanti dal valore dei permessi ad inquinare concessi tra il 2021 e il 2030, sovvenzioni che equivalgono a un sistema di benessere del carbonio per le grandi imprese, con i cittadini comuni che ne pagano il conto.

– Le industrie ad alta intensità energetica hanno fatto forti pressioni ad alto livello per un sistema che le risarcisca degli aumenti dei prezzi dell’energia elettrica causati dal compensazione per i loro aumenti di prezzo dell’energia elettrica causati dalle scambio delle emissioni. Ad esempio, i produttori di alluminio hanno ottenuto il sostegno del Governo italiano in seno al Consiglio UE per proporre un sistema di indennizzo dell’energia elettrica, mentre diversi deputati italiani hanno proposto modifiche nello stesso senso in Parlamento. Il costo di queste sovvenzioni potrebbe arrivare fino ad un aumento di 58 miliardi di euro, soldi che sosterrebbero i grandi inquinatori, piuttosto che gli investimenti nella trasformazione verso un’economia più pulita.

– Il relatore del provvedimento in seno alla Commissione Ambiente del Parlamento europeo lo scozzese Ian Duncan, suggerendo che per le sue “priorità energetiche” l’UE dovrebbe rinunciare agli obiettivi di riduzione delle emissioni per gli impianti off-shore, che costituiscono una “minaccia per l’industria petrolifera e del gas della Scozia“, con tale deroga verrebbero regalati ai produttori del settore 1,7 miliardi di euro.

Negli ultimi due anni, i Commissari UE per il Clima e per l’Energia si sono incontrati con lobbisti delle imprese del settore (ShellArcelor Mittal ed Eurofer su tutti ) sette volte di più rispetto agli altri gruppi di pubblico interesse per discutere di ETS.

– Eurelectric (l’Associazione europea dell’industria elettrica) ha sostenuto con forza il sistema di scambio delle emissioni e di recente ha pure proposto un obiettivo di riduzione delle emissioni più ambizioso rispetto a quello della Commissione UE, ma i lobbisti delle grandi imprese dell’energia elettrica stanno utilizzando la riforma del sistema per difendersi contro le politiche più efficienti per combattere i cambiamenti climatici. In particolare, il Gruppo Magritte avrebbe fatto pressioni per annacquare gli obiettivi di efficienza energetica e di sostegno delle energie rinnovabili in nome della difesa del prezzo del carbonio, mentre, al contempo, è proseguita l’attività di pressione per il prosieguo dei sussidi ai combustibili fossili all’interno del Pacchetto invernale sull’energia.

– Eurelectric e le imprese dell’energia elettrica dell’Europa centrale e orientale hanno chiesto la prosecuzione della clausola derogatoria “opt-outing” prevista dall’Art. 10c della Direttiva [ndr: la concessione ad alcuni Stati membri di non mettere all’asta le quote non assegnate gratuitamente] e dei sussidi, che hanno finora comportato elargizioni di 12 miliardi di euro, soprattutto per le centrali a carbone. La società elettrica pubblica greca, con il supporto di diversi deputati, ha fatto pressioni per un opt-outing che potrebbe tradursi in più di 1,7 miliardi di euro a sostegno di due nuove centrali a carbone.

– La vasta attività di lobbying delle Associazioni di Bruxelles, in particolare di BusinessEurope (la Confindustria europea) e dei settori ad alta intensità energetica, amplificata da parte delle federazioni nazionali e delle aziende locali, ha esercitato una notevole pressione sui deputati per attingere ulteriori sussidi dall’ETS, sostenendo che lo scambio delle quote potrebbe comportare il dirottamento di investimenti al di fuori dell’UE, con conseguente riduzione dei posti di lavoro, anche se diversi studi hanno sfatato questo mito, indicando nelle regole del commercio (in combinazione con retribuzione e condizioni di lavoro più basse che sussistono altrove) la più grande minaccia per l’industria europea.

La riforma dello scambio delle emissioni dell’UE si sta rivelando un sistema di benessere del carbonio per gli inquinatori – ha sintetizzato il co-autore del Rapporto, Oscar Reyes – mentre alla gente comune viene chiesto di pagarne il conto“.

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