Nel corso della 2a edizione del “Venice Sustainable Fashion Forum”, il summit promosso da Sistema Moda Italia (SMI) , The European House – Ambrosetti (THEA) e Confindustria Veneto Est (Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso), è stato presentato l’aggiornamento 2023 dello Studio “Just Fashion Transition”, realizzato da THEA, che ha evidenziato la necessità di promuovere lo sviluppo e l’adozione su larga scala di tecnologie verdi lungo l’intera catena del valore della moda. Le 8 raccomandazioni per una transizione equa della moda.
In occasione del 2° “Venice Sustainable Fashion Forum” (26-7 ottobre 2023) dal titolo “Boosting Transition”, l’evento promosso da Confindustria Veneto Est (Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso), Sistema Moda Italia (SMI) e The European House – Ambrosetti (THEA), con il contributo di numerosi operatori del settore (Alperia, D.B. Group, DNV – Supply Chain & Product Assurance, Give Back Beauty, Greenberg Traurig Santa Maria, Leaf Foundation, Physis, Samsung Galaxy, Sopra Steria, Unicredit, Gruppo Mastrotto, Gruppo Florence, Acimit, Assomac, Carbonsink, Chargeurs PCC, Clerici Tessuto, FGL International, Fiorini International, Guess Europe, Pattern Group, Unisalute), è stato presentato l’aggiornamento 2023 di “Just Fashion Transition” .
Lo Studio, realizzato da The European House – Ambrosetti, evidenzia le sfide e le opportunità insite nella transizione sostenibile della catena del valore della moda, rivolgendo 8 raccomandazioni a istituzioni e attori chiave per promuovere una transizione che non sia solo sostenibile, ma anche giusta e capace di bilanciare interessi ed aspettative dei diversi stakeholder coinvolti, senza lasciare nessuno indietro.
Di seguito gli highlights dello Studio.
La pressione normativa dell’UE sarà efficace? La Commissione UE ha infatti lanciato nel 2022, nell’ambito del Pacchetto legislativo di proposte per prodotti sostenibili, la nuova Strategia per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, volta a garantire che entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE siano riciclabili e di lunga durata, realizzati il più possibile con fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente.
Secondo lo Studio THEA, la EU Textile Strategy ha incontrato diversi ostacoli durante la sua gestazione. Su 14 principali azioni legislative presentate, sembra che solo il 51% abbia riscosso consenso, e si riscontrano forti ritardi nelle approvazioni, connessi alle difficoltà incontrate durante i triloghi o all’influenza esercitata da gruppi di pressione, per problemi di efficacia.
Un’analisi preliminare d’impatto sulla nuova proposta di Regolamento sull’ecodesign, effettuata su specifiche categorie di prodotto, non è incoraggiante: l’applicazione dei principi alle magliette 100% cotone comporterebbe solo un taglio di circa 3,51 milioni di tonnellate CO₂eq pari allo 0,3% dell’impronta annuale di carbonio europea.
Nell’ambito della EU Textile Strategy, con la revisione della Direttiva rifiuti la Commissione vuole accelerare lo sviluppo del settore della raccolta differenziata, della cernita, del riutilizzo e del riciclaggio dei tessili nell’UE, proponendo l’introduzione in tutti gli Stati membri di regimi obbligatori e armonizzati di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i tessili. Inoltre, per contrastare gli impatti negativi connessi alle spedizioni di rifiuti in Paesi extra UE, indebitamente camuffate dal pretesto del riutilizzo, è stata adottata la proposta di revisione del Regolamento, secondo cui le esportazioni potranno avvenire solo quando vi siano garanzie che i rifiuti tessili saranno gestiti in modo ecologicamente corretto.
Oggi, il fashion si distingue come il settore con il maggior volume di rifiuti esportati verso Paesi non-OCSE (93,5% del totale), un valore che è quintuplicato tra il 2000 e il 2019, raggiungendo 1,7 milioni di tonnellate. La proposta europea però implica una profonda e complessa riforma per razionalizzare e rafforzare il sistema doganale europeo.
Secondo il report, un capo sostenibile costa il doppio. Una maglietta tradizionale in cotone ammonta a circa 3,87 dollari. Il capo viene poi rivenduto al consumatore a un prezzo di circa 2 volte superiore (fino a 8 dollari). Casi studio mostrano invece che produrre una maglietta in cotone etico da commercio equo e solidale possa costare fino a 8,72 dollari con un prezzo al dettaglio di circa 36 dollari – quattro volte superiore al costo di produzione.

La fibra sostenibile non esiste. L’impronta ambientale si riduce grazie alla tecnologia. Circa il 70% delle fibre utilizzate per confezionare abiti e tessuti da arredamento sono infatti sintetiche (poliestere e nylon). Mentre le fibre naturali sono comunemente percepite come più “rispettose dell’ambiente” in quanto rinnovabili e biodegradabili, i dati testimoniano che in alcuni casi, ne è esempio il cotone, possono esercitare impatti ambientali maggiori rispetto alle alternative sintetiche o artificiali.
Nel 2020, i Paesi UE-27 hanno importato oltre 8,7 milioni di tonnellate di materiale tessile e hanno prodotto 6,9 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti. Le attività riconducibili a produzioni tessili hanno prodotto emissioni per 121 milioni di tonnellate di CO₂eq, usando 175 milioni di tonnellate di materie prime vergini, consumando 24.000 milioni di m3 di acqua e occupando 180.000 km² di terreno – circa 400 m² per persona. Eppure, a fronte di questi dati, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) riporta che tra il 2017 e il 2020 l’impatto ambientale unitario dei prodotti tessili domestici è diminuito in media del 46,3% in soli 4 anni. Sempre tra il 2017 e il 2020, lo sviluppo tecnologico nel settore Moda è avanzato del 23,3% principalmente trainato dall’incremento di brevetti depositati.
L’atteggiamento dei consumatori e lo “spreco” delle restituzioni online. Il 58% dei consumatori globali afferma che avere un impatto sulla sostenibilità della moda sia personalmente importante, ma le persone di ogni età acquistano raramente abbigliamento sostenibile nei negozi abituali. In più, circa il 30% degli acquisti online viene restituito, e il 70% di questi resi è il risultato di un “cambio di idea”, fatto senza rendersi conto delle ripercussioni: come per esempio il conferimento in discarica di un’ingente quantità di capi “indesiderati”. Una parte considerevole finisce in Africa, dove più del 50% dei vestiti usati diventa immediatamente rifiuto.
Le opportunità del riciclo e del riuso.Le stime sui rifiuti tessili prodotti annualmente in Europa variano dai 5,2 milioni di tonnellate ai 7,5 milioni di tonnellate – pari a circa 26 miliardi di capi di abbigliamento con una crescita del 20% prevista al 2030. Più del 60% dei prodotti tessili gettati sono composti da fibre sintetiche come il poliestere. In media, su 35 articoli tessili buttati ogni anno da un cittadino europeo, 3 vengono riciclati e meno di 1 viene riutilizzato nel mercato domestico.
L’industria europea del riciclo di materiali tessili vale più di 4,6 miliardi di dollari, pari al 29,6% del valore complessivo a livello globale, ed è in grado di gestire più del 32% dei rifiuti tessili generati annualmente nel continente (circa 700.000 tonnellate). In questo contesto, considerata la crescente concentrazione di capi sintetici sul mercato europeo, il riciclo rappresenta una soluzione sempre più promettente.
Il riuso, a sua volta, consente di evitare fino al 97% delle emissioni di CO₂ e di ridurre del 99% il consumo di acqua rispetto al riciclo chimico. Il mercato del lusso di seconda mano, che nel 2018 valeva 24 miliardi di dollari, sembra essere cresciuto rapidamente, con un aumento del 28% nel 2022.
Le sfide per le aziende nella sostenibilità. A dieci anni di distanza dal crollo di Rana Plaza (Bangladesh), solo 1,5 milioni di lavoratori sui 75 milioni che compongono il settore globale riceve un salario adeguato e dispone di contratti di assunzione formali, orari di lavori stabili o protezioni stabilite in base al diritto del lavoro.
Cresce l’impegno delle aziende per la transizione. Tra il 2021 e il 2022, il numero di aziende europee della moda che presidiano la sostenibilità è aumentato del 17%: 71 tra le 100 più grandi si sono già attrezzate per gestire la transizione ma la migliore tra queste soddisfa solo il 70% dei requisiti di maturità dei presidi ESG.
Evidenziare una forte correlazione tra presidio e accelerazione delle performance è ancora complesso, ma le aziende con una governance ESG strutturata e remunerazioni collegate vantano presidi superiori in media del 36% rispetto ai propri concorrenti, mentre le aziende che hanno rendicontato le proprie emissioni in modo regolare negli ultimi 4 anni hanno ottenuto una riduzione del 37% delle emissioni di scopo 1 e 2.

Lo studio si conclude con 8 proposte per una transizione giusta della moda globale che hanno costituito il fulcro del dibattito dei due giorni del Forum:
– Anticipare la transizione del mercato, per orientare e canalizzare l’azione delle aziende verso la tempestiva adozione di strumenti volontari e obbligatori, che la UE sta sviluppando in qualità di leader globale sulla sostenibilità, anche con lo scopo di fornire riscontri e raccomandazioni per il miglioramento.
– Costituire delle task-force multi-stakeholder guidate dai governi, per agire come facilitatori della transizione e per consultarsi in modo flessibile con gli attori industriali chiave, Ong, esperti di settore, finanza e accademici, per definire una roadmap che sostenga la trasformazione ESG e lavorare verso obiettivi coerenti con le specificità nazionali.
– Catalizzare il cambiamento attraverso alleanze tra tutti gli attori a monte e a valle della filiera della moda, insieme al settore finanziario e ad altri componenti della catena di valore, e diffondere buone pratiche, consentendo anche ai legislatori di operare le scelte migliori nel più breve tempo possibile.
– Misurare l’impatto delle politiche attraverso un set minimo di dati per tutti, per valutare l’efficacia delle politiche e delle azioni normative, creando un database aggiornato, basato su un numero limitato di KPI significativi e coerenti con i prossimi requisiti di compliance europei e globali (Sustainability Reporting Standards e International Financial Reporting Standards).
– Promuovere un cambiamento culturale positivo, sfruttando il potenziale di comunicazione di messaggi ed esperienze positive (come eventi, concerti, ecc.), per coinvolgere i consumatori in un cambiamento culturale e influenzare le abitudini di consumo, e abbattendo la barriera che separa l’intento di acquisto sostenibile dall’azione.
– Creare un’avanguardia della sostenibilità guidata da catene del valore del lusso italiane e francesi, creando all’interno del Patto del Quirinale, un tavolo che accolga i leader del settore, italiani e francesi, per rendere il lusso un simbolo di qualità ma anche un precursore che indichi la direzione dell’equa transizione della moda, giocando un ruolo chiave con le istituzioni europee ed internazionali (tra cui l’OCSE).
– Rendere più profittevoli le scelte aziendali di sostenibilità, liberare e sfruttare appieno il potenziale di cambiamento delle aziende UE, promuovendo lo sviluppo, la diffusione e l’adozione su larga scala di tecnologie green lungo tutta la catena di valore della moda, traendo ispirazione dall’esperienza positiva dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense.
– Promuo vere un approccio integrato tra riciclo e riuso, così dacreare sinergie virtuose tra gli operatori specializzati, per affrontare efficacemente la sfida della sovrapproduzione, promuovendo un adeguato miglioramento della durabilità fisica e immateriale dei tessuti eco-progettati e riducendo allo stesso tempo i capi d’abbigliamento multimateriale.
“Bisogna liberare e sfruttare appieno il potenziale di cambiamento delle aziende UE promuovendo lo sviluppo, diffusione e adozione su larga scala di tecnologie green lungo tutta la catena di valore della moda – ha sottolineato Carlo Cici, Partner & Head of Sustainability Practices di THEA, presentando lo Studio – traendo ispirazione dall’esperienza positiva dell’IRA statunitense che riconosce fino al 40% del credito d’imposta alle aziende che investono nel green moltiplicando così almeno 5 volte gli investimenti in rinnovabili in un solo anno”.