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Diritto umano ad un ambiente sano: Ilva Taranto inserita in “sacrifice zone”

Lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e l’Ambiente nella sua relazione per la prossima Assemblea del Consiglio ONU sui diritti umani sottolinea che i decessi annuali per l’inquinamento ambientale superano di gran lunga le morti per Covid, e inserisce l’Ilva di Taranto tra le “zone di sacrificio” ovvero le aree caratterizzate da grave inquinamento e degrado ambientale, dove i profitti economici sono stati prioritari rispetto alle persone, causando abusi o violazioni dei diritti umani.

In vista della 49ma sessione del Consiglio delle Nazioni Unite sui Diritti Umani che si aprirà il 28 febbraio 2022 e che avrà a tema “Promuovere e proteggere tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali, compreso il diritto allo sviluppo”, è stata pubblicata il 15 febbraio 2022 la Relazione Il diritto a un ambiente pulito, salubre e sostenibile: un ambiente non tossico”, presentato da David Boyd, Relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti umani e l’Ambiente.

Dalla relazione emerge che l’inquinamento generato da Stati e imprese sta causando, a livello globale, un numero di decessi superiore a quelli dovuti al COVID-19. Pesticidi, plastiche e rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) sono da correlare ad almeno 9 milioni di decessi prematuri all’anno, mentre alla pandemia da coronavirus risalgono le cause del decesso di meno di 6 milioni di individui, secondo quanto stimato ad oggi dal Coronavirus Worldometer, una situazione che necessita di “un’azione immediata ed ambiziosa”.

Gli attuali approcci alla gestione dei rischi legati all’inquinamento e alle sostanze tossiche sono chiaramente fallimentari – ha osservato Boyd – e si stanno traducendo in diffuse violazioni del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile”.

Nel documento si chiede di mettere al bando i PFAS, sostanze generate dall’uomo usate nei prodotti per la casa, come gli utensili da cucina antiaderenti, definite “sostanze chimiche eterne” perché non si disintegrano facilmente.

Inoltre si raccomanda la pulizia dei siti inquinati e, in casi estremi, il trasferimento delle comunità interessate, molte di esse povere, emarginate e indigene, dalle cosiddette “zone di sacrificio”., termine con cui vengono indicati i luoghi caratterizzati da grave inquinamento e degrado ambientale, dove i profitti economici sono stati prioritari rispetto alle persone, causando abusi o violazioni dei diritti umani. Nelle “zone di sacrificio” di solito è presente più di una causa di contaminazione/degrado ambientale. Le aree rese inabitabili, o dove le comunità vivono in condizioni molto precarie, perché da esse sono derivati ​​vantaggi economici, tecnici e militari, sono considerate zone di sacrificio.

E tra le “zone di sacrifico” viene inserita anche l’area dell’Ilva di Taranto.
L’acciaieria Ilva di Taranto, in Italia, ha compromesso la salute delle persone e violato diritti umani per decenni scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico – vi si legge -. Nelle vicinanze i residenti soffrono di livelli elevati di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, malattie neurologiche debilitanti e mortalità prematura. Le attività di bonifica e risanamento che avrebbero dovuto iniziare nel 2012 sono state posticipate al 2023, con il Governo che ha introdotto decreti legislativi speciali che consentono la prosecuzione dell’operatività dell’impianto Nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso che l’inquinamento ambientale è continuato, mettendo in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”.

Le imprese dovrebbero agire con la dovuta diligenza per i diritti umani e l’ambiente e rispettare i diritti umani in ogni aspetto delle loro attività, eppure ci sono innumerevoli esempi di imprese che violano il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile, generando inquinamento o esponendo la popolazione a sostanze tossiche. Inoltre, le grandi aziende che contribuiscono maggiormente all’inquinamento e all’esposizione alle sostanze tossiche nelle “zone di sacrifico” non stanno assolvendo a quanto spetta loro in materia di diritti umani.

Con il COVID-19, l’umanità sta pagando un prezzo davvero terribile per aver ignorato gli avvertimenti degli scienziati. Non dobbiamo ripetere lo stesso errore ignorando gli scienziati del clima e gli ecologisti. Non è troppo tardi per rispondere alla crisi ambientale globale, ma il tempo stringe – ha scritto recentemente Boyd su Pathway to the 2022 Declaration, un blog di giuristi e diplomatici per alimentare le discussioni in corso con proposte per facilitare i negoziati sulla Dichiarazione che verrà adottata per commemorare il 50° Anniversario della Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano del 1972 e la creazione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP – Se non utilizziamo un approccio basato sui diritti per proteggere la biosfera, le generazioni future vivranno in un mondo ecologicamente impoverito, privato dei contributi importanti della natura al benessere umano, devastato da pandemie sempre più frequenti e lacerato da ingiustizie ambientali sempre più profonde. Se mettiamo i diritti umani e la natura al centro della ripresa post-pandemia, gli esseri umani potrebbero raggiungere un futuro giusto e sostenibile in cui le persone conducano una vita felice, sana e appagante in armonia con la natura”.

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