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Acquacoltura: dalla sua implementazione il risparmio di suolo

acquacoltura dalla sua implementazione risparmio suolo

Se le persone sostituissero una piccola parte del loro consumo di carne in favore del pesce, saremmo in grado di preservare in modo significativo il suolo e di garantire una produzione più sostenibile di alimenti a base di proteine.

È il principale messaggio del nuovo Studio “Comparative terrestrial feed and land use of an aquaculture-dominant world”, condotto dal National Center for Ecological Analysis and Synthesis (NCEAS) dell’Università di California – Santa Barbara (UCSB) e pubblicato sul numero 20 del 15 maggio 2018 della prestigiosa PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America).

Per soddisfare le esigenze proteiche di 9,7 miliardi di persone previste entro il 2050, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) stima che la produzione di cibo dovrebbe aumentare del 70% rispetto ai livelli attuali e la produzioni di carne crescere mediamente del 52%, con conseguenti devastanti impatti ambientali.

La ricerca è la prima analisi sull’uso del suolo dei futuri sistemi alimentari, concentrandosi sull’acquacoltura, il settore alimentare in più rapida crescita al mondoe aiuta a rivelare il suo potenziale ruolo nel campo della conservazione e della sicurezza alimentare.

Il pesce e gli altri animali acquatici sono in grado di convertire il mangime in biomassa per il consumo umano. Mentre una mucca richiede circa 8 kg di mangime per ottenere 1 kg di biomassa, la maggior parte dei pesci d’allevamento ha bisogno di circa 1,2 kg per fare lo stesso. Questa efficienza si traduce in un numero significativamente inferiore di terreni coltivabili necessari per la produzione di mangime per i pesci.
L’espansione dell’agricoltura in tutto il mondo sta portando all’estinzione di specie e alla drammatica perdita di ecosistemi – ha affermato Claire Runge, ricercatrice post-doctoral presso il NCEAS e attualmente all’Università di Tromsø – The Arctic University of Norway, nonché co-autrice dello Studio – Questo non potrà che aumentare in futuro: la acquacoltura offre un modo per ridurre parte di questa pressione sui nostri paesaggi naturali, luoghi e fauna selvatici”.

La produzione da acquacoltura dipende da una serie di colture a terra per i mangimi, posizionandola in modo univoco nell’interfaccia dei sistemi alimentari acquatici e terrestri. Per comprendere le implicazioni sull’uso del suolo, i ricercatori hanno esaminato quanta terra sarebbe stata necessaria per coltivare le 7 colture più comuni utilizzate per nutrire sia il bestiame terrestre che i pesci d’allevamento in 3 scenari per l’anno 2050, sintetizzando i dati sulla produzione alimentare della FAO e di altri fonti scientifiche.

I ricercatori hanno confrontato uno scenario BAU (business-as-usual) in cui il consumo di carne da allevamenti continui a prevalere in maniera massiccia sul pesce, con altri due scenari in cui la produzione da acquacoltura vada incontro alle richieste proteiche aggiuntive della popolazione mondiale, scoprendo che integrare la produzione da allevamenti con quella da acquacoltura potrebbe far risparmiare tra 729 e 747 milioni di ettari di terreno a livello globale; una superficie più che doppia di quella dell’India, il 7° Paese più esteso del mondo.

A livello nazionale, gli scienziati hanno scoperto che i Paesi ricchi di biodiversità, come il Brasile, potrebbero conseguire notevoli risparmi sull’uso del suolo al 2050 grazie all’acquacoltura. Senza considerare i terreni destinati al pascolo, dal momento che una transizione globale verso una maggiore acquacoltura potrebbe ridurre in Brasile la quantità di terra destinata al foraggio mediamente del 25%, pari a una riduzione di oltre 11 milioni di ettari, superficie che aumenterebbe di 12 volte se si considerasse anche i pascoli.

Sebbene anche l’acquacoltura ha il suo impatto perché è pure sempre un sistema di produzione alimentare – ha sottolineato Halley Froehlich, del NCEA e principale autore della ricerca – il nostro studio dimostra che è di gran lunga minore rispetto alla produzione di carne da allevamenti. L’acquacoltura non sarà la principale fonte di approvvigionamento alimentare proteico che sarà coperto dal bestiame”.
L’acquacoltura non costituisce un fardello gravoso sugli ecosistemi agricoli e acquatici, specie se le aziende ittiche sono collocate strategicamente e vi sono incentivi per la loro gestione che le indirizzi verso localizzazioni e pratiche di allevamento sostenibili – ha aggiunto Froehlich – Le potenzialità sono ormai mature per farlo veramente bene”.

Un altro coautore, Ben Halpern, Direttore del NCEAS e Professore alla Bren School of Environmental Science & Management della UCSB, ha osservato che lo studio fornisce anche una chiara motivazione per cui gli individui dovrebbero spostare le proprie diete alimentari dalla carneaumentando il consumo di pesce per ridurre l’impatto ambientale delle loro scelte.
Tutto quel che si mangia ha un impatto ambientale, e sappiamo come cambiare dieta sia difficile – ha osservato Halpern – Speriamo che la consapevolezza di quanta terra possa essere risparmiata con una dieta ricca di pesce, possa aiutare le persone ad intraprendere il cambiamento e, analogamente, che i nostri risultati mettano più ‘lische’ nelle argomentazioni dei politici per conseguire cambiamenti più sistemici”:

 

In copertina: Allevamento di orate in Grecia

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