Il nuovo Rapporto di Greenpeace sulle nuove rotte dei rifiuti di plastica, con un focus particolare sull’esportazione di quelli italiani, dopo l’embargo cinese, evidenzia il rischio che attraverso triangolazioni e nuove rotte si celino veri e propri traffici illeciti di rifiuti.
L’effetto domino innescato dalla “National Sword” ovvero dalle politiche introdotte dal Governo cinese e in vigore dal 1° gennaio 2018 tese a vietare l’importazione di 4 categorie di rifiuti stranieri, tra cui le plastiche post-consumo (PE, PS, PVC, PP, PET), ha fatto emergere le numerose falle e criticità del sistema di riciclo della plastica su scala globale.
Nonostante nel 2018 le esportazioni mondiali siano nettamente calate fino a raggiungere la metà dei volumi registrati nel 2016, nuovi Paesi, principalmente del Sud-est asiatico e non dotati di regolamentazioni ambientali rigorose, sono diventati le principali destinazioni dei rifiuti occidentali. Inclusi quelli provenienti dall’Italia, che risulta tra i principali esportatori mondiali.
È quanto emerge dal Rapporto “Data from the global plastics waste trade 2016-2018 and the offshore impact of China’s foreign waste import ban. An analysis of import-export data from the top 21 exporters and 21 importers” pubblicato il 23 aprile 2019 da Greenpeace, del quale Greenpeace Italia ha contestualmente diffuso un’ampia sintesi, con un focus specifico sull’Italia.
Il report, oltre ad analizzare le esportazioni e le importazioni di materie plastiche riconducibili al codice doganale 3915 (scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi di materie plastiche), evidenzia le nuove rotte globali conseguenti al bando cinese all’importazione.
Lo scorso anno l’Italia si è collocata all’11° posto tra gli esportatori di rifiuti in plastica in tutto il mondo, con un quantitativo di poco inferiore alle 200 mila tonnellate, pari a 445 Boeing 747 a pieno carico, passeggeri compresi, per un giro di affari di 58,9 milioni di euro. Fino ad una manciata di mesi fa, gli scarti plastici europei e italiani avevano come partner privilegiato la Cina, dove veniva esportato il 42% dei rifiuti plastici dell’UE e dell’Italia
“Per capire perché esportavamo tanti rifiuti in plastica verso la Cina, e perché li esportiamo tutt’ora verso altri Paesi, si deve partire dall’analizzare la raccolta differenziata di plastica in Italia. Il problema nasce tutto da lì, dal fatto che in Italia si premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata – così si esprime Claudia Salvestrini, Direttrice di PolieCo (Consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene) che vigila sul corretto riciclo dei rifiuti di plastica, espressamente citata nel Report di Greenpeace Italia – Possiamo anche raggiungere il 90 per cento di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta differenziata posso avere più del 30 per cento di materiali eterogenei di plastica da scartare”.
Per effetto del bando alle plastiche che non abbiano la richiesta “purezza”, l’export dei rifiuti plastici verso la Cina è sceso attorno all’8% del totale dell’export italiano verso i soli Paesi non UE.
“Tuttavia, le aziende avvezze ad esportare continuano a farlo – ha precisato la Direttrice di PolieCo – hanno solo cambiato indirizzi”.
Ora, per i rifiuti plastici italiani, oltre a nazioni europee, si sono aperte le nuove rotte commerciali verso Malesia (nel 2018 le importazioni sono aumentate del 195,4 per cento rispetto al 2017), Turchia (+191,5 per cento rispetto al 2017), Vietnam, Thailandia e Yemen, Paesi non dotati di un sistema di recupero e riciclo efficiente.
Secondo il Regolamento UE n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti, quelli che escono dall’Europa possono essere esportati però solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee relative al rispetto dell’ambiente e della salute umana.
“Non si deve dimenticare che prima di esportare un rifiuto lo si deve sottoporre a un dato trattamento, e soprattutto si deve avere contezza del tipo di trattamento cui sarà sottoposto una volta giunto nel Paese di esportazione – commenta a sua volta Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia – In assenza di questi due requisiti, qualunque esportazione è da considerarsi illegale”.
Recentemente si sta diffondendo un altro fenomeno, tutto europeo, di “export via terra verso altri Paesi europei – aggiunge Pennisi – magari Stati entrati da poco in Unione, dove i controlli sono meno accurati e si privilegia l’interesse economico al rispetto della legalità, dell’ambiente e della salute umana”.
“Spedire il rifiuto dall’Italia verso un altro Paese europeo significa bypassare molti step di verifica e controllo – gli fa eco Salvestrini – Per spiegare il meccanismo: è possibile agilmente spedire camion di rifiuti plastici verso Stati dell’UE, e anche se poi l’impianto estero non tratta il rifiuto correttamente, ma lo esporta a sua volta verso altre destinazioni, l’operazione apparentemente risulta corretta”.
Guardando la classifica di Eurostat, infatti, resta europeo il podio degli Stati che importano gli scarti della nostra plastica, con Austria (20%), Germania (13,5%) e Spagna (9%) che in totale importano il 42,5% degli scarti plastici italiani. Inoltre, negli ultimi anni si nota un aumento dell’export verso la Romania (+385% di variazione tra il 2017 e il 2018) nonché una costante rilevanza delle esportazioni di rifiuti di plastica verso la Slovenia, che lo scorso anno ha importato ben l’8% dei nostri scarti plastici, per un valore di 3,7 milioni di euro.
“Slovenia e Croazia hanno ripreso un ruolo importantissimo all’interno dell’export di rifiuti – osserva la Direttrice PolieCo – In particolare, molti italiani che esportavano verso la Cina in modo non corretto, ora hanno aperto impianti in Slovenia e da qui poi esportano nel resto del mondo”.
«Quando il container non va direttamente in Malesia o Vietnam – prosegue Salvestrini – spesso avvengono una serie di triangolazioni tra Stati europei che fanno comunque giungere il carico in Asia. Siamo comunque di fronte alle condizioni per un perfetto traffico internazionale illecito di rifiuti”.
Ma l’Italia ha bisogno di esportare i suoi rifiuti plastici?
Stando ai dati di Eurostat, le spedizioni di scarti di materie plastiche non sembrano destinate a diminuire, almeno nel breve periodo. Infatti, in media, tra il 2016 e il 2017 abbiamo esportato quasi 250 mila tonnellate l’anno di plastica. Dati confermati nel 2018, che ha visto una lieve flessione rispetto ai quantitativi esportati (197 mila tonnellate,) ma non rispetto al valore economico dell’export (addirittura aumentato del 9,5% rispetto al 2016).
“Il diktat cinese ha messo in evidenza un aspetto importante della situazione Italiana -sottolinea la Direttrice di PolieCo – ovvero che l’Italia è carente di impianti di recupero e riciclo”.
Secondo Salvestrini, infatti, nel Belpaese esistono numerosi impianti di piccole dimensioni (che trattano tra le 3 mila e le 5 mila tonnellate/annue), e non più di cinque impianti da 50 mila tonnellate, un limite per il settore che dovrebbe “migliorare gli impianti di riciclo finali esistenti e aprirne di nuovi”.
Tuttavia, riciclare non basta, come ha evidenziato il Rapporto commissionato da Greenpeace Italia alla Scuola Agraria del Parco di Monza e diffuso lo scorso anno, in cui viene analizzata la situazione specifica relativa alla sola plastica da imballaggi e all’efficacia del riciclo nel nostro Paese, e non complessivamente a tutta la plastica immessa sul mercato, per contrastare l’inquinamento da plastica.
“Con una produzione di plastica in vertiginosa crescita su scala globale, che raddoppierà le quantità del 2015 entro il 2025 per quadruplicarle entro il 2050, il nostro Pianeta rischia di essere sommerso da rifiuti in plastica – ha dichiarato Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – Riciclare non è la soluzione, sono necessari interventi che riducano subito la produzione, soprattutto per quella frazione di plastica spesso inutile e superflua rappresentata dall’usa e getta che oggi costituisce il 40 per cento della produzione globale di plastica”.
In copertina: La selezione manuale dei rifiuti di plastica nel Sud-est asiatico (fonte: Ikhlasul Amal via Flickr)