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Rifiuti di plastica: gli impatti globali della spada cinese

rifiuti di plastica impatti globali sotto la spada cinese

Negli ultimi mesi si è assistito a livello globale ad una vera e propria crociata contro l’inquinamento della plastica:
– la Giornata Mondiale della Terra (22 aprile) si è celebrata sul tema “Eliminare l’inquinamento della plastica”;
– la Giornata Mondiale dell’Ambiente (5 giugno) ha avuto per focus “Sconfiggi l’inquinamento della plastica”;
– la Giornata Mondiale degli Oceani (8 giugno) ha promosso azioni e soluzioni di salvaguardia all’insegna di “Liberiamoli dalla plastica”.

Non c’è dubbio che le conseguenze sull’ambiente e sulla salute umana per la l’abbandono indiscriminato della plastica sono sempre più evidenti, tant’è che anche dal punto di vista legislativo si è posta grande enfasi sulla necessità di ridurre la “insostenibile” produzione della plastica, incentivando soluzioni alternative, imponendo tasse, introducendo divieti e aumentando i tassi di riciclaggio nell’ottica di un’economia circolare.

Lo scorso mese, nell’ambito della Strategia europea per la Plastica nell’ambito dell’Economia Circolare (A European Strategy for Plastics in a Circular Economy), lanciata in gennaio, la Commissione UE ha adottato una proposta di Direttiva per mettere al bando i prodotti di plastica monouso per i quali sono facilmente disponibili soluzioni alternative, mentre si limiterà l’uso di quelli di cui non esistono valide alternative, riducendone il consumo a livello nazionale, con l’obbligo per gli Stati membri di raccogliere entro il 2025 il 90% delle bottiglie di plastica monouso per bevande, ad esempio, introducendo sistemi di cauzione-deposito.

Questa accelerazione è dovuta alla “National Sword” ovvero alle politiche introdotte dal Governo cinese l’anno scorso e in vigore dal 1° gennaio 2018 tese a vietare l’importazione di 4 categorie di rifiuti stranieri,, tra cui le plastiche post-consumo (PE, PS, PVC, PP, PET).

La Cina importava oltre la metà dei rifiuti di plastica esportata a livello mondiale, per lo più provenienti da Europa, Stati Uniti e Giappone. Con questa decisione il gigante asiatico sta mettendo in difficoltà molti Paesi dove si stanno accumulando grandi quantitativi di rifiuti di plastica non ben selezionati e di scarsa qualità che rimangono stoccati in depositi che non sono più in grado di contenerli e che rischiano di “prendere fuoco”, come denunciano le cronache italiane degli ultimi mesi, e di cui si è interessata la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione “Ecomafie”) nella sua Relazione sul fenomeno degli incendi negli impianti dei rifiuti.

Uno Studio condotto da ricercatori dell’Università della Georgia (UGA) sull’impatto derivante dal bando della Cina all’importazione dei rifiuti di plastica, ha calcolato che entro il 2030 molti Paesi avranno la necessità di trovare una soluzione per oltre 122 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica che si accumuleranno nei depositi di stoccaggio.

Lo Studio The Chinese import ban and its impact on global plastic waste trade”, pubblicato su Science Advances il 20 giugno 2018, ha rilevato che la Cina ha accolto dal 1992 oltre 116 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, “l’equivalente in peso di oltre 300 Empire State Buildings”, che rappresentano la metà delle importazioni mondiali dei rifiuti di plastica.

I rifiuti di plastica una volta erano un business abbastanza redditizio per la Cina, perché poteva utilizzare o rivendere i rifiuti di plastica riciclata – ha affermato Amy Brooks che sta svolgendo un Dottorato di ricerca al College of Engineering della UGA ed è l’autrice principale dello Studio – Ma molta della plastica che la Cina ha importato negli ultimi anni è stata di scarsa qualità, per cui è diventato difficile ottenerne dei profitti. Inoltre, la Cina è a sua volta grande produttrice di rifiuti di plastica, per cui non ha bisogno di fare affidamento sui rifiuti provenienti da altri Paesi”.

Le importazioni e le esportazioni annuali globali di rifiuti di plastica sono salite alle stelle dal 1993, con una crescita di circa l’800% nel 2016. I Paesi ad alto reddito di Europa, Asia e Americhe rappresentano oltre l’85% le esportazioni mondiali dei rifiuti di plastica, con l’UE principale esportatore. La Cina e Hong Kong hanno importato più del 72% di tutti i rifiuti di plastica, ma la maggior parte dei rifiuti che entra a Hong Kong (circa il 63%) viene esportata in Cina.

Sappiamo da nostri studi precedenti che solo il 9% di tutta la plastica prodotta è stata riciclata, e la maggior parte finisce nelle discariche o nell’ambiente naturale – ha dichiarato Jenna Jambeck, Professore associato del College of Engineering e coautore dello studio – Circa 111 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiranno altrove nel 2030, quindi se vogliamo trattare responsabilmente questi rifiuti, dovremmo sviluppare programmi di riciclaggio più efficienti a livello nazionale e ripensare all’uso e alla progettazione di prodotti in plastica”:

Non è facile prevedere cosa ne sarà dei rifiuti di plastica destinati un tempo agli impianti di riciclaggio cinesi – ha aggiunto la Jambeck – Alcuni quantitativi potrebbero essere dirottati verso altri Paesi che, peraltro, non hanno le strutture per gestire i propri rifiuti, figuriamoci quelli degli altri. Senza nuove e coraggiose idee e cambiamenti a livello di sistema, anche gli attuali tassi di riciclaggio, peraltro bassi, potrebbero non essere raggiunti. E i materiali potrebbero finire nelle discariche o inceneriti”.

In copertina: Mago Merlino, parafrasando la “Spada nella roccia” afferma : “Colui che è in grado di impugnare la spada, governerà”. (Fonte: www.plasticsnews.com)

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