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Prodotti agricoli importati in UE: gli impatti dei cambiamenti climatici

Un Briefing dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sottolinea la necessità di prendere in considerazioni nelle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici gli effetti che deriverebbero dall’approvvigionamento di prodotti agricoli da Paesi ad alto rischio di vulnerabilità climatica.

I cambiamenti climatici avranno ripercussioni sull’agricoltura globale, alterando le condizioni di crescita, i modelli di produzione e i rendimenti, con conseguenti impatti su prezzi, commercio e mercati regionali, ma il rischio maggiore potrebbe giungere dal fare affidamento per le catene di approvvigionamento su Paesi ad alta vulnerabilità climatica.

È quanto emerge da un nuovo briefing, pubblicato l’11 febbraio 2021 dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) dal titolo “Global climate change impacts and the supply of agricultural commodities to Europe” (Impatti dei cambiamenti climatici globali sulla fornitura di prodotti agricoli in Europa). 

L’analisi si basa su uno studio commissionato dall’AEA (Arvis et al. 2020) che combina informazioni sugli impatti dei cambiamenti climatici globale sulla produzione agricola che contiene informazioni specifiche sulle importazioni dell’UE ed evidenze sulla vulnerabilità ai cambiamenti climatici dei Paesi di origine dei prodotti.

Le merci più importanti importate nell’UE in termini di volume e valore sono state individuate, utilizzando i dati di Eurostat. Il livello di rischio per la loro fornitura è stato calcolato sulla base sia della distribuzione dei fornitori (concentrazione dei fornitori o del commercio) sia della vulnerabilità dei fornitori ai cambiamenti climatici (vulnerabilità climatica).

Cambiamenti climatici e produzione agricola
L’agricoltura è uno dei settori socio-economici più sensibili ai cambiamenti climatici, essendo dipendente dalle caratteristiche del suolo, dai modelli meteorologici e dalla biodiversità. I cambiamenti climatici influenzano le precipitazioni, i flussi d’acqua, l’umidità e la temperatura. La frequenza e l’entità degli eventi meteorologici e climatici estremi potrebbero aumentare distribuzione e l’abbondanza di agenti patogeni invasivi e la riduzione degli impollinatori potrebbero cambiare. Questi cambiamenti influenzeranno la crescita delle colture, la fenologia e le rese, portando in ultima analisi a cambiamenti nelle zone predilette per certe coltivazioni e a cambiamenti nell’uso del suolo.

Valutare gli impatti regionali dei cambiamenti climatici sui raccolti agricoli non è semplice, sottolinea l’AEA, variando in base al tipo di coltura, alla latitudine e all’altitudine e devono essere scorporati da altri fattori di produttività, come il progresso tecnologico, le pratiche agricole e la variazione periodica interannuale. Inoltre, è tuttora oggetto di controverse indagini il ruolo della maggiore concentrazione in atmosfera della CO2 nel determinare un aumento dell’attività fotosintetica, contrastando gli impatti negativi dei cambiamenti climatici

I risultati indicano che i cambiamenti climatici sembrano aver influito negativamente sulla produttività delle principali colture alimentari in Europa e nell’Africa sub-sahariana negli ultimi decenni, mentre gli effetti sembrano essere stati positivi in ​​America Latina e variabili in Nord America e Asia. 

Si prevede che questo quadro eterogeno proseguirà fino alla metà del secolo, con una perdita nella produzione globale aggregata di colture di cereali prevista solo dopo il 2050.

Il Rapporto Climate change impacts and adaptation in Europe”, redatto dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE, nell’ambito della IV fase del Progetto PESETA,  indica che le rese del mais diminuiranno tra l’1% e il 22% nell’UE e le rese del grano nell’Europa meridionale fino al 49%. Nell’Europa settentrionale, si prevede che i raccolti aumenteranno tra il 5% e il 16%. La variabilità climatica annuale rappresenta fino alla metà della varianza della resa, a seconda della coltura e della regione. Considerando che la frequenza e la gravità degli eventi estremi correlati ai cambiamenti climatici sono destinate ad aggravarsi, secondo l’IPCC, è prevedibile una maggiore volatilità. 

Commercio agricolo internazionale e meccanismi di mercato 
Quasi un quarto del cibo per il consumo umano è commercializzato sui mercati internazionali. Tuttavia, questa percentuale varia ampiamente a seconda della merce. Per riso, burro e maiale è inferiore al 10%. Per soia, oli vegetali, pesce e zucchero supera il 30%. Si collocano all’interno di questa forbice, mais, manzo e frumento, rispettivamente con il 12%, 15% e 24%. Si prevede che queste percentuali rimarranno stabili per il prossimo decennio, ma aumenteranno leggermente entro la metà del secolo a causa dei cambiamenti climatici. 

La domanda e l’offerta di prodotti agricoli variano poco, o almeno lentamente, in risposta alle variazioni di prezzo. Ciò significa che carenze o eccesso di offerta possono portare a oscillazioni dei prezzi. Il commercio può in teoria frenare la volatilità dei prezzi tamponando la domanda e l’offerta tra le regioni. Ciò vale in particolare per i cereali che possono essere conservati da un anno all’altro. La stagionalità e le scorte di riserva (circa il 12% della produzione annuale, esclusa la Cina) giocano un ruolo importante nella determinazione dei prezzi.

Dal 1970, l’offerta alimentare globale ha tenuto in gran parte il passo con la crescente domanda derivante dalla crescita della popolazione e dall’aumento dei redditi. Nel prossimo decennio, si prevede che ciò rimarrà invariato a causa del progresso tecnologico. A lungo termine, tuttavia, è probabile che gli impatti dei cambiamenti climatici si manifestino e influenzino la produttività, con i prezzi che dovrebbero aumentare in modo significativo. I cambiamenti climatici possono anche influenzare il commercio, interrompendo le catene di trasporto e distribuzione. 

Vulnerabilità di approvvigionamento dell’Europa per effetto dei cambiamenti climatici
Sebbene l’Europa sia per lo più autosufficiente in termini di cereali e verdure, la sua dipendenza da prodotti tropicali importati come semi di cacao o olio di palma e materie prime come i semi di soia utilizzati per l’alimentazione degli animali di allevamento la rendono vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici all’estero.

Inoltre, è elevata la concentrazione del produttore:
– il 78% di olio di palma importato dall’UE proviene da Malesia e Indonesia;
– il 72% della soia proviene dal Brasile e dagli Stati Uniti
– il 71% del mais proviene dal Brasile e dall’Ucraina.

Vulnerabilità climatica dei principali Paesi esportatori di 6 prodotti chiave, secondo l’Indice dei Paesi della Global Adaptation Initiative dell’Università di Notre Dame (ND-GAIN) – Indiana. I valori più alti indicano una maggiore vulnerabilità. (Fonte: Arvis et al.)

Aspetti politici
La crescente conoscenza e riconoscimento degli impatti indiretti dei cambiamenti climatici richiede una maggiore integrazione degli aspetti transfrontalieri nelle politiche di adattamento dell’UE e dei Paesi membri. L’attuale Strategia di adattamento dell’UE si concentra sugli impatti diretti dei cambiamenti climatici solo sul territorio dell’UE, tuttavia la nuova Strategia che sarà presto presentata, secondo la road map del Green Deal europeo, sulla quale era stata aperta una Consultazione includerà un’azione globale rafforzata per la resilienza ai cambiamenti climatici, tra cui anche per gli impatti indiretti come commercio e catene di approvvigionamento.

La diversificazione commerciale, stabilendo relazioni con più Paesi che producono la stessa merce o differenziando il portafoglio delle importazioni, può ridurre in una certa misura il rischio di interruzioni dell’offerta. Tuttavia, questo non è generalmente applicabile a tutti i prodotti, poiché dipende dall’azione privata. Ridurre la domanda attraverso politiche dall’alto verso il basso e approcci orientati al consumatore è un’opzione per i prodotti associati a pressioni ambientali elevate, come l’olio di palma e la soia. 

Un altro approccio consiste nello sviluppare capacità nei Paesi produttori, attraverso la condivisione delle conoscenze sulle buone pratiche nelle regioni esportatrici più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Gli accordi commerciali, in particolare i loro paragrafi sulla sostenibilità, potrebbero fornire un meccanismo concreto per promuovere la resilienza alla fonte e ridurre il rischio di interruzione dell’approvvigionamento. 

Per quanto riguarda lo sviluppo delle conoscenze a sostegno delle politiche di adattamento, sarebbero utili approcci basati su scenari che esaminino l’impatto dei cambiamenti climatici sui meccanismi della domanda e dell’offerta. Lo sviluppo di una tale lungimirante prospettiva sarebbe in linea con l’attuale maggiore attenzione della Commissione UE alla prevista nuova Strategia.

L’apertura del commercio con più Paesi con un focus sulla protezione ambientale nelle loro politiche agricole e la diversificazione delle importazioni potrebbe ridurre il rischio di interruzioni dell’approvvigionamento. Anche le politiche per ridurre la domanda di prodotti associati ad elevate pressioni ambientali sarebbero utili a questo riguardo.

Inoltre, la capacità di adattamento nei Paesi produttori dovrebbe essere rafforzata con il sostegno dell’UE, come annunciato nel progetto della Commissione europea della prossima strategia di adattamento dell’UE.

In copertina: foto di Vita Monica su Unsplash

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