Ricercatori statunitensi hanno dimostrato che le onnipresenti microplastiche possono diventare un punto nodale per la crescita di batteri e agenti patogeni resistenti agli antibiotici una volta che dalle fognature domestiche entrano negli impianti di trattamento delle acque reflue, formando uno strato viscido di accumulo o biofilm che consente ai microrganismi patogeni di prosperare ed entrare in contatto con i residui di antibiotici.
Si stima che un impianto di trattamento delle acque reflue di medie dimensioni che serve circa 400.000 residenti scarichi fino a 2 milioni di microplastiche nell’ambiente ogni giorno. Gli scienziati stanno studiando l’impatto sull’ambiente e sulla salute umana di queste particelle di plastica ultrafini, lunghe meno di 5 millimetri, che si trovano ormai dappertutto e in qualunque articolo, dai cosmetici ai dentifrici, dalle microfibre dei tessuti per l’abbigliamento al nostro cibo, all’aria e all’acqua potabile.
Ora, ricercatori del Dipartimento di Chimica e Scienze Ambientali del New Jersey Institute of Technology (NJIT) di Newark hanno dimostrato che le microplastiche onnipresenti possono diventare “hub ” per la crescita di batteri e agenti patogeni resistenti agli antibiotici una volta che dalle fognature domestiche entrano negli impianti di trattamento delle acque reflue, formando uno strato viscido di aggregati o biofilm sulla cui superficie si attaccano e mescolano microrganismi patogeni e residui di antibiotici. Alcuni ceppi di batteri isolati sulle microplastiche hanno aumentato la resistenza agli antibiotici fino a 30 volte mentre vivono sui biofilm microplastici che possono formarsi all’interno di unità di fanghi attivi negli impianti di trattamento delle acque reflue.
I risultati del loro Studio “Microplastics as hubs enriching antibiotic-resistant bacteria and pathogens in municipal activated sludge” sono stati pubblicati sul Journal of Hazardous Materials Letters.
“Numerosi recenti studi si sono concentrati sugli impatti negativi che milioni di tonnellate di rifiuti microplastici all’anno stanno avendo sui nostri ambienti di acqua dolce e degli oceani, ma fino ad ora il ruolo delle microplastiche nei processi di trattamento delle acque reflue delle nostre città è stato in gran parte sconosciuto – ha dichiarato Mengyan Li, Professore associato di chimica e scienze ambientali al NJIT e autore corrispondente dello Studio – Questi impianti di trattamento delle acque reflue possono essere hotspot in cui convergono varie sostanze chimiche, batteri resistenti agli antibiotici e agenti patogeni e ciò che il nostro studio mostra è che le microplastiche possono fungere da loro vettori, ponendo rischi imminenti per il biota acquatico e la salute umana se aggirano il processo di trattamento dell’acqua“.
“La maggior parte degli impianti di trattamento delle acque reflue non sono progettati per la rimozione di microplastiche, quindi vengono costantemente rilasciati nell’ambiente ricevente – ha aggiunto Dung Ngoc Pham, ricercatore presso il NJIT e principale autore dello Studio – Il nostro obiettivo era di indagare se le microplastiche stanno arricchendo o meno i batteri resistenti agli antibiotici dai fanghi attivi negli impianti di trattamento delle acque reflue municipali e, in tal caso, saperne di più sulle comunità microbiche coinvolte“.
Nel loro studio, il team ha raccolto lotti di campioni di fanghi da tre impianti di trattamento delle acque reflue domestiche nel New Jersey settentrionale, coltivandoli in laboratorio, in presenza e in assenza di due microplastiche commerciali più diffuse di polietilene (PE) e polistirene (PS). I ricercatori hanno utilizzato una combinazione di Quantitative PCR (un metodo di reazione a catena della polimerasi) e tecniche di sequenziamento di nuova generazione per identificare le specie di batteri che tendono a crescere sulle microplastiche, monitorando i cambiamenti genetici dei batteri lungo il percorso.
L’analisi ha rivelato che tre geni in particolare – sul1, sul2 e intI1 – noti per aiutare la resistenza agli antibiotici comuni, i sulfamidici, sono risultati fino a 30 volte maggiori sui biofilm microplastici rispetto ai test di controllo del laboratorio che utilizzano biofilm di sabbia, dopo solo tre giorni.
Quando il team ha aggiunto ai campioni l’antibiotico sulfametossazolo (SMX), ha scoperto che venivano ulteriormente amplificati i geni della resistenza agli antibiotici fino a 4,5 volte.
“In precedenza, pensavamo che la presenza di antibiotici sarebbe stata necessaria per migliorare i geni di resistenza agli antibiotici in questi batteri associati alle microplastiche, ma sembra che le microplastiche possano naturalmente consentire l’assorbimento di questi geni di resistenza da sole – ha sottolineato Pham – Tuttavia, la presenza di antibiotici ha un significativo effetto moltiplicatore“.
Otto diverse specie di batteri sono state trovate altamente arricchite sulle microplastiche. Tra queste, il team ha osservato due patogeni umani emergenti tipicamente legati a infezioni respiratorie: Raoultella ornithinolytica e Stenotrophomonas maltophilia, che spesso fanno autostop sui biofilm microplastici.
Nello Studio si afferma che il ceppo più comune trovato di gran lunga sulle microplastiche, Novosphingobium pokkalii, è probabilmente un iniziatore chiave nella formazione ed espansione del biofilm appiccicoso che attrae tali agenti patogeni, e dal momento che prolifera può contribuire al deterioramento della plastica ed espandere il biofilm. Al contempo, lo studio ha evidenziato il ruolo del gene intI1, un elemento genetico mobile che sarebbe il principale responsabile dello scambio di geni di resistenza agli antibiotici tra i microbi legati alla microplastica.
“Potremmo pensare alle microplastiche come minuscole perline, ma forniscono un’enorme area di superficie in cui risiedono i microbi – ha spiegato Li – Quando queste microplastiche entrano nell’impianto di trattamento delle acque reflue e si mescolano con i fanghi, batteri come il Novosphingobium possono attaccarsi accidentalmente alla superficie e secernere sostanze extracellulari simili a colla. Mentre altri batteri si attaccano alla superficie e crescono, e possono persino scambiarsi il DNA tra loro. È così che i geni della resistenza agli antibiotici si stanno diffondendo nella comunità“.
“Abbiamo le prove – ha aggiunto Pham – che i batteri hanno sviluppato resistenza anche ad altri antibiotici in questo modo, come aminoglicosidi, beta-lattamici e trimetoprim“.
Ora, Li dice che il laboratorio sta studiando ulteriormente il ruolo del Novosphingobium nella formazione del biofilm sulle microplastiche. Il team sta anche cercando di comprendere meglio fino a che punto tali microplastiche trasportatrici di agenti patogeni possano bypassare i processi di trattamento dell’acqua, studiando la resistenza dei biofilm microplastici durante il trattamento delle acque reflue con disinfettanti come la luce UV e il cloro.
“Alcuni Stati stanno già prendendo in considerazione nuove normative sull’uso di microplastiche nei prodotti di consumo – ha concluso Li – Questo studio solleva richieste per ulteriori indagini sui biofilm microplastici nei nostri sistemi di acque reflue e lo sviluppo di mezzi efficaci per rimuovere le microplastiche negli ambienti acquatici”.