L’ultimo Rapporto dell’UNEP certifica impietosamente che l’UE, dopo aver guidato per anni l’implementazione delle rinnovabili nel sistema energetico ed introdotte tecnologie pulite d’avanguardia, sta ora perdendo questa posizione di leadership segnando l’anno scorso il suo punto più basso negli investimenti del settore, mentre gli altri Paesi hanno impresso un deciso cambio di passo.
Tra le principali cause individuate i tagli retroattivi introdotti da alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia, che hanno smorzato l’interesse degli investitori.
“Come è potuto accadere che l’Europa, un tempo leader mondiale per le fonti rinnovabili abbia potuto perdere così rapidamente la guida di questo settore tecnologico di punta per accomodarsi sul sedile posteriore?”
È questa la domanda a cui cerca di dare risposta il Presidente di Bloomberg New Energy Finance (BNEF), Michael Liebreich in un post del 22 marzo 2016 sul blog della Società, leader globale di analisi del settore energetico.
Pur non sottovalutando il peso della crisi finanziaria, del rallentamento economico, della crisi socio-economica del sud Europa, del conflitto in Medio Oriente, dell’invasione di rifugiati e migranti, del terrorismo islamico, della crisi dei rapporti con la Russia, problemi tutti a cui la Governance dell’UE non è riuscita a dare risposte convincenti, Liebreich ha tuttavia sottolineato gli errori commessi dai leader politici di Paesi membri che hanno dato un deciso sostegno alle energie rinnovabili, determinando una forte crescita a cui ha fatto seguito una successiva forte contrazione (boom-bust), con incentivi assai alti e durati troppo a lungo, salvo poi fare completamente marcia indietro quando si sono accorti che il successo dei sussidi avrebbe potuto compromettere i conti della spesa.
Tra i Paesi che avrebbero commesso tale sorta di errori, oltre a Germania, Spagna e Inghilterra, Liebreich cita anche l’Italia che “ha seguito un analogo percorso boom-bust, come la Spagna, con gli investimenti che si sono ridotti quasi a zero in tre anni, dopo aver raggiunto nel 2011 i 30 miliardi di dollari, e che mostrano tuttora deboli segnali di rimbalzo”.
Liebreich ha solo anticipato di qualche giorno quel che è possibile leggere nel “Global Trends in Renewable Investment Energy 2016”, il Rapporto dell’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite), prodotto in collaborazione con Frankfurt School – UNEP Collaborating Centre for Climate & Sustainable Energy Finance e, appunto, BNEF, giunto quest’anno alla 10a edizione.
“L’Italia ha visto gli investimenti in energie rinnovabili scendere sotto il miliardo di dollari, giù del 21% sul 2014 e molto lontano dal picco di 31,7 miliardi di dollari segnato durante il boom del fotovoltaico nel 2011. I tagli retroattivi agli incentivi di sostegno per il solare hanno contribuito a smorzare l’interesse degli investitori lo scorso anno” (pag. 25).
Ma è l’Unione europea nel suo insieme che nel 2015 ha toccato il suo punto più basso dal 2006, con investimenti pari a 48,8 miliardi di dollari (il 17% del totale mondiale), contro un picco di 131,7 miliardi nel 2011, nonostante gli investimenti record nel settore dell’eolico.
Questi dati sottolineano che l’UE non solo rischia di perdere la leadership tecnologica per le rinnovabili, ma anche di mettere in pericolo il conseguimento dell’obiettivo del 20% al 2020 del fabbisogno energetico prodotto da energie rinnovabili, previsto nel Pacchetto “Clima ed Energia”.
A livello globale, il 2015 si segnala per aver raggiunto il picco di 286 miliardi di dollari, il 3% in più rispetto al precedente record del 2011, e più del doppio degli investimenti del 2015 per gli impianti di produzione elettrica a carbone e gas.
Ma il dato più interessante è che per la prima volta i Paesi in via di sviluppo hanno investito nelle tecnologie energetiche pulite più dei Paesi ricchi.
“Le fonti rinnovabili stanno diventando sempre più centrali per i nostri stili di vita a basso tenore di carbonio, e gli investimenti da record nel 2015 sono un’ulteriore prova di questa tendenza – ha dichiarato il Direttore esecutivo dell’UNEP, Achim Steiner – È importante sottolineare che per la prima volta gli investimenti nelle fonti rinnovabili sono stati più alti nei Paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. L’accesso alla moderna energia pulita è di enorme valore per tutte le società, ma specialmente per le regioni in cui l’energia affidabile può offrire profondi miglioramenti nella qualità della vita, nello sviluppo economico e nella sostenibilità ambientale. Investimenti duraturi e in aumento nelle fonti rinnovabili non sono solo un bene per gli individui e il Pianeta, ma saranno un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi internazionali sui cambiamenti climatici e sullo sviluppo sostenibile. Il mondo intero si è impegnato nel loro conseguimento e gli investimenti nelle fonti rinnovabili fa parte di questa promessa”.
In totale si sono aggiunti lo scorso anno altri 134 GW di energia pulita, escluso il grande idroelettrico (22 GW), che hanno consentito di evitare altre 1,5 Gtonn. di emissioni in atmosfera.
Come per gli anni precedenti, il Rapporto indica nell’energia eolica e nel fotovoltaico le due tecnologie che hanno fatto da traino (rispettivamente 62 GW e 56 GW), seguite a molta distanza da biomasse, energia da rifiuti, geotermia, solare termico.
Da rimarcare l’attenzione che il 2015 ha riservato in termini di investimenti allo stoccaggio con batterie, come pure a progetti eolici e fotovoltaici di piccole dimensioni.
Il Rapporto sottolinea che l’accumulo di energia costituisce una notevole importanza perché è uno dei modi per dare una risposta rapida al problema del bilanciamento delle reti, sia per affrontare i picchi di domanda come pure la variabilità di produzione dell’energia rinnovabile eolica e solare.
L’anno scorso sono stati installati quasi 250 MW di stoccaggio dell’elettricità (escludendo il pompaggio idroelettrico e le batterie al piombo), contro i 160 MW del 2014.
Tra i Paesi che hanno maggiormente concorso al risultato del 2015, si segnalano:
– la Cina, con 102,9 miliardi di dollari (il 36% del totale globale e +17% sul 2014);
– gli USA, con 44,1 miliardi (+ 19%);
– il Giappone, con 36,2 miliardi (la stessa cifra approssimativamente dell’anno prima);
– la Gran Bretagna, con 22, 2 miliardi (in gran parte per l’eolico);
– l’India, con 10,2 miliardi (+22% sul 2014);
– la Germania, con 8,5 miliardi.
Con il 10,3% di energia elettrica generata da fonti rinnovabili nel 2015 (nel 2014 era del 9,1%), secondo il Rapporto, è in atto un vero e proprio cambiamento strutturale, anche se è ancora una piccola parte della potenza totale installata nel mondo.
“Nonostante i segnali ambiziosi giunti dalla COP21 di Parigi e la crescente capacità di nuova energia rinnovabile installata, c’è ancora molta strada da fare – ha osservato il Prof. Udo Steffens, Presidente della Frankfurt School of Finance & Management – Le Centrali elettriche a carbone e le altre centrali elettriche convenzionali hanno lunghi tempi di vita. Senza ulteriori interventi di politiche, le emissioni climalteranti di anidride carbonica aumenteranno per almeno un altro decennio”.
Le minacce sull’orizzonte delle rinnovabili sono ancora tante, nonostante le dichiarazioni ufficiali dei G7 e G20 e quelle dei leader politici che sostengono la necessità di intraprendere con maggior velocità il percorso per la decarbonizzazione energetica, salvo poi continuare a sostenere con sussidi le fonti fossili. Il calo del prezzo di carbone, petrolio e gas rischia di spostare ancora gli investimenti su queste fonti per la produzione di elettricità.
Se poi si invoca il rischio che un brusco passaggio all’economia low-carbon possa costituire un elemento destabilizzante per i mercati finanziari, invitando la comunità globale, come ha fatto di recente il Fondo Monetario Internazionale, a sostenere la domanda di petrolio, si capisce ancora di più come la strada per le rinnovabili sia tutta in salita.