I danni economici per la persistente siccità e per eventi meteorologici estremi si sono manifestati drammaticamente in Vietnam, Zimbabwe e Figi.
Anche se la scienza non è ancora in grado di attribuire direttamente ai cambiamenti climatici la causa degli eventi estremi, tuttavia l’ultimo Rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze statunitense afferma che “ora possiamo dire di più su come i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’intensità o la probabilità di alcuni eventi”.
Il 12 marzo 2016, la NASA ha diffuso i dati delle temperature medie globali di febbraio 2016, che indicano come quello trascorso sia stato il mese di febbraio più caldo di sempre, con una anomalia di 1,35 °C al di sopra della media globale 1951-1980.
Se si aggiunge che il precedente record delle anomalie positive mensili era stato di gennaio 2016 (1.14 °C), si può presumere che il 2016 si stia avviando a battere il record annuale che è stato appena conquistato dal 2015.
Questo “traguardo” è un’altra tappa della corsa del nostra Pianeta verso un maggiore riscaldamento, lasciando intravedere che i +2 °C al 2100, rispetto ai livelli pre-industriali, indicato come limite da non superare se si vogliono evitare eventi catastrofici, rischia di essere raggiunto ben prima, nonostante gli sforzi compiuti per ridurre le emissioni.
Secondo quanto pubblicato il 9 marzo 2016 dall’Agenzia statunitense NOAA (National Oceanic Atmospheric Administration) che ha reso noto i rilevamenti effettuati nel Mauna Loa Observatory alle Hawaii, nel 2015 si è registrato il più alto aumento di CO2 a livello mondiale mai misurato da quando sono iniziate queste misurazioni nel 1958.
“I livelli di anidride carbonica stanno aumentando più velocemente di quanto abbiano fatto in centinaia di migliaia di anni – ha affermato lo scienziato Pieter Tans, a capo del Global Greenhouse Gas Reference Network della NOAA – Una situazione esplosiva rispetto ai processi naturali. L’ultima volta che la Terra ha subito un aumento di CO2 così sostenuto è stato tra 17.000 e 11.000 anni fa, quando i livelli sono aumentati di 80 ppm. Il tasso attuale è 200 volte più veloce”.
Con il mese di febbraio 2016 il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto 402,59 ppm, quando prima del 1800 era di circa 280 ppm.
Il forte El Niño (il fenomeno climatico che si manifesta ad intervalli annuali irregolari, determinando un aumento della temperatura nel Pacifico e costa equatoriale del Sud America di almeno 0,5 °C per un periodo non inferiore ai 5 mesi) di certo ha avuto un ruolo determinante nel record della temperatura media globale, trascinando l’aumento anche nei primi mesi del 2016, ma è ancora presto per sapere se nei prossimi mesi la sua influenza non si farà più sentire.
A preoccupare, in particolare, per il caldo anomalo di febbraio 2016 è la constatazione che a riscaldarsi di più è stato l’emisfero settentrionale e, soprattutto, le regioni artiche e sub-artiche, come ben si può osservare nel planisfero, con le macchie rosso-marrone che occupano ampie aree di Alaska, Canada, Europa orientale e Russia, così come gran parte del Mar Glaciale Artico, con temperature superiori di 4 °C rispetto alla media, determinando una scarsa formazione di ghiaccio marino artico e lo scioglimento del permafrost, con conseguente rilascio di metano in atmosfera, gas i cui effetti sull’effetto serra sono di gran lunga maggiori di quelli provocati dalla CO2.
Il calore di febbraio ha causato notevoli danni in molte regioni, ma particolarmente in 3 Paesi, pari all’equivalente del 4% del loro PIL:
– in Vietnam per la siccità persistente che ha colpito le regioni a sud del delta del Mekong;
– lo Zimbabwe, dove il Presidente Robert Mugabe ha dovuto dichiarare lo stato di calamità, anche in questo caso, a seguito della siccità che ha costretto un quarto della popolazione a consumare le residue scorte di cibo;
– nelle Figi dove il ciclone Winston di categoria 5 ha devastato gran parte delle isole dell’arcipelago.
Quantunque sull’attribuzione dei fenomeni atmosferici ai cambiamenti climatici la scienza non si sia espressa ancora in maniera inequivocabile, tuttavia la loro influenza su alcuni tipi di eventi estremi, come ondate di calore, siccità, precipitazioni intense, uragani, può essere adeguatamente valutata.
È quanto sostiene la Commissione sull’ “Attribuzione degli eventi meteorologici estremi nel contesto dei cambiamenti climatici” (Attributions of Extreme Weather Events in the Context of Climate Change) della National Academies of Sciences – Engineering – Medicine statunitense, che ha pubblicato l’11 marzo 2016 l’omonimo Rapporto.
“Una domanda sempre più comune dopo un evento meteorologico estremo è se i cambiamenti climatici siano stati la causa del suo verificarsi – ha dichiarato il Presidente della Commissione, David W. Titley, Docente di Pratica meteorologica e Direttore fondatore del Centro per la Soluzione del Rischio meteorologico e climatico presso l’Università della Pennsylvania – Anche se a questa domanda rimane difficile dare una risposta univoca stante tutti i fattori che influenzano un singolo evento meteo, tuttavia ora possiamo dire di più su come i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’intensità o la probabilità di alcuni eventi”.