Il Rapporto di Istat sulla dinamica demografica nel 2020 conferma che la demografia è uno dei settori più colpiti dalla pandemia sia per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità sia per quello indiretto sulla diminuzione della natalità, incidendo sui progetti di vita delle persone.
– Al 31 dicembre 2020 la popolazione residente è inferiore di quasi 384 mila unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze.
– Gli effetti negativi prodotti dall’epidemia Covid-19 hanno amplificato la tendenza al declino di popolazione in atto dal 2015.
– Nel 2020 si registra un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia, un massimo storico di decessi dal secondo dopoguerra e una forte riduzione dei movimenti migratori.
– Crolla il numero dei matrimoni celebrati: 96.687, -47,5% sul 2019 (-68,1% i matrimoni religiosi e -29% quelli con rito civile).
Sono questi gli aspetti salienti del Rapporto “La dinamica demografica durante la pandemia di Covid-19. Anno 2020”, rilasciato da Istat il 26 marzo 2021, che conferma come la demografia sia uno degli ambiti più colpiti, sia per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità sia per quello indiretto sulla diminuzione della natalità, incidendo sui progetti di vita delle persone.
L’Italia è stata tra i primi Paesi dell’Unione europea in cui la presenza del Covid-19 si è manifestata. La diffusione dell’epidemia è stata caratterizzata da 3 fasi:
– il periodo da fine febbraio a fine maggio (prima ondata), contraddistinto da una rapidissima ascesa dei contagi e dei decessi, entrambi concentrati soprattutto nel Nord del Paese;
– una transizione (da giugno a settembre) con un rallentamento dei contagi per effetto delle misure di contenimento su scala nazionale adottate nella primavera (lockdown);
– una seconda ondata epidemica, a partire dalla fine di settembre 2020, con una drammatica riacutizzazione dei casi e un incremento dei decessi su tutto il territorio nazionale.
Calo di popolazione più accentuato al Nord-ovest
Il decremento di popolazione nel 2020 ha interessato tutte le ripartizioni geografiche, “tuttavia il confronto con l’analoga variazione riferita al 2019 – sottolinea Istat – consente una lettura approfondita dell’impatto dell’epidemia nelle zone più colpite. La perdita di popolazione del Nord, soprattutto nella prima ondata appare in tutta la sua drammatica portata“.
Se nel 2019 il deficit di popolazione era stato piuttosto contenuto sia nel Nord-ovest che nel Nord-est (rispettivamente -0,06% e -0,01%), nel corso del 2020 il Nord-ovest registra una perdita dello 0,7% e il Nord-est dello 0,4%.
Il Centro vede raddoppiare in termini percentuali il deficit di popolazione (da -0,3% del 2019 a –0,6% del 2020), mentre il Sud e le Isole, più colpite nella seconda ondata (da metà settembre), subiscono una perdita dello 0,7%, simile a quella del 2019, per effetto della tendenza allo spopolamento già in atto da diversi anni.
Lombardia ed Emilia-Romagna registrano una inversione di tendenza in termini di variazione di popolazione, passando da un incremento nel 2019 (rispettivamente +0,2% e +0,1%) a un deficit nell’anno successivo rispettivamente di -0,6% e -0,4%. Anche la provincia autonoma di Bolzano, tradizionalmente caratterizzata da incrementi di popolazione, vede ridurre il saldo totale percentuale (dal +0,4% del 2019 al +0,2% del 2020).
All’opposto le regioni del Mezzogiorno, anche quelle con il primato di saldo totale negativo (Molise -1,3% e Basilicata -1,0%), hanno perdite percentuali più contenute rispetto al 2019.
“L’impatto differenziale dell’epidemia sulla mortalità (maggiore al Nord rispetto al Mezzogiorno) e la contrazione dei trasferimenti di residenza – sottolinea l’Istat – spiegano queste differenze geografiche“.
Divario tra nascite e decessi
Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2019 è stato di nuovo superato nel 2020: gli iscritti in anagrafe per nascita sono stati appena 404.104, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 (-3,8%). La geografia delle nascite mostra un calo generalizzato in tutte le ripartizioni, più accentuato al Nord-ovest (-4,6%) e al Sud (-4,0%). I tassi di natalità pongono la provincia autonoma di Bolzano al 1° posto con 9,6 nati per mille abitanti e la Sardegna all’ultimo con il 5,1 per mille. In tutti i mesi del 2020 si registrano valori percentuali inferiori a quelli dello stesso periodo del 2019, ad eccezione di febbraio con il 4,5% in più, in parte dovuto al giorno in più nel calendario 2020. Il calo delle nascite si accentua nei mesi di novembre e soprattutto di dicembre (-10,3%), il primo mese in cui si possono osservare eventuali effetti della prima ondata epidemica.
“Le ragioni della denatalità vanno ricercate anche nei fattori che hanno contribuito al trend negativo dell’ultimo decennio (progressiva riduzione della popolazione in età feconda e clima di incertezza per il futuro – osserva il report – Il senso di sfiducia generato nel corso della prima ondata, soprattutto al Nord, può aver portato alla decisione di rinviare la scelta di avere un figlio. Al contrario, il clima più favorevole innescato nella fase di transizione può avere avuto effetti benefici transitori, poi annullati dall’arrivo della seconda ondata”.
Record di decessi
Il quadro demografico del nostro Paese ha subìto un profondo cambiamento a causa dell’impatto che il numero di morti da Covid-19 vi ha prodotto sia in termini quantitativi che geografici. Nel 2020 i decessi in totale ammontano a 746.146, il numero più alto mai registrato dal secondo dopoguerra, con un aumento rispetto alla media 2015-2019 di oltre 100 mila unità (+15,6%).
Se nei mesi di gennaio e febbraio 2020 i decessi nel complesso sono stati inferiori di circa 7.600 unità rispetto a quelli registrati in media nello stesso bimestre degli anni 2015-2019, dall’inizio della crisi sanitaria (marzo 2020) a fine anno si è osservato un eccesso di morti del 21% rispetto alla media dello stesso periodo dell’ultimo quinquennio. I decessi per Covid-19 sono stati quasi 76 mila, il 10,2% dei decessi totali a livello medio nazionale (il 70% dell’eccesso complessivo). Il Nord, con il 14,5% sul totale dei morti, registra il maggior peso percentuale, il doppio rispetto a Centro (6,8%) e Mezzogiorno (5,2%).
Crollo dei movimenti migratori
Nel corso del 2020 si contano in totale 1.586.292 iscrizioni in anagrafe e 1.628.172 cancellazioni ed anche in questo caso le variazioni sono significative, mettendo a confronto l’andamento dei flussi migratori nelle quattro fasi in cui si può dividere convenzionalmente il 2020 (pre-Covid, prima ondata, fase di transizione, seconda ondata) con la media dei corrispondenti periodi degli anni 2015-2019, emergono significative variazioni.
I movimenti tra comuni, che hanno coinvolto circa 1 milione e 300 mila persone, dopo una variazione positiva registrata nei mesi prima dell’emergenza sanitaria (+8,4% le iscrizioni e +7,1% le cancellazioni), si riducono drasticamente durante la prima ondata (-35,3% le iscrizioni e -36,9% le cancellazioni) a causa del lockdown di marzo che ha ridotto al minimo la mobilità residenziale. Durante la fase di transizione si ha una ripresa che riporta i trasferimenti tra comuni ai livelli di incremento pre-Covid (+8,3% le iscrizioni e +4,7% le cancellazioni) mentre nel corso della seconda ondata, senza blocchi generalizzati alla mobilità l’impatto è stato poco rilevante (+5,8% iscrizioni e +6,2% cancellazioni).
Le ripercussioni sono state molto più rilevanti sui movimenti migratori internazionali.
Le iscrizioni dall’estero (220.533 nell’anno 2020), già in calo nel 2019 per la componente straniera, mostrano una diminuzione nei primi due mesi dell’anno (-8,8%) per poi crollare durante la prima ondata (-66,3%) e recuperare lievemente (ma sempre con una variazione negativa) nel corso dell’anno (-23,3% nella fase di transizione e -18,2% nella seconda ondata). L
Le cancellazioni verso l’estero (141.900 in totale), invece, evidenziano uno slancio di partenze nella fase pre-Covid (+20%), una consistente riduzione durante la prima ondata (-37,3%), una lievissima ripresa durante la fase di transizione (+0,8%) e un ulteriore crollo in corrispondenza della seconda ondata (-18,4%).
Crollo dei matrimoni e delle unioni civili
I matrimoni, già in calo nel 2019, si riducono del 47,5% nel confronto con l’anno precedente, attestandosi a 96.687. A diminuire sono soprattutto i matrimoni religiosi (-68,1%) ma anche quelli civili registrano una perdita di quasi il 29%.
Le misure di contenimento del contagio, introdotte in concomitanza della prima ondata tra marzo e maggio 2020 (sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazioni alla mobilità delle persone, divieto di organizzare eventi), hanno avuto dirette ripercussioni sulle celebrazioni dei matrimoni producendo un calo di quasi l’81% rispetto allo stesso trimestre del 2019 (96,6% i matrimoni religiosi, – 70,4% quelli civili). A partire dalla metà di maggio, l’attenuazione di alcune misure restrittive produce qualche effetto di ripresa solo per i matrimoni civili, che restano tuttavia ben sotto la media mensile del 2019 (-65,1%). Nella fase di transizione (giugno-settembre 2020), con la contestuale riapertura di tutte le attività commerciali e dei movimenti sul territorio nazionale, non si osserva un significativo recupero dei matrimoni rimandati a causa del lockdown. La persistenza di regole restrittive sulle modalità di celebrazione (limite agli assembramenti, numero contenuto di partecipanti consentiti per evento, obbligo di uso di dispositivi di protezione in luoghi chiusi), le limitazioni ai viaggi internazionali, nonché il sopraggiungere delle prime difficoltà economiche, hanno indotto verosimilmente le coppie a rimandare il matrimonio a periodi più favorevoli. Prosegue quindi, anche durante l’estate, il calo delle nozze, anche se più contenuto rispetto alla prima ondata (-48,8%); si conferma inoltre la diminuzione più accentuata dei matrimoni religiosi (-67,6%) rispetto ai matrimoni civili (-24,5%).