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Cellule della pelle: ringiovanimento di 30 anni senza perdere funzioni

Ricercatori britannici hanno sviluppato un nuovo metodo che permetterebbe alle cellule della pelle (fibroblasti) riprogrammate di produrre più proteine ​​di collagene rispetto alle cellule di controllo che non hanno subito il processo di riprogrammazione, spostandosi anche in aree che necessitano di riparazione.

Un nuovo metodo sviluppato da ricercatori del Babrahm Institute britannico consentirebbe di ringiovanire di 30 anni le cellule della pelle senza che perdano la loro funzione specializzata.

Sono i risultati di una ricerca, condotta nell’ambito del Programma Epigenetica del Babraham Research Institute, organizzazione partner dell’Università di Cambridge che si occupa di scienze della vita, in collaborazione con Chronomics Limited (G.B), azienda di test e biotecnologie, Instituto Gulbenkian de Ciência (Portogallo), centro internazionale per la ricerca biologica e biomedica, e Altos Labs Cambridge Institute (G.B.), una nuova società di biotecnologie focalizzata sulla programmazione del ringiovanimento cellulare,  che sono stati pubblicati l’8 aprile 2022 online su eLife, rivista scientifica peer-reviewed che pubblica studi di scienze biomediche e della vita, con il titolo “Multi-omic rejuvenation of human cells by maturation phase transient reprogramming” (Ringiovanimento multi-omico delle cellule umane mediante riprogrammazione transitoria della fase di maturazione).

Con l’avanzare dell’età, la capacità delle nostre cellule di funzionare diminuisce e il genoma accumula segni di invecchiamento. La biologia rigenerativa mira a riparare o sostituire le cellule, comprese quelle vecchie. Uno degli strumenti più importanti nella biologia rigenerativa è la nostra capacità di creare cellule staminali “indotte”. Il processo è il risultato di diversi passaggi, ognuno dei quali cancella alcuni dei segni che rendono le cellule specializzate. In teoria, queste cellule staminali hanno il potenziale per diventare qualsiasi tipo di cellula, ma gli scienziati non sono ancora in grado di ricreare in modo affidabile le condizioni per ridifferenziare le cellule staminali in tutti i tipi di cellule.

I nostri risultati rappresentano un grande passo avanti nella comprensione della riprogrammazione cellulare – ha affermato Diljeet Gill, ricercatore post-Dottorato presso il Babraham Institute e principale autore dello studio – Abbiamo dimostrato che le cellule possono essere ringiovanite senza perdere la loro funzione e che il ringiovanimento cerca di ripristinare alcune funzioni delle cellule vecchie. Il fatto che abbiamo anche visto un rovescio della medaglia degli indicatori di invecchiamento nei geni associati a malattie è particolarmente promettente per il futuro di questo lavoro“.

Il metodo utilizzato dai ricercatori si basa sulla tecnica messa a punto da Shinya Yamanaka e per la quale ha conseguito nel 2012 il Premio Nobel per la Medicina, che ha trasformato le cellule normali, con funzione specifica, in cellule staminali che hanno la speciale capacità di svilupparsi in qualsiasi tipo di cellula.

L’intero processo di riprogrammazione delle cellule staminali richiede circa 50 giorni utilizzando quattro molecole chiave chiamate fattori Yamanaka. Il nuovo metodo, chiamato “riprogrammazione transitoria della fase di maturazione“, espone le cellule ai fattori Yamanaka per soli 13 giorni. A questo punto, i cambiamenti legati all’età vengono rimossi e le cellule perdono temporaneamente la loro identità. Alle cellule parzialmente riprogrammate è stato concesso il tempo di crescere in condizioni normali, per osservare se la loro specifica funzione cellulare della pelle fosse ritornata.

L’analisi del genoma ha mostrato che le cellule avevano riacquistato i marcatori caratteristici delle cellule della pelle (fibroblasti), e ciò è stato confermato osservando la produzione di collagene nelle cellule riprogrammate.

Per dimostrare che le cellule erano state ringiovanite, i ricercatori hanno cercato cambiamenti nei segni distintivi dell’invecchiamento. 
La nostra comprensione dell’invecchiamento a livello molecolare è progredita nell’ultimo decennio, dando origine a tecniche che consentono ai ricercatori di misurare cambiamenti biologici legati all’età nelle cellule umane – ha sottolineato Diljeet – Siamo stati in grado di applicare queste tecniche al nostro esperimento per determinare il grado di riprogrammazione raggiunta dal nostro nuovo metodo“.

I ricercatori hanno esaminato più misure dell’età cellulare: il primo, l’orologio epigenetico, dove i tag chimici presenti in tutto il genoma indicano l’età; il secondo, è il trascrittoma, tutte le letture geniche prodotte dalla cellula. Con queste due misure, le cellule riprogrammate corrispondevano al profilo delle cellule che erano di 30 anni più giovani rispetto ai set di dati di riferimento.

Le potenziali applicazioni di questa tecnica dipendono dal fatto che le cellule non solo appaiano più giovani, ma funzionino anche come cellule giovani. I fibroblasti producono collagene, una molecola che si trova nelle ossa, nei tendini della pelle e nei legamenti, aiutando a fornire struttura ai tessuti e a guarire le ferite. 

I fibroblasti ringiovaniti hanno prodotto più proteine ​​di collagene rispetto alle cellule di controllo che non hanno subito il processo di riprogrammazione, spostandosi anche in aree che necessitano di riparazione. I ricercatori hanno scoperto che i loro fibroblasti trattati si spostavano nello spazio vuoto più velocemente delle cellule più vecchie. Questo è un segno promettente che un giorno questa ricerca potrebbe eventualmente essere utilizzata per creare cellule che sono più efficaci nella guarigione delle ferite.

In futuro, questa ricerca potrebbe aprire anche altre possibilità terapeutiche; i ricercatori hanno osservato che il loro metodo ha avuto un effetto anche su altri geni legati a malattie e sintomi legati all’età. Il gene APBA2 , associato al morbo di Alzheimer, e il gene MAF, con ruolo nello sviluppo della cataratta, hanno entrambi mostrato cambiamenti verso i livelli di trascrizione giovanili.

Il meccanismo alla base della riuscita riprogrammazione transitoria non è ancora completamente compreso ed è il prossimo pezzo del puzzle da esplorare. I ricercatori ipotizzano che le aree chiave del genoma coinvolte nella formazione dell’identità cellulare potrebbero sfuggire al processo di riprogrammazione.

Questo lavoro ha implicazioni molto interessanti – ha spiegato il Professor Wolf Reik, a Capo del Gruppo di ricerca del Programma sull’Epigenetica, che si è recentemente trasferito alla guida dell’Altos Labs Cambridge Institute – Alla fine, potremmo essere in grado di identificare i geni che ringiovaniscono senza riprogrammare e mirare specificamente a quelli per ridurre gli effetti dell’invecchiamento. Questo approccio promette preziose scoperte che potrebbero aprire un incredibile orizzonte terapeutico“.

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