Biodiversità e conservazione

Capitale naturale: gli investimenti hanno un ritorno di 20 volte

Un Rapporto commissionato dal Green Growth Knowledge Partnership e redatto dagli economisti della biodiversità del Centro di monitoraggio della conservazione mondiale del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP-WCMC) ha analizzato quanto 40 Paesi, adeguatamente selezionati che rappresentano l’80% del PIL mondiale, il 78% della popolazione mondiale, il 78% delle terre coltivabili e l’81% delle emissioni di gas serra, devono investire per raggiungere gli SDG correlati al capitale naturale, e il ritorno economico che ne deriverebbe.

Ogni dollaro speso per raggiungere gli obiettivi globali di sostenibilità legati alla natura entro il 2030 potrebbe comportare benefici economici per un valore di 20 dollari.

È quanto emerge dal Rapporto Closing the Gap: Investing in natural resources to meet the SDGs” pubblicato il 4 giugno 2024 e commissionato dalla Green Growth Knowledge Partnership (GGKP), un’iniziativa dedicata alla transizione verso un’economia verde, guidata dalle principali organizzazioni economiche e di sviluppo e dalle agenzie delle Nazioni Unite,  e redatto da economisti della biodiversità presso il Centro di monitoraggio della conservazione mondiale del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP-WCMC).

Il Rapporto si basa su una serie di rapporti economici dettagliati del GGKP che valutano il divario esistente tra le risorse naturali rimanenti della Terra e le condizioni ambientali – chiamato “capitale naturale” – e ciò che gli esperti calcolano sia necessario per raggiungere determinati obiettivi di sviluppo sostenibile correlati alla natura (9 target suddivisi in 8 diversi SDG).

Sono 40 i Paesi, strategicamente scelti per garantire la copertura di diverse regioni geografiche e classificazioni di reddito della Banca Mondiale (WB) abbracciano una vasta gamma di economie, comprese economie industrializzate come Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Germania, potenze emergenti come Cina, India, Messico e Arabia Saudita ed economie in via di sviluppo come Iran, Ucraina, Uganda, Marocco, Nigeria, Tailandia e Pakistan. In totale, rappresentano l’80% del PIL mondiale, il 78% della popolazione mondiale, il 78% delle terre coltivabili e l’81% delle emissioni di gas serra.

Il Rapporto calcola quanto i Paesi scelti devono investire per raggiungere i principali Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU al 2030, correlati alla conservazione e al ripristino della natura, all’uso più efficiente delle risorse naturali e alla riduzione dell’inquinamento di aria ed acqua. Analizza quindi il correlato ritorno sull’investimento in termini di benefici per la natura e il benessere umano, calcolato come equivalente economico.

Si stima che dovrebbero essere investiti 7,4 trilioni di dollari da qui al 2030 per raggiungere nove obiettivi chiave di sviluppo sostenibile legati alla natura. Colmare il gap di capitale naturale genererebbe l’equivalente economico di 152mila miliardi di dollari, ovvero 20 dollari per ogni dollaro speso.  

Gli investimenti per raggiungere gli obiettivi legati alla natura comporterebbero:
4,5 milioni di morti premature evitate ogni anno da qui al 2030;
più di 27 milioni di ettari sottratti alla deforestazione nello stesso periodo;
quasi 18 miliardi di tonnellate di risorse naturali in meno estratte;
250 milioni di ettari di terreno agricolo ripristinati;
396.000 ettari di aree protette terrestri e 218.000 ettari di aree marine protette in più.

Il divario tra gli attuali stock di capitale naturale e ciò che è necessario, nonché i conseguenti risultati degli investimenti varia da Paese a Paese, ma il rapporto mostra che l’azione su due priorità particolari – la salvaguardia di importanti ecosistemi e la lotta all’inquinamento atmosferico – comporterebbe notevoli benefici ovunque.

La protezione e il ripristino degli ecosistemi emergono come le prime tre priorità di investimento in ogni regione del mondo. Un’azione combinata in questo caso ridurrebbe il “gap di capitale naturale” del 34%. Nella maggior parte dei Paesi, i maggiori ritorni sugli investimenti provengono dalla protezione e dal mantenimento degli ecosistemi naturali (32 Paesi su 40) e dal ripristino dei terreni agricoli degradati (7 Paesi su 40).

Per quanto riguarda l’inquinamento e il consumo, lo Studio ha rilevato che gli Stati Uniti, l’India e la Cina potrebbero guadagnare di più in questa categoria se agissero sull’inquinamento atmosferico, tagliando le emissioni di gas serra e riducendo e migliorando l’uso di materiali naturali.

Viene inoltre sottolineato come gli investimenti nella natura fornirebbero una spinta cruciale per i Paesi a basso e medio-basso reddito. Sette dei dieci paesi che hanno più da guadagnare dalla chiusura del divario di capitale naturale si trovano nell’Africa sub-sahariana, con i maggiori benefici legati agli investimenti in acqua e servizi igienico-sanitari, negli ecosistemi e nella bonifica dei terreni agricoli.

Troppo spesso investire nella natura è visto come una cosa ‘bella da avere’, qualcosa da fare una volta soddisfatte tutte le altre esigenze – ha sottolineato Adriana Zacarias Farah, Responsabile del GGKP – Tuttavia, il benessere umano dipende dalla natura. Senza un ambiente sano e prospero non è possibile raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo sostenibile. Come dimostra questo rapporto, colmare il divario tra il nostro attuale stock di capitale naturale e ciò che è necessario per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite non è solo un buon investimento economico ma comporta enormi benefici per le persone e l’ambiente. Investire nella natura ci aiuta ad affrontare ogni pilastro della tripla crisi planetaria, e scegliere di non farlo ci impedirà di raggiungere il futuro che desideriamo”.

Il Rapporto concorda con le dure conclusioni sulle conseguenze economiche della perdita di biodiversità del Rapporto Dasgupta e del Global Risks Report del WEF che pone la perdita di biodiversità al 3° posto tra i maggiori rischi economici dei prossimi 10 anni, e sollecita l’implementazione del Quadro globale per la Biodiversità al 2030.

Oltre a un’esplorazione dei costi e dei benefici valutati, nelle diverse regioni, gruppi di reddito e dimensioni del divario di capitale naturale, il Rapporto include anche un programma d’azione per contribuire a colmare il divario di capitale naturale. Ad esempio, richiede azioni per porre fine ai sussidi e agli incentivi dannosi per l’ambiente, espandere le aree marine e terrestri protette e costruire una comprensione e un impegno comuni per finanziare soluzioni più basate sulla natura. Esorta inoltre la comunità internazionale a compiere uno sforzo globale per andare “oltre il PIL” come misura del progresso economico verso una visione più olistica che tenga conto di altre aree cruciali di progresso e sviluppo nel mondo naturale.

In Allegato, il documento include anche un approccio metodologico per la valutazione dei gap di capitale naturale che può essere utilizzata a livello nazionale sia per i paesi non coperti tra i 40 paesi valutati, sia per aggiornare e approfondire l’analisi utilizzando dati locali anziché globali.

Il mondo sta affrontando immense sfide economiche, climatiche e geopolitiche, oltre agli impatti a lungo termine della pandemia di Covid-19 e alle crisi che ne sono seguite – ha dichiarato James Vause, principale autore del rapporto ed economista capo dell’UNEP-WCMC – Non sorprende che siamo indietro rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibile per la natura e ad altre priorità. Tuttavia, il nostro rapporto mostra quanto possiamo guadagnare se investiamo collettivamente nella natura. Non possiamo continuare a pensare in termini di compromessi tra progresso economico e sforzi per contrastare l’inquinamento, la distruzione e il degrado della natura. Raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile significa trovare percorsi di sviluppo che ripristinino e valorizzino, anziché degradare ulteriormente, le risorse naturali. Il programma d’azione stabilito per contribuire a raggiungere questo obiettivo è impegnativo, ma i benefici che ne deriveranno per le persone e l’economia, così come per il pianeta, saranno probabilmente enormi”.

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