In vista della Giornata Internazionale della Biodiversità (22 maggio 2023), WWF Italia ha pubblicato un Rapporto sullo stato complessivo, non buono, della ricchissima biodiversità del nostro Paese, evidenziando le minacce ma anche le migliori soluzioni che oggi sono disponibili per invertire il trend e aderire ad un percorso di restauro e conservazione della biodiversità che oggi il mondo e l’Europa ci chiedono.
Il declino degli ecosistemi nel mondo ha raggiunto le dimensioni di una vera catastrofe: gli scienziati calcolano che l’impatto del genere umano su tutte le altre forme di vita sia arrivato ad accelerare tra le 100 e le 1.000 volte il tasso di estinzione naturale delle specie, avviando la sesta estinzione di massa. A livello globale rimane un misero 12,5% della foresta atlantica, si è perso più del 50% delle barriere coralline e una vastissima porzione della foresta amazzonica (probabilmente il 20% se non di più) è stata distrutta.
Questa crisi di natura è evidente anche in Italia, dove la biodiversità raggiunge valori elevatissimi (contiamo metà delle specie vegetali e circa 1/3 di tutte le specie animali presenti in Europa), ma che con cieca determinazione stiamo erodendo e distruggendo, mettendo a rischio la nostra stessa sicurezza e il nostro benessere.
Per parlare di biodiversità d’Italia, il WWF paragone la nostra penisola ad un bicchiere di cristallo: bellissimo e prezioso, pieno di risorse ma terribilmente fragile.
“Biodiversità Fragile, maneggiare con cura. Status, tendenze, minacce e soluzioni per un futuro nature-positive” è, appunto, il titolo del Rapporto che WWF Italia ha presentato il 12 maggio 2023, alla vigilia della Giornata Mondiale degli Uccelli Migratori (WMBD) e in vista della Giornata Internazionale della Biodiversità (22 maggio 2023), dove mette in luce – a partire dalle informazioni, le banche dati, gli studi disponibili ad oggi – lo stato complessivo della biodiversità in Italia, evidenziando le minacce ma anche le migliori soluzioni che oggi abbiamo a disposizione per invertire il trend e aderire ad un percorso di restauro e conservazione della biodiversità che oggi il mondo e l’Europa ci chiedono.
I segnali della fragilità
Dalle Liste Rosse nazionali della flora dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) emerge che, in Italia circa l’89% degli habitat di interesse comunitario si trova in uno stato di conservazione sfavorevole.
Dei 43 habitat forestali italiani: 5 hanno uno stato di conservazione “criticamente minacciato” e 12 “in pericolo”.
Il 68% degli ecosistemi italiani si trova in pericolo e il 35% in pericolo critico: il 100% degli ecosistemi è a rischio nell’ecoregione padana, il 92% in quella adriatica e l’82% in quella tirrenica.
È in uno stato ecologico non buono il 57% dei fiumi e l’80% dei laghi e i dati sullo stato di conservazione delle specie non sono meno allarmanti: il 40% delle specie di animali vertebrati e il 22% delle specie marine del Mediterraneo sono a rischio estinzione.
Oltre alle pressioni dirette su specie, habitat ed ecosistemi, esercitate attraverso l’inesauribile richiesta di risorse naturali operata dalle società, esistono anche altre forze che agiscono indirettamente senza degradare o distruggere l’ambiente, ma che ostacolano e rallentano la risoluzione dei problemi. Si tratta, ad esempio, della cosiddetta governance ambientale (si pensi solo alla regolamentazione dello sfruttamento della risorsa idrica), inadeguata rispetto alla complessità dei problemi ed ostacolata da investimenti limitati, nonché dalla resistenza di soggetti con interessi politici o economici a breve termine, con scarsa attenzione alla tutela della biodiversità, alle comunità più deboli ed esposte e alle generazioni future.
Tra i fattori alla base della perdita di biodiversità, sottolinea WWF Italia, c’è anche il cambiamento climatico, processo profondamente interconnesso all’estinzione delle specie. La perdita di biodiversità influenza il clima, soprattutto attraverso l’impatto sull’azoto, il carbonio e sul ciclo dell’acqua. A sua volta il cambiamento climatico influenza la biodiversità attraverso fenomeni come l’aumento della temperatura e la riduzione delle precipitazioni. Queste si manifestano ormai sempre più spesso come piogge torrenziali, causa di frane e alluvioni disastrose. Altro effetto della crisi climatica è l’innalzamento del livello del mare. Sono 21.500 i km2 di suolo italiano cementificato, mentre si calcolano oltre 1.150 km2 di suolo consumati in 15 anni, una superficie quasi corrispondente a quella di una città come Roma, mentre il Mediterraneo si sta riscaldando più velocemente del 20% rispetto alla media globale. Poi ci sono le specie aliene invasive, identificate da alcuni studi come la seconda principale minaccia alla biodiversità globale, che ha contribuito in modo determinate al 54% delle estinzioni delle specie animali conosciute, tramite predazione su specie autoctone o competizione per le risorse (es. cibo, luoghi di riproduzione). L’ISPRA stima che in Italia ci siano intorno a 3.000 specie aliene, con un incremento del 96% negli ultimi 30 anni.
La perdita di natura non rappresenta solo una minaccia di per sé, ma mette a rischio sistemi che ci garantiscono la vita, primo fra tutti quello che regge l’equilibrio della crisi idrica. A causa del riscaldamento globale in atto, la disponibilità media annua di acqua si potrebbe ridurre da un minimo del 10% entro il 2030 ad un massimo del 40% entro il 2100, con picchi fino al 90% per l’Italia meridionale. Il ciclo perverso della crisi idrica provoca effetti sulla biodiversità con l’estinzione (già in atto) di molte specie, perdita delle zone umide, l’incremento di parassiti e patologie, della frequenza e intensità degli incendi forestali. Gli effetti sulle persone, oltre alla riduzione delle disponibilità di acqua, saranno l’incremento dell’erosione del suolo e la riduzione della fertilità dei terreni agricoli.
Le soluzioni
Il report di WWF Italia lancia anche un appello: è necessario di intervenire in maniera concreta mettendo immediatamente in pratica la Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030 , che prevede che almeno il 30% delle specie e degli habitat di interesse comunitario il cui stato di conservazione non è soddisfacente, lo raggiungano entro il 2030. La strategia prevede anche che gli ecosistemi vengano tutelati attraverso l’incremento della superficie protetta al 30% del territorio terrestre e marino e che il 30% degli ecosistemi attualmente degradati vengano ripristinati.
Per ogni ambiente da tutelare il report approfondisce le soluzioni da mettere in atto: dal recupero e ripristino delle zone umide, al potenziamento della rete di monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee; dalla necessità di un Piano di Adattamento alla crisi climatica (PNACC) la cui proposta elaborata dal MASE ha concluso la fase di consultazione ed è attualmente sottoposto a procedimento di VAS (Valutazione Ambientale Strategica), alla promozione delle Nature Based Solutions, alla gestione forestale; dalla drastica riduzione dell’uso dei pesticidi in agricoltura, fino all’ampliamento delle superficie marina protetta.
Oggi più che mai, concluse WWF Italia, è importantissima l’attivazione di tutti, a partire dalla società civile, per strappare la crisi dei sistemi naturali da quel cono d’ombra che impedisce ai cittadini di capire la portata di quello che sta succedendo e alle istituzioni di agire riconoscendo alla natura la priorità che ha, di fatto, nel presente e nel futuro.