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Acque reflue depurate: in Italia utilizzate solo il 5%

Utilitalia, la Federazione che riunisce le Utility dei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, ha presentato i risultati di un’indagine condotta presso i gestori del servizio idrico integrato sul riuso delle acque in Italia, da cui emerge che nonostante i periodi di siccità prolungata saranno sempre più frequenti, stiamo sprecando il 95% delle acque reflue depurate.

Rispetto ad un potenziale di 9 miliardi di m3 di acqua all’anno di riuso delle acque reflue depurate in Italia vengono utilizzati solo 475 milioni di m3 (5%).

Il dato emerge dai risultati di un’indagine condotta presso i gestori del servizio idrico integrato sul riuso delle acque in Italia da Utilitalia, la Federazione che riunisce le Utility dei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, e presentata nel corso dell’evento “Climate Change e Servizio Idrico: la sfida del PNRR per un sistema efficiente e resiliente”, svoltosi l’11 luglio 2022 a Napoli e organizzato da Utilitalia, Università degli Studi Federico II di Napoli e Associazione Idrotecnica Italiana.

Gli effetti del riscaldamento globale sono già riconoscibili per l’aumento dei cosiddetti eventi estremi, fra i quali in particolare vanno ricordate le siccità prolungate e diffuse, come quelle che sta attraversando la Penisola, e che sono destinate ad acuirsi, secondo quanto riporta la nota-stampa ISPRA, diffusa qualche giorno fa.

Sul piano strettamente locale le politiche di adattamento sono le sole leve utilizzabili per contrastare gli effetti negativi che si possono manifestare. Il PNRR promosso e finanziato dalla UE rappresenta una opportunità unica per l’Italia e per il Mezzogiorno, in particolare, per dotarsi di adeguate misure strutturali di contrasto a questo problema. Fra le diverse politiche green che possono caratterizzare una nuova fase di sviluppo va certamente annoverato il ricorso ad acque reflue adeguatamene depurate ed affinate per i diversi impieghi idroesigenti non potabili.

Peraltro, il Regolamento europeo 2020/741 prevede il riuso delle acque da parte degli Stati Membri a partire dal giugno del 2023, stabilendo criteri comuni e prescrizioni minime per tutti i Paesi membri. Qualsiasi decisione di non praticare il riutilizzo dell’acqua dovrebbe essere debitamente giustificata. Quindi, l’Italia deve adeguare velocemente la normativa di riferimento – risalente al 2003 – per incentivare questa pratica.

In Europa, pur prevalendo il riuso per scopi irrigui, altre possibili destinazioni sono per scopi produttivi, ricreativi, recuperi ambientali, usi misti o altro. In Italia prevale nettamente il riuso irriguo (83%), essendo destinata agli usi produttivi solo il 9% dell’acqua prodotta

Fonte: Slide di presentazione dell’indagine di Tania Bellini e Elena Mauro

Dal campione analizzato da Utilitalia (equivalente a circa 21 milioni di abitanti serviti) è emerso che sono già esistenti e funzionanti 79 impianti per la produzione di acque di riuso con una potenzialità complessiva pari a 1,3 milioni di metri cubi al giorno (475 milioni di metri cubi in un anno). Di contro, l’uso diretto per l’irrigazione attraverso reti dedicate è ancora piuttosto scarso: di questi 79 impianti, solo 16 sono dotati di una specifica rete di trasporto e distribuzione dell’acqua affinata. L’utilizzo agricolo indiretto, quello che si avvale per lo più di preesistenti canali irrigui, rimane la pratica più diffusa.

Oltretutto sono 23 le installazioni per le quali non è ancora definita una specifica utilizzazione finale, a dimostrazione delle incertezze e dei dubbi che ancora sono presenti a livello di utilizzatori finali potenziali. Altri 24 impianti sono programmati (dovrebbero essere tutti ultimati entro i prossimi 5 anni) e su ulteriori 40 sono in corso studi di fattibilità. In un arco di breve-medio periodo: è dunque legittimo attendersi quasi un raddoppio (da 79 a 143) delle installazioni operative.

Se si considera inoltre che in Italia sono attivi 18.140 impianti di depurazione, di cui 7.781 dotati di un trattamento secondario/avanzato che si potrebbero potenziare per renderli idonei alla produzione di acqua affinata per il riuso, si comprende che il potenziale sviluppo di questo settore è enorme.

Il nostro Paese ha depuratori di ottima qualità da cui fuoriescono circa 9 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno – ha spiegato il Vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo Si tratta di una grande opportunità che, soprattutto in periodi siccitosi come quello che stiamo attraversando, potrebbe sostenere in maniera importante i vari usi dell’acqua ed in particolare quello del comparto agricolo. Bisogna però valutare attentamente le singole iniziative considerandone i benefici ed i costi nonché superare i problemi relativi alla governance, alla mancanza di fondi dedicati ad infrastrutture che favoriscano soluzioni orientate al riuso e alla corretta attribuzione delle responsabilità. L’indirizzo su come ripartire i costi di affinamento, stoccaggio e del trasporto spetta al decisore politico ma è innegabile che i margini di crescita siano evidenti, anche se resta fondamentale il miglioramento delle infrastrutture a servizio dei diversi usi“.

Fonte: Slide di presentazione dell’indagine di Tania Bellini e Elena Mauro

Il complesso percorso di messa in regola dell’Italia, e del Mezzogiorno in particolare, in campo fognario e depurativo può essere l’occasione per innovare il sistema nel senso dell’economia circolare – ha affermato il Commissario Unico per la Depurazione, Maurizio GiugniNuovi depuratori sono in fase di realizzazione e di altri è in corso l’adeguamento funzionale, con tecnologie avanzate che restituiranno un refluo di qualità in tanti territori fin qui sprovvisti di infrastrutture efficienti e che, per questo motivo, sono sanzionati dall’Europa. Intensificare il riutilizzo delle acque depurate a fini irrigui è una strada necessaria ma servono tante azioni congiunte, penso ad esempio al recupero delle perdite nei sistemi idropotabili e irrigui e alla regolazione dei deflussi con grandi o piccoli invasi, per rispondere in maniera non emergenziale, ma strutturale, alla sete della terra“.

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