Aree protette e parchi Biodiversità e conservazione

Biodiversità: le azioni di conservazione arrestano la perdita

Un ampio Studio di meta-analisi, unico nel suolo genere, condotto da un folto gruppo di ricercatori internazionali, tra cui Piero Genovesi dell’ISPRA, coordinati dalla Ong Re:wild e supportati dalla IUNC e dal GEF, dimostra che gli interventi di conservazione hanno successo per arrestare e invertire la perdita di biodiversità nella maggior parte dei casi (66%) rispetto all’assenza di azioni.

Le azioni per la conservazione della natura funzionano, ma richiedono una diffusione trasformativa per raggiungere gli obiettivi globali.

La conferma che gli interventi di conservazione hanno successo per arrestare e invertire la perdita di biodiversità, la cui crisi può portare al collasso degli ecosistemi e a un pianeta non più in grado di sostenere la vita, nonché per ridurre gli effetti del cambiamento climatico, arriva dallo Studio The positive impact of conservation action”, pubblicato il 25 aprile 2024 su Science e condotto da un folto gruppo di ricercatori internazionali, tra cui Piero Genovesi dell’ISPRA, coordinati da Re:wild, Ong co- fondata da Leonardo Di Caprio con l’obiettivo di proteggere e ripristinare la natura nella misura e alla velocità di cui abbiamo bisogno, e finanziata dalla IUNC (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e dal GEF (Fondo Mondiale per l’Ambiente).

I risultati di questa prima meta-analisi completa sull’impatto delle azioni di conservazione per contrastare la perdita di biodiversità, confermano gli effetti notevoli per gli ecosistemi che stabilizzano il clima e che forniscono a miliardi di persone di tutto il mondo acqua pulita, mezzi di sussistenza, case e preservazione culturale, oltre ad altri servizi ecosistemici.

Dopo l’adozione da parte dei Governi del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF) per arrestare e invertire la perdita di biodiversità, è ancora più importante capire se gli interventi di conservazione stanno funzionando. 

Se si guarda solo al trend del declino delle specie, sarebbe facile pensare che non stiamo proteggendo la biodiversità, ma non si osserverebbe il quadro completo – ha affermato Penny Langhammer, autrice principale dello studio e vice-Presidente esecutiva di Re:wild – Ciò che dimostriamo con questo studio è che la conservazione, di fatto, sta lavorando per arrestare e invertire la perdita di biodiversità. Chiaramente la conservazione deve avere la priorità e ricevere significative risorse aggiuntive e sostegno politico a livello globale, affrontando contemporaneamente i fattori sistemici della perdita di biodiversità, come il consumo e la produzione non sostenibili”.

Sebbene molti studi esaminino singoli progetti e interventi di conservazione e il loro impatto rispetto all’assenza di azione, questi documenti non sono mai stati inseriti in un’unica analisi per vedere come e se l’azione di conservazione funziona nel suo complesso. I co-autori hanno esaminato 186 studi, inclusi 665 studi, che hanno esaminato l’impatto di un’ampia gamma di interventi di conservazione a livello globale e nel tempo, rispetto a ciò che sarebbe accaduto senza tali interventi, coprendo oltre un secolo di azioni di conservazione e valutando azioni mirate a diversi livelli di biodiversità: specie, ecosistemi e diversità genetica. 

La meta-analisi ha rilevato che le azioni di conservazione – tra cui la creazione e la gestione di aree protette, l’eradicazione e il controllo delle specie invasive, la gestione sostenibile degli ecosistemi, la riduzione e il ripristino della perdita di habitat – hanno migliorato lo stato della biodiversità o ne hanno rallentato il declino nella maggior parte dei casi (66%), rispetto all’assenza di azioni, e quando gli interventi di conservazione funzionano, i coautori dello studio hanno scoperto che sono altamente efficaci.

Per esempio:
– la gestione dei predatori nativi invasivi e problematici su due delle isole barriera della Florida (Cayo Costa e North Captiva), ha comportato un miglioramento immediato e sostanziale nel successo della nidificazione da parte delle tartarughe caretta e delle sterne minori, soprattutto rispetto ad altre isole barriera dove non è stata applicata alcuna gestione dei predatori.;
– nel bacino del Congo, la deforestazione è stata inferiore del 74% nelle concessioni di disboscamento previste da un Piano di Gestione Forestale (FMP) rispetto alle concessioni senza FMP.

– è stato dimostrato che le aree protette e le terre indigene nell’Amazzonia brasiliana riducono significativamente sia il tasso di deforestazione che la densità degli incendi nell’Amazzonia brasiliana, dove la deforestazione è risultata fino a 20 volte più elevata e gli incendi causati dall’uomo si sono verificati da 4 a 9 volte più frequenti all’esterno dei perimetri della riserva rispetto all’interno;
l’allevamento e il rilascio in cattività hanno incrementato la popolazione naturale del salmone Chinook nel bacino del Salmon River, nell’Idaho centrale, con impatti negativi minimi sulla popolazione selvatica e un incremento di 1,3  figli adulti di seconda generazione rispetto ai pesci che si riproducono naturalmente. 

La maggior parte degli esempi studiati ha mostrato risultati positivi (fonte:Langhammer et al. (2024) Science

Le specie e gli ecosistemi stanno affrontando una crisi drammatica e il Piano per la biodiversità delle Nazioni Unite è un urgente appello globale all’azione – ha commentato Piero Genovesi dell’ISPRA e Presidente del Gruppo di specialisti sulle specie invasive della IUNC, co-autore dello Studio – Questo documento mostra che l’eradicazione, il controllo e la gestione delle specie esotiche invasive hanno il maggiore impatto in termini di conservazione e possono aiutare a invertire le attuali tendenze di perdita della biodiversità, salvando potenzialmente centinaia di specie dall’estinzione. È essenziale che i governi e i donatori sostengano la lotta contro le specie esotiche invasive se vogliamo raggiungere gli obiettivi concordati sulla biodiversità entro il 2030”.

Anche nella minoranza dei casi in cui le azioni di conservazione non sono riuscite a recuperare o a rallentare il declino delle specie o degli ecosistemi a cui miravano rispetto all’inazione, i ricercatori hanno beneficiato delle conoscenze acquisite e sono stati in grado di affinare le metodologie. Ad esempio, in India la rimozione fisica delle alghe invasive ha causato la diffusione delle alghe altrove perché il processo intrapreso ha spezzato le alghe in molti pezzi, consentendone la dispersione, suggerendo che una strategia diversa per la rimozione algale potrebbe avere maggiori probabilità di successo.

Ciò potrebbe anche spiegare perché i coautori hanno trovato una correlazione tra interventi di conservazione più recenti e risultati positivi per la biodiversità: è probabile che la conservazione diventi più efficace nel tempo. Altre potenziali ragioni di questa correlazione includono un aumento dei finanziamenti e interventi più mirati.

In altri casi in cui l’azione di conservazione non è riuscita a conseguire i benefici mirati alla biodiversità, ne hanno invece beneficiato involontariamente altre specie autoctone

Sarebbe troppo facile perdere ogni senso di ottimismo di fronte al continuo declino della biodiversità – ha affermato Joseph Bull, Professore associato presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Oxford e co-autore dello Studio – Tuttavia, i nostri risultati mostrano chiaramente che c’è spazio per la speranza. Gli interventi di conservazione sono risultati in miglioramento rispetto all’inazione per la maggior parte del tempo; e quando non lo erano, le perdite sono state relativamente limitate“. 

Nel documento, inoltre, viene sottolineato che occorrono maggiori investimenti specifici nella gestione efficace delle aree protette, che rimangono la pietra angolare di molte azioni di conservazione. Coerentemente con altri studi, in questo si evidenzia come le aree protette funzionino molto bene nel complesso, e che quando la protezione non assolve agli obiettivi, è tipicamente il risultato di una mancanza di gestione efficace e di risorse adeguate. Le aree protette saranno ancora più efficaci nel ridurre la perdita di biodiversità se dispongono di risorse adeguate e sono ben gestite

In copertina: La nascita di coccodrilli cubani nel Santuario riproduttivo della palude i di Zapata nell’agosto 2019 (foto di Robin Moore, Re:wild). Il coccodrillo cubano (Crocodylus rhombifer) è una piccola specie che sopravvive solo a Cuba ed è tra le specie in pericolo critico, secondo la Red List della IUNC.

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