Circular economy Sostenibilità

Transizione verde: l’economia circolare per il rilancio del sistema Italia

Il III Rapporto “Transizione verde e sviluppo. Può l’economia circolare contribuire al rilancio del sistema Italia?” di Federmanager, in collaborazione con l’AIEE, si concentra sull’esigenza che la politica energetico-ambientale e la politica industriale siano finalizzate ad accelerare il percorso di decarbonizzazione del nostro Paese.

La carenza di competenze specialistiche e la mancanza di know how rappresentano i principali ostacoli alla transizione verde del nostro Paese. L’eccesso di burocrazia e la difficoltà di accesso al credito, unito a una legislazione stratificata e poco omogenea, aggravano la situazione delle tante imprese italiane chiamate alla sfida della sostenibilità.

È quanto si legge nelle conclusioni nel III Rapporto annuale Transizione verde e sviluppo. Può l’economia circolare contribuire al rilancio del sistema Italia?” di Federmanager, l’Associazione che rappresenta manager e alte professionalità delle aziende produttrici di beni e servizi, e AIEE (Associazione Italiana Economisti dell’Energia, presentato il 18 febbraio 2020 a Roma.

Lo Studio si concentra sull’esigenza che la politica energetico-ambientale e la politica industriale siano finalizzate ad accelerare il percorso di decarbonizzazione del nostro Paese, puntando sullo sviluppo delle filiere produttive nazionali grazie a una visione precisa di futuro e con il contributo fondamentale dell’innovazione, della ricerca e della massima razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse.

Con la transizione low carbon, se da un lato si ridurrà l’utilizzo di combustibili fossili, incrementando l’uso di energie rinnovabili e di nuove tecnologie, dall’altro aumenteranno notevolmente i “nuovi rifiuti” provenienti dal fine-vita di tali tecnologie (turbine, pannelli solari, pompe di calore, batterie, ecc.). Lo sviluppo di una politica orientata all’economia circolare può consentire il riutilizzo di molti di questi materiali ed apparecchiature, rappresentando una sfida in termini di sviluppo del nostro sistema industriale. 

Le batterie per autotrazione, per esempio, possono essere rigenerate e riutilizzate nel settore dello stoccaggio, prolungandone la vita e consentendo di ridurre il fabbisogno globale di litio e cobalto. Anche per quanto riguarda le componenti delle turbine eoliche e dei moduli solari, visto l’imminente repowering di alcuni impianti, occorrono tecnologie che siano in grado di separare i materiali e recuperarli in modo efficiente e redditizio.

La gestione efficace dei rifiuti, considerati risorse in un’ottica circolare (Cash from trash), risulta perciò essere un punto chiave nel processo di transizione verso uno scenario di recupero degli stessi anche dal punto di vista energetico.

È quindi fondamentale coordinare progetti ed investire in R&S al fine di trovare nuove soluzioni tecnologiche che siano in grado di recuperare in modo efficiente le materie prime tramite la differenziazione e la trasformazione dei rifiuti e anche il calore prodotto dai processi di trattamento degli stessi.

Il recupero delle materie prime è una opportunità non solo per l’ambiente ma anche per l’economia: secondo un Rapporto sull’Economia circolare della Ellen MacArthur Foundation (EMF)  la transizione verso un’economia circolare potrà consentire all’Europa un risparmio netto annuo fino a 640 miliardi di dollari sul costo di approvvigionamento dei materiali per il sistema manifatturiero dei beni durevoli.

Per l’Italia, particolarmente povera di risorse naturali, questo è un aspetto molto importante. In questa prospettiva, va espresso l’invito ai policy maker ad incentivare le possibili sinergie tra politica ambientale e politica industriale, investendo sull’istruzione e la ricerca pubblica, sostenendo la ricerca e l’innovazione privata e, di conseguenza, ottenere ricadute significative anche in ambito occupazionale.

In questa prospettiva, un ruolo determinante potranno giocare gli strumenti attivati a livello europeo anche in funzione di contrapposizione alla concorrenza extra-UE, quali la svolta del “Green Deal europeo” adottato dalla Commissione UE che prevede un pacchetto di investimenti per sostenere un’economia net zero da 1.000 miliardi di euro in 10 anni.

Proponiamo che quota parte delle risorse destinate all’Italia sia vincolata a sostegno delle figure manageriali impegnate per la sostenibilità – ha dichiarato Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager – In uno scenario di trasformazione del sistema occupazionale che sia indirizzato verso la piena affermazione dell’economia circolare, potrebbero essere creati oltre 500mila posti di lavoro entro il 2030. Per questo chiediamo al governo di sostenere chi, come Federmanager, punta sullo sviluppo di competenze specifiche per la sostenibilità”.

A fronte delle tante opportunità offerte dall’affermazione dei criteri dell’economia circolare, si avverte la necessità di manager competenti che abbiano le conoscenze richieste da un mercato in continua evoluzione, per mettere a punto progetti sostenibili e i conseguenti processi produttivi. Non servono solo tecnici capaci di districarsi tra i vincoli della burocrazia e delle normative stratificate, ma professionalità in grado di guidare l’innovazione, da formare adeguatamente, specie in un sistema industriale come il nostro, costituito prevalentemente da PMI, ad oggi non attrezzate per questo obiettivo.

A tal fine Federmanager ha attivato specifici percorsi di certificazione delle competenze, pensati per una nuova figura professionale: il “manager per la sostenibilità”, un agente di cambiamento in grado di incidere all’interno della propria organizzazione in termini di innovazione sostenibile.

Per quanto riguarda il capitale umano, Eurobarometro nel 2017 ha calcolato il numero medio di dipendenti per impresa impiegati in lavori verdi nelle PMI nell’UE28. Il valore medio europeo risultante dal sondaggio, è stato 1,68. L’Italia, con 1,49, è al di sotto della media europea mentre la Germania ha raggiunto un valore medio pari a 2,5. In Italia, quindi, si deve aumentare il coinvolgimento delle PMI nel settore delle attività verdi e del miglioramento ambientale.

Non avere saputo programmare, negli anni, una politica industriale finalizzata a uno sviluppo sostenibile è una delle ragioni delle difficoltà del nostro Paese e della mancata preparazione del nostro tessuto produttivo nei settori della decarbonizzazione, caratterizzati da un numero limitato di aziende di dimensioni ridotte. Nello scenario di maggiore implementazione dell’economia circolare, invece, da qui al 2030, secondo la valutazione di Enea e Confindustria, si potrebbe arrivare ad un incremento di oltre 540.000 posti di lavoro, a fronte di un incremento di soli 35.000 unità nel caso di uno scenario inerziale.

L’Italia vanta grandi player nel settore energetico – ha ricordato CuzzillaTuttavia più del 95% della nostra economia è costituito da micro e piccole imprese. L’obiettivo che ci dobbiamo porre, dunque, è quello di managerializzare le nostre PMI, immettendo competenze che generino positivi sulla produttività italiana”.

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