Consumi e risparmio Energia

L’evidente, seppur lenta, transizione energetica dell’UE

evidente seppur lenta transizione energetica UE

Nei commenti dei media alla diffusione dei dati Eurostat sui consumi energetici dell’UE prevale l’enfasi sull’aspetto recessivo del calo, senza sottolineare l’effetto positivo delle misure di efficienza energetica introdotte per raggiungere l’obiettivo al 2020 e il peso sempre maggiore delle rinnovabili nel mix energetico.

Nel 2013 il consumo energetico lordo ovvero l’energia necessaria per soddisfare i consumi nazionali nell’Unione Europea è stato pari a 1.666 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtep), ritornando ai livelli dei primi anni ’90 e scendendo del 9,1% rispetto al picco che si era raggiunto nel 2006, con 1.832 Mtep.
Lo ha rilevato Eurostat che in un Comunicato del 9 febbraio 2015 ha pure certificato che il nucleare con il 29% è stato il maggior produttore di energia dell’UE, seguito da rinnovabili (24%), combustibili solidi (20%), gas (17%), petrolio (9%) e rifiuti non-rinnovabili (1%).

Nel complesso, l’UE è stata dipendente dalle importazioni per il 53% dei suoi consumi nel 2013, avendo prodotto 790 Mtep di energia. I Paesi membri meno dipendenti dalle importazioni energetiche sono stati l’Estonia (11,9%), la Danimarca (12,3%), la Romania (18,6%), la Polonia (25,8%), i Paesi Bassi (26%) e la Repubblica ceca (27,9%). Invece, quelli che hanno registrato i più alti tassi sono stati Malta (104%), Lussemburgo (96,9%), Cipro (96,4 %) e Irlanda (89,1%).

Tra i 5 Stati membri che consumano maggiori quantità di energia, i meno dipendenti dalle importazioni di energia sono stati il Regno Unito (46,4%) e la Francia (47,9%), in contrasto con Germania (62,7%), Spagna (70,5%) e Italia (76,9%).

Nel 2013 il nostro Paese ha registrato un consumo lordo di 160 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtep), un valore di poco superiore ai consumi dei primi anni del 1990 (153,5 Mtep), ma inferiore al picco registrato nel 2006 di circa il 17%.
Per quanto riguarda la produzione di energia da diversi tipi di fonte, in Italia la produzione autonoma totale pari a 36,9 Mtep è stata ottenuta per lo 0,1% da combustibili solidi, il 3,1% da rifiuti non-rinnovabili, per il 15,9% da petrolio, per il 17,2% da gas, il 63,7% da fonti rinnovabili.

Su questi dati i media hanno tratto gli aspetti legati alla crisi economica dell’UE:
– la decrescita infelice;
– l’UE torna ai consumi degli anni ’90;
– in Europa crescono le rinnovabili;
– Eurostat certifica il crollo dei consumi energetici;
– giù i consumi, alta la dipendenza;
– la crisi si abbatte sui consumi energetici dell’UE.

Non c’è dubbio che la recessione ha avuto riflessi sui consumi energetici, ma la trasformazione energetica in atto non viene adeguatamente considerata. In particolare, non viene fatto cenno del peso che l’efficienza energetica avrebbe avuto in tale contesto, per effetto dell’obiettivo del 20% al 2020, rispetto ai livelli del 2007, che l’UE si è posta e delle misure che sono state intraprese, come è possibile osservare nel diagramma sottostante “Il Consumo totale di energia nell’UE e i progressi verso gli obiettivi dell’UE di efficienza energetica al 2020”.
Il tracciato blu scuro mostra il consumo effettivo in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio; la linea azzurra è la proiezione BAU (business as usual) e il tratto in verde indica dove dovrà arrivare il consumo energetico dell’UE per raggiungere l’obiettivo dell’efficienza al 2020.

Inoltre, non viene segnalato in modo adeguato che il mix energetico dell’UE si sta progressivamente modificando, con una riduzione del peso del carbone che rispetto al 1990 è diminuito del 40% e di quello del petrolio, sceso del 12%.
Nello stesso periodo è aumentato, per la verità, il consumo di gas (+5,4%) e la produzione da nucleare (+1,3%), anche se dal 2005 si registra per entrambe le fonti una riduzione.
Viceversa, è aumentato progressivamente il peso delle fonti rinnovabili che nello stesso periodo sono passate dal 4,3% all’11,9%.
È pur vero che le fonti “sporche” forniscono ancora i tre quarti dell’energia prodotta dall’UE, lasciando intravedere quali grandi sforzi dovranno essere compiuti per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’80% al 2050, ma si deve anche osservare che le fonti low carbon pesano ora per un quarto.

Quel che suscita maggiori perplessità è il peso di specifiche fonti “sporche”, che perdura in molti Paesi membri, determinando di conseguenza la loro indisponibilità ad obiettivi climatici ambiziosi, come dimostra l’atteggiamento dei Paesi dell’Est Europa, capeggiati dalla Polonia, per effetto della loro pesante dipendenza dal carbone.
A sua volta, la Gran Bretagna fa troppo affidamento sul gas, circostanza che spiega l’entusiasmo per i giacimenti del Mar del Nord, ma anche le sue pressioni affinché l’UE aprisse allo shale gas.
La Francia ottiene ancora la sua energia per il 42% dal nucleare, mentre anche l’enfasi posta dalla Germania sulla sua transizione energetica, nota come Energiewende, non produce ancora i risultati attesi, dal momento che la sua produzione da fonti rinnovabili ha un peso nel mix energetico inferiore a quello dell’Italia, rimanendo, peraltro, fortemente dipendente dalla lignite, il combustibile fossile più sporco, che rappresentava nel 2013 il 25,4% della sua produzione di energia elettrica.

L’Unione dell’Energia”, lanciata dalla Commissione UE nei giorni scorsi e da adottarsi entro febbraio 2015, dovrà affrontare anche queste problematiche, oltre che pensare a come trasportare in Europa il gas dell’Azerbaijan.

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