Uno Studio, condotto dall’Università Federico II di Napoli e dalla SHRO di Philadelphia, in collaborazione con l’Università di Siena e la Temple University, che ha utilizzato un muschio come biomonitoraggio per elementi potenzialmente tossici (ETP) da inquinamento atmosferico in 2 aree della “Terra dei fuochi” in Campania, una al centro dello smaltimento illecito di rifiuti, e un’altra in un bosco, apparentemente immune da fonti dirette di inquinamento, ha rivelato un accumulo simile.in entrambe.
La “Terra dei fuochi” avvelena anche la vegetazione che “respira” l’aria inquinata della zona, ed anche le zone considerate meno a rischio, all’interno della tristemente zona campana, non è esente da danni.
Lo rivela lo Studio “Biomonitoring of potentially toxic elements at two differentially anthropized areas of the “Land of Fires” (S Italy)” pubblicato sul numero del 15 maggio 2025 della rivista Science of the Total Environment e condotto da un team internazionale guidato dall’Università Federico II di Napoli e dalla Sbarro Health Research Organization (SHRO) di Philadelphia, in collaborazione con l’Università di Siena e la Temple University (USA).
Lo Studio ha utilizzato un muschio (Scorpiurium circinatum) come bioindicatore per monitorare l’inquinamento atmosferico in alcune zone della Campania, inclusi territori considerati “non a rischio”. Sono stati posizionati “moss bag”, piccole sacche contenenti muschio vivo, in 6 siti distribuiti su due aree di studio:
– una zona industriale nel comune di Giugliano in Campania, storicamente al centro dello smaltimento illecito di rifiuti;
– il bosco che circonda il Palazzo Reale di Carditello, contesto rurale apparentemente immune da fonti dirette di inquinamento.
Come punto di controllo, è stata scelta un’area montuosa remota e non antropizzata, il Monte Faito. I muschi sono rimasti esposti per tre periodi differenti: 21, 42 e 63 giorni. Successivamente, sono stati analizzati per rilevare la presenza di 7 metalli e metalloidi tossici, tra cui arsenico, mercurio, piombo, cadmio e rame, per verificare eventuali danni cellulari e segni di stress ossidativo nei tessuti vegetali.
Nel sito di controllo, il bioaccumulo e lo stress ossidativo erano trascurabili e la struttura del muschio è rimasta invariata, mentre il muschio esposto vicino alla “Terra dei fuochi” ha accumulato elementi potenzialmente tossici (ETP) significativi. Dopo soli 21 giorni, i livelli di As, Cu e Hg hanno raggiunto rispettivamente 2,2 mg/kg, 17 mg/kg e 0,06 mg/kg, innescando stress ossidativo, una risposta antiossidante e un evidente danno strutturale.
È interessante notare che lo Scorpiurum circinatum ha mostrato effetti biologici negativi simili in entrambi i siti contaminati, nonostante le diverse condizioni ambientali, suggerendo che i fumi tossici provenienti dall’incenerimento illegale dei rifiuti si stanno diffondendo oltre le aree antropizzate.
“Anche dove pensavamo che l’ambiente fosse integro, il livello di contaminazione è comparabile a quello delle zone più compromesse – ha sottolineato la Prof.ssa Adriana Basile del Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e co-autrice dello studio – Non esiste più un luogo sicuro nella Terra dei Fuochi”.

Lo studio giunge a 3 mesi dalla sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per le carenze del nostro sistema di protezione ambiente e sulle inadeguate risposte governative per prevenire i rischi ambientali e sanitari nelle zone della cosiddetta “Terra dei Fuochi”, comprensive di 90 Comuni campani con una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti.
“Questo studio fornisce una conferma scientifica alla gravità dell’inquinamento che da anni la popolazione locale denuncia – ha sottolineato Iris Maria Forte, ricercatrice all’Istituto Nazionale Tumori IRCCS “Fondazione G. Pascale di Napoli e co-autrice dello studio – Serve un intervento immediato e sistemico”.
I risultati confermano l’efficacia del muschio come bioindicatore di inquinamento estremo da metalli pesanti, in grado di rilevare rapidamente l’impatto dei fumi tossici derivanti dalla combustione illegale di rifiuti. Inoltre, e soprattutto, questo studio fornisce un significativo contributo scientifico al biomonitoraggio ambientale poiché i risultati dimostrano che, più che il livello di antropizzazione, l’esposizione a fonti gravi di contaminanti causa un significativo bioaccumulo di sostanze potenzialmente tossiche.
“Questa ricerca conferma scientificamente ciò che denunciamo da anni: la Terra dei Fuochi è un disastro ambientale in corso con gravi ripercussioni sulla salute pubblica – ha concluso – conclude il Professore Antonio Giordano, docente di Anatomia e Istologia Patologica all’Università di Siena e Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia, da anni impegnato nella denuncia delle conseguenze sulla salute del disastro ambientale in Campania – È allarmante constatare che persino un’area considerata incontaminata sia in realtà inquinata e sottoposta a stress biologico. Non vi è più alcun dubbio che i fumi tossici degli incendi di rifiuti stanno permeando l’intero ambiente. Alla luce di questi risultati e della recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dobbiamo adottare un approccio One Health, riconoscendo che proteggere l’ambiente significa proteggere la salute umana. Sono necessarie azioni immediate e concrete per bonificare le aree inquinate e prevenire ulteriori scarichi e incendi illegali. La salute delle nostre comunità e il futuro del nostro ecosistema dipendono da un’azione rapida”.
Immagine di copertina: Scorpiurium circinatum, il muschio utilizzato come bioindicatore di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico. Fonte: Britisch Bryological Society -Foto di Claire Helpin