Uno nuovo Studio, condotto da scienziati del National Center for Atmospheric Research (NCAR), che hanno utilizzato un potente modello computerizzato, evidenzia che le città costiere di tutto il mondo affronterebbero la minaccia relativa all’aumento del livello del mare in modo meno pericoloso se fossero ridotte significativamente quanto prima le emissioni di gas serra. In particolare a trarne vantaggi notevoli sarebbero le città della costa atlantica degli Stati Uniti, tra cui la stessa New York, e quelle che si affacciano sull’Oceano Indiano.
L’innalzamento del livello del mare è una delle conseguenze maggiori dei cambiamenti climatici, minacciando di inondare le isole basse e le principali città costiere. Secondo uno Studio condotto da ricercatori dell’Università del Colorado Boulder, in collaborazione con la NOAA, la NASA, l’innalzamento del livello del mare sarebbe superiore a quanto calcolato da precedenti studi e starebbe accelerando un po’ di più ogni anno sotto l’incalzare dei cambiamenti climatici e dello scioglimento delle calotte polari.
Ora un nuovo studio condotto da ricercatori del National Center for Atmospheric Research (NCAR), gestito dall’UCAR (University Corporation for Atmospheric Research), e finanziato finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE)e dalla National Science Foundation, utilizzando un potente modello computerizzato hanno quantificato i benefici che le città metropolitane costiere del mondo trarrebbero se si attuasse quanto prima quel taglio delle emissioni di gas serra previsto dall’Accordo di Parigi per mantenere il riscaldamento globale entro i +1,5 °C-2 °C.
Tale ricerca richiama quella effettuata da altri scienziati statunitensi su cui ci siamo soffermati nei giorni scorsi (qui) per individuare quali città metropolitane del mondo trarrebbero i maggiori benefici in termini di morti premature evitate per la riduzione dell’inquinamento atmosferico con un taglio anticipato delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra correlati e il numero per ogni città delle vite che verrebbero salvate.
I risultati dello Studio dei ricercatori NCAR sono stati pubblicati il 14 marzo 2018 su Nature Communications con il titolo “Internal climate variability and projected future regional steric and dynamic sea level rise”.
“La mitigazione dei gas ad effetto serra ridurrà l’innalzamento del livello del mare entro la fine di questo secolo, con alcune regioni che vedranno benefici particolarmente significativi – ha affermato lo scienziato del NCAR Aixue Hu, l’autore principale dello studio – Dal momento che gli amministratori e i funzionari delle città si mobilitano per l’innalzamento del livello del mare, possono tenere conto dell’effetto combinato delle caratteristiche locali, dovuto a venti e correnti che determinano le variazioni delle acque degli oceani“.
Gli autori avvertono che lo studio presenta un quadro incompleto, perché non include il deflusso derivante dallo scioglimento delle calotte glaciali e dei ghiacciai, fattori che solo adesso gli scienziati stanno incorporando nei modelli computerizzati, mentre simula in modo attendibile l’influenza dei cambiamenti climatici sulle variazioni del livello del mare in tutto il mondo, rivelando quali linee costiere trarranno maggiori benefici dalle riduzioni delle emissioni correlate al calore assorbito dagli oceani calore addizionale assorbito dall’oceano.
Per studiare come i cambiamenti delle emissioni influenzerebbero l’innalzamento del livello del mare e le variazioni locali, i ricercatori hanno usato due serie di simulazioni computerizzate basate su 2 scenario:
-uno scenario BAU (business as usual), che prevede che le emissioni provenienti dall’attività umana continuino ad aumentare ai tassi attuali, portando le temperature globali entro la fine di questo secolo ad un aumento di circa 3 °C ;
– uno scenario di mitigazione, con i Paesi che si adoperano per ridurre rapidamente i gas serra, mantenendo il riscaldamento a +1,8 °C.
Gli scienziati hanno scoperto che la riduzione delle emissioni di gas serra non frenerebbe in modo significativo l’innalzamento del livello del mare per i prossimi due decenni. La causa risiederebbe nell’inerzia del sistema climatico (una volta che il calore entra negli oceani, viene mantenuto per un periodo di tempo). Inoltre, i venti e le correnti sono naturalmente variabili di anno in anno, spingendo l’acqua dell’oceano in diverse direzioni e rendendo difficile discernere l’impatto del riscaldamento su scala planetaria nell’arco di un decennio o due.
Al contempo, gli scienziati hanno constatato che in seguito, dal 2061 al 2080, la riduzione delle emissioni avrebbe un impatto significativo in quasi tutto il mondo. Le simulazioni hanno mostrato che l’innalzamento globale del livello medio del mare dovuto all’aumento della temperatura delle acque (ma non dal deflusso dello scioglimento delle calotte glaciali e dei ghiacciai) si ridurrebbe di circa il 25%, da circa 17,8cm nello scenario BAU, a 13,2cm nello scenario di moderata mitigazione.
Per alcune città, i benefici nello scenario con taglio delle emissioni sarebbero particolarmente significativi. New York City, dove ci si aspetta che il livello del mare entro questo secolo aumenti più che in qualsiasi altra parte del mondo, vedrebbe una differenza di circa 10cm. Tra le altre città che vedrebbero una riduzione superiore alla media ci sono Boston (9,3cm), Londra (8,3cm), Dar es Salaam (6,8cm), Miami (6,5cm) e Mumbai (5,8cm).
Altre città in Sud America (Buenos Aires), Asia (Bangkok e Jakarta), Australia (Melbourne) e sulla costa occidentale del Nord America (Vancouver e San Francisco) vedrebbero benefici inferiori alla media. Mentre, la riduzione dei gas serra non avrebbe alcun effetto statisticamente significativo sull’innalzamento del livello del mare lungo le coste occidentali dell’Australia e delle Filippine.
La ragione di queste differenze locali nell’innalzamento del livello del mare ha a che fare con l’influenza (o la sua mancanza) di un clima che agisca sulle principali correnti e sulle interazioni atmosfera-oceano in tutto il mondo.
Nell’Atlantico settentrionale, ad esempio, l’aumento delle temperature indebolirebbe la Corrente del Golfo che trasporta l’acqua più calda dalle regioni sub-tropicali all’Artico. La potente corrente preleva l’acqua al largo di gran parte della costa orientale degli Stati Uniti, e gli scienziati hanno avvertito che una corrente indebolita rimanderebbe quelle acque verso la costa e innalzato significativamente i livelli del mare. Se le azioni intraprese dalla comunità internazionale riducessero significativamente le emissioni, la Corrente del Golfo ne risentirebbe meno e, pertanto, l’innalzamento del livello del mare nel Nord Atlantico sarebbe meno consistente.
Al contrario, le correnti in alcuni altri bacini oceanici sembrano essere meno sensibili ai cambiamenti climatici. In gran parte del Pacifico, ad esempio, il livello del mare è meno influenzato dalla Pacific Decadal Oscillation-PDO (un’oscillazione pluridecennale delle temperature superficiali dell’oceano Pacifico settentrionale che influenza l’andamento dei venti). Sebbene i cambiamenti climatici influenzino i venti e causino l’innalzamento delle temperature della superficie dei mari nel Pacifico, non stanno intralciando l’andamento delle correnti quanto nell’Atlantico settentrionale. Di conseguenza, la mitigazione dei cambiamenti climatici che riduce il global warming non avrebbe un effetto significativo sul livello del mare nell’oceano Pacifico.
Lo studio ha anche rilevato maggiori variazioni nell’innalzamento futuro del livello del mare in diverse regioni, comprese alcune città in cui il livello del mare locale è influenzato dalla PDO e dal modello climatico atlantico noto come North Atlantic Oscillation-NAO caratterizzato da una fluttuazione ciclica della differenza di pressione al livello del mare tra l’Islanda e le isole Azzorre. Di conseguenza, il previsto innalzamento del livello del mare nel modello variava di più per Londra e Tokyo piuttosto che per New York.
“I pianificatori urbani di alcune località – ha sottolineato Susan Bates, anche lei ricercatrice del NCAR e co-autrice dello studio – saranno in grado di prendere decisioni basate su proiezioni più attendibili sul livello del mare, ma per altre città della costa sarà più difficile conoscere a quale altezza salirà il livello del mare”.
In copertina: La strada che collega alla terraferma l’Isola di Jean Charles (Louisiana) (Fonte: http://www.isledejeancharles.com/). Quando fu costruita nel 1953 serviva a collegare alla terraferma gli abitanti dell’isola, discendenti di tribù indigene Biloxi-Chitimacha-Choctaw che vi arrivarono nei primi anni del 1800 durante il trasferimento imposto dal Governo statunitense con l’Indian Removal Act, e di canadesi francofoni dell’Acadia (i cajun dal francese cadien), deportati in Louisiana a seguito dell’espulsione avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo, quando al termine della Guerra dei sette anni la Francia dovette cedere i territori coloniali posseduti nel Nord America. Nel 1955 misurava l’isola misurava 22.400 acri, ora ne rimangono solo 320. L’erosione e l’innalzamento del livello del mare la sta completamente sommergendo e l’unica strada che la collega al continente è così compromessa che basta un forte vento da sud, in combinazione con un’alta marea, che diviene inagibile. Il Governo federale ha stanziato 48 milioni di dollari per l’evacuazione dei suoi abitanti (poco più di 400 persone) e il loro trasferimento altrove. Ora sull’isola sono rimasti meno di 100 individui, per lo più anziani, che resistono tenacemente perché vorrebbero morire lì dove sono vissuti. Sono divenuti i primi rifugiati climatici degli USA, ma, secondo uno studio pubblicato negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, entro la fine del secolo potrebbero arrivare a 13 milioni.