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Just Transition: opportunità e ostacoli alla sua attuazione

Il Policy Brief di Climate Strategies, che fa seguito ad un evento svoltosi alla COP24, fornisce le considerazioni operative per implementare la Just Transition (Giusta Transizione), preambolo dell’Accordo di Parigi. La Sardegna, al pari della Slesia polacca, case-history e test per Governi e Imprese?

Just Transition è destinata a diventare il punto nodale del dibattito politico globale in corso per il passaggio verso un’economia decarbonizzata per conseguire sia gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 che quelli climatici dell’Accordo di Parigi, ma, come abbiamo osservato in altra occasione deve essere percepita come necessaria ed equa, con misure di sicurezza sociale per coloro che ne subiscono gli impatti negativi, se si vuole evitare resistenze e contrapposizioni.

Climate Strategies, una ONG che ha per obiettivo il miglioramento delle politiche nei campi dei cambiamenti climatici, dell’energia e dello sviluppo sostenibile, per colmare il divario tra le evidenze dimostrate dagli scienziati e le misure inadeguate dei decisori politici, ha ora rilasciato il Policy Brief Implementing Just Transition After COP24”, curato da Kirsten Jenkins della School of Environment and Technology (SET) presso l’Università di Brighton (GB), e sostenuto finanziariamente dall’European Climate Foundation (ECF), una Fondazione che riunisce una serie di fondazioni con l’obiettivo di aiutare l’Europa a promuovere lo sviluppo di una società a basse emissioni di carbonio e a volgere un ruolo di leadership internazionale per mitigare i cambiamenti climatici.

Il documento è indirizzato principalmente alle Parti che attuano l’Accordo di Parigi, allo scopo di rafforzare i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) ovvero gli obiettivi che i vari Paesi dell’UNFCCC si sono dati, in maniera autonoma e volontaria, per contribuire a mantenere la crescita della temperatura globale alla fine del secolo entro i 2 °C e di fare ogni sforzo possibile per tentare di mantenere il global warming entro i +1,5 °C.

Alla COP24 di Katowice (2-15 dicembre 2018), Climate Strategies, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e la Presidenza polacca della COP24, aveva organizzato l’evento “Just Transition for All”,  incentrato appunto sul tema, a cui avevano preso parte ricercatori e professionisti, nonché stakeholder di imprese, sindacati , organizzazioni ambientaliste e negoziatori dell’UNFCCC.

L’evento ha costituito la premessa all’adozione da parte dei Capi di Stato di 53 Paesi, tra cui UE, Germania, Francia, Italia, della “Dichiarazione di Slesia per la solidarietà e la giusta transizione, in cui si sottolinea  che “affrontare i cambiamenti climatici richiede un cambio di paradigma verso la creazione di economie a basse emissioni di gas serra e società resilienti per tutti, offre opportunità sostanziali e assicura una crescita elevata e uno sviluppo sostenibile, garantendo al tempo stesso una transizione della forza lavoro che crei lavoro dignitoso e di qualità”.

Il briefing di Climate Strategies, fornisce sia le prove che le considerazioni operative su come usare il concetto di Just Transition per conseguire lo scopo.

Di seguito si segnalano alcuni messaggi chiave.
– Le transizioni devono essere sia veloci che giuste se si vuole ottenere la necessaria approvazione sociale per raggiungere gli obiettivi sanciti nell’Accordo di Parigi.
– La Dichiarazione della Slesia rappresenta una pietra miliare significativa, inviando un messaggio fondamentale che i lavoratori non saranno sacrificati nel tentativo di ridurre le emissioni e arrestare i cambiamenti climatici, e che l’economia a basse emissioni di carbonio sarà equa e inclusiva.
– La discussione sulla Just Transition deve essere considerata come parte di una serie di misure che affrontino le conseguenze positive e negative (comprese quelle transfrontaliere) delle azioni di mitigazione e adattamento (comprese le preoccupazioni transfrontaliere).
– Poiché tutti i Paesi hanno situazioni diverse e quindi sfide diverse, la Just Transition richiede un’azione multi-scalare su misura con un quadro comune di riferimento, costituito da una serie di messaggi politici generali.
– L’adozione della Just Transition deve essere correlata ai Contributi a livello nazionale (NDC) e alle strategie a lungo termine.
– Per avere un impatto, gli interventi per la Giusta Transizione devono essere partecipativi e conseguiti attraverso il dialogo sociale. La condivisione delle conoscenze è fondamentale e i responsabili delle decisioni dovrebbero imparare da altri Paesi, settori ed altre storiche transizioni.
– È necessario fornire prove empiriche, modelli economici e ulteriori ricerche sui relativi impatti della Giusta Transizione per informare i Governi e i negoziatori dell’UNFCCC sullo sviluppo di strategie appropriate e di misure e politiche sui cambiamenti climatici.

Il Documento enfatizza la necessità di una pianificazione preventiva dei Governi per cogliere i co-benefici che derivano da lavoratori che si riversano in industrie a basse emissioni di carbonio, così come dai risparmi sui costi associati alla progettazione di meccanismi politici più efficienti.

Il recente Rapporto di Eurofound conferma che l’implementazione di misure ed investimenti in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi avrebbe un impatto economico positivo al 2030 per l’Unione europea nel suo complesso, sia in termini di PIL (+1,1%) sia per i posti di lavoro (+0,5%), pur con risultati diversi a livello di singoli Paesi membri, con l’unica eccezione della Polonia.

Nel passaggio dell’economia globale verso le emissioni più basse e un futuro più sicuro, i lavoratori delle industrie ad alto contenuto di carbonio diventano maggiormente a rischio di sottoccupazione e soprannumero, per cui bisogna muoversi per tempo alla formazione dei lavoratori in esubero e garantire loro i mezzi di sostentamento, anche al fine di mantenere la coesione sociale del Paese ed avere il sostegno politico per una rapida decarbonizzazione.

Climate Strategies sottolinea anche che devono essere fatte ulteriori ricerche per valutare come la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio possa colpire anche le industrie al di fuori del settore energetico del carbone.

Per noi italiani la Sardegna può costituire un caso emblematico al riguardo.
Il Governo aveva trasmesso alla Commissione UE all’inizio dell’anno il Piano nazionale “Clima ed Energia al 2030”, come previsto dal Regolamento 2016/0375/UE sulla Governance dell’Unione dell’Energia che prevede il passaggio graduale dall’energia sporca alle fonti rinnovabili, con l’annunciato spegnimento delle centrali a carbone al massimo entro il 2025.

Nei giorni scorsi, però, la Regione Sardegna ha impugnato di fronte al TAR regionale il conseguente Decreto del Direttore Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del MATTM che dà attuazione allo “scenario phase-out” del carbone dal sistema energetico nazionale, sostenendo che tale provvedimento produrrebbe effetti negativi per la sicurezza del sistema energetico regionale e per l’economia sarda nel suo complesso, in assenza di ipotesi di investimenti e interventi infrastrutturali alternativi, anche se le preoccupazioni maggiori, seppur sottaciute, sono per le contrazioni di posti di lavoro senza che vi siano delle alternative.

Subito dopo si è aperta la vertenza dei pastori sardi e la loro eclatante protesta  con lo sversamento sulle strade del latte, per far conoscere all’opinione pubblica che l’industria casearia lo paga al di sotto dei costi di produzione.
Anche se la vertenza si concludesse positivamente, e ce lo auguriamo, con il raggiungimento di un’intesa a 1 euro al litro come chiedono i pastori o con la possibilità di accedere ai fondi europei per la promozione del pecorino ovvero con il ritiro delle forme di pecorino invendute, tuttavia sarebbero questi solo provvedimenti tampone, perché i consumatori stanno cambiando le abitudini alimentari, diminuendo carne e prodotti lattiero-caseari, di pari passo con l’aumentata consapevolezza dell’impatto ambientale delle attuali diete, soprattutto di quelle dei Paesi ricchi.

Lo scorso mese la Commissione EAT-Lancet composta da 37 scienziati e ricercatori di fama internazionale, ha pubblicato un Rapporto in cui per la prima volta vengono proposti obiettivi scientifici per quel che riguarda una dieta sana in un sistema alimentare sostenibile, (Dieta della salute planetaria), che fa bene alla salute umana e a quella del Pianeta, indicando, tra l’altro, di ridurre drasticamente il consumo di carni bovine, suine e ovine e di consumare limitati quantitativi di prodotti lattiero-caseari.

La Sardegna, al pari della Slesia polacca, potrebbe costituire un case-history sulla capacità di Governi e Imprese di fornire ad aree e settori che sono coinvolti negativamente nella transizione ad un’economia a basse emissioni di carbonio, strumenti e misure di sostegno, quali pensioni anticipate, integrazioni al reddito, opportunità di riqualificazione. In caso di mancata e tempestiva predisposizione di piani e programmi di medio-lunga durata, come ricorda Climate Strategies, si rischia una reazione contro le politiche climatiche e le tecnologie pulite, e a quel punto, non avendo attuato una Just Transition for All, saranno le prossime generazioni a pagare il salato conto.

 

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