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In Italia, nel 2016, nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni il 26% è NEET

NEET e giustizia intergenerazionale

Secondo l’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dei 35 Paesi membri che sono i Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico e un’economia di mercato, che ha appena pubblicato il Rapporto “Education at a Glance 2017: OECD Indicators“, un’autorevole fonte d’informazioni sullo stato dell’istruzione nel mondo, con dati sulla struttura, il finanziamento e le prestazioni dei sistemi di istruzione sia nei Paesi dell’OCSE che in alcuni altri Paesi più ricchi, in Italia nel 2016 nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni il 26% è NEET (Not [engaged] in Education, Employment, Education or Training) ovvero si trova in quella fascia di popolazione che non lavora, non studia e non sta seguendo alcun corso di istruzione o formazione: la media dei Paesi OCSE è del 14% e peggio d’Italia c’è solo la Turchia. Il picco si registra soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia, dove la percentuale di NEET raggiunge rispettivamente quota 35%, 38% e ancora 38%, mentre è del 31% in Sardegna e Puglia. Le aree con meno NEET sono Bolzano (10%), Veneto, Emilia Romagna e Trento (16). Tra il 2005 e il 2016, la percentuale di NEET in Italia è aumentata più che negli altri Paesi OCSE. Se ciò è in parte dovuto al rallentamento delle attività economiche legato alla crisi, che ha determinato un calo del tasso di occupazione, si osserva che in altri Paesi come Grecia e Spagna dove il tasso di occupazione è diminuito in maniera simile o maggiore, l’aumento dei NEET è stato più contenuto, per il reinserimento nell’istruzione dei giovani disoccupati. Il fatto che molti giovani senza attività lavorativa non abbiano scelto di continuare gli studi suggerisce come gli stessi non siano attratti dal sistema dell’istruzione terziaria e dei corsi di formazione. Peraltro, osserva l’OCSE, l’Italia è maglia nera per la spesa complessiva nell’istruzione nel 2014, avendo riservato soli il 7,1% della spesa delle amministrazioni pubbliche al ciclo compreso tra la scuola primaria e l’università. Un calo del 9% rispetto al 2010, che è “indice di un cambiamento nelle priorità delle autorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative“.

Ovviamente, anche a livello europeo, l’Italia presenta la percentuale più alta di NEET, come si può rilevare dai dati e tabelle dell’ultimo Annuario “Employment and social developments in Europe” (ESDE) che la Commissione UE ha pubblicato il 17 luglio 2017. L’ESDE è il principale Rapporto di analisi sulle tendenze occupazionali e sociali dell’Unione, che quest’anno si è concentrato in particolare sull’equità intergenerazionale.

Dall’indagine UE è emerso, infatti, che malgrado il tasso di disoccupazione nell’UE non sia mai stato così basso dal 2008, i giovani non stanno beneficiando di questa evoluzione positiva quanto le generazioni precedenti, gravati da oneri pesanti:
– tendono ad avere maggiori difficoltà nel trovare un lavoro;
– hanno sempre più spesso forme di lavoro atipiche e precarie, inclusi i contratti temporanei;
– hanno salari più bassi e riceveranno pensioni più basse.

In questo quadro, i giovani italiani NEET di età compresa tra 15 e 24 anni (la fascia presa in esame è un po’ diversa da quella OCSE) erano il 19,9%, la percentuale più alta tra i Paesi membri per il quarto anno consecutivo. Al secondo posto, si è classificata la Bulgaria con il 18,2%, seguita dalla Romania con il 17,4%.
Dall’altra parte della classifica ci sono i più fortunati ragazzi del Lussemburgo dove i NEET sono solo il 5,4%, seguiti dai danesi (5,8%) e dagli svedesi (6,5%).
Rispetto al 2015, la classifica è rimasta immutata, anche se le percentuali si sono abbassate , con quella dell’Italia che era al 21,4%, della Bulgaria al 19,3% e Romania al 18,1%, alla pari con la Croazia, quando la media dell’UE-28 era del 12%.

Anche l’Istat nel suo Rapporto annuale 2017 ha preso in esame la condizione dei NEET italiani, guardando alla loro distribuzione dei per gruppi sociali. L’Istat rileva una maggiore incidenza sui gruppi più svantaggiati, mentre ad esempio nei gruppi a maggior reddito si evidenzia una maggiore incidenza dei giovani ancora in istruzione. Il 44,5% dei NEET appartiene ai due gruppi sociali delle famiglie a basso reddito (sia con stranieri sia di soli italiani). Solo il 18,1% proviene dai 3 gruppi sociali con redditi superiori alla media, che invece segnalano le maggiori presenze di giovani ancora in formazione, a conferma di come il proseguimento degli studi continui a essere socialmente condizionato.
Infine, l’Istat osserva che una quota preponderante dei NEET risulta interessata a entrare nel mondo del lavoro: nel 2016 il 43,4% era in cerca di occupazione e il 32,6% fa parte delle forze lavoro potenziali. Dunque, solo un NEET su quattro è un inattivo non disponibile, né interessato a lavorare.

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