Cambiamenti climatici Diritto e normativa

Giustizia climatica: l’ONU chiede all’ICJ di pronunciarsi

Sebbene il pronunciamento della Corte internazionale di Giustizia (ICJ), il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, non abbia valore vincolante, la richiesta di esprimersi sugli obblighi che incombono sugli Stati per proteggere il sistema climatico “per le generazioni presenti e future”, avanzata all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, servirà comunque ad “intraprendere un’azione climatica più forte e coraggiosa di cui il mondo ha tanto bisogno”.

L’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato all’unanimità il 29 marzo 2023 una Risoluzione con cui si chiede alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, di un parere consultivo che cerchi di stabilire le basi per “le conseguenze legali che gli Stati devono affrontare per gli atti e le omissioni che hanno causato danni significativi al sistema climatico e ad altri elementi dell’ambiente, danneggiando in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, che a causa delle loro circostanze geografiche e del loro livello di sviluppo, sono particolarmente colpite o sono più vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici”. 

La proposta di risoluzione è stata presentata dalla piccola nazione di Vanuatu, un arcipelago di isole del Pacifico tra l’Australia e Fiji, investito tra l’altro all’inizio di marzo dal ciclone tropicale Judy di categoria 4 con venti a quasi 200 km/h che ha spazzato via ogni cosa, provocando gravi danni in molti villaggi. Il Paese era già noto per essere al 1° posto nell’annuale World Risk Report per avere il 25% della sua popolazione (quasi 300.000 abitanti) a rischio per l’innalzamento del livello del mare, tanto da annunciare lo scorso dicembre piani per trasferire entro i prossimi due anni “dozzine di villaggi”.

Se e quando verrà data, tale opinione aiuterebbe l’Assemblea generale, le Nazioni Unite e gli Stati membri a intraprendere un’azione per il clima più audace e più forte di cui il nostro mondo ha così disperatamente bisogno – ha affermato il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres che ha ricordato come l’ultimo Rapporto della scienza del clima (IPCC) abbia indicato che è ancora possibile limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, ma il tempo sta per scadere – La crisi climatica può essere superata solo attraverso la cooperazione tra popoli, culture, nazioni, generazioni. Ma l’inasprimento dell’ingiustizia climatica alimenta le divisioni e minaccia di paralizzare l’azione climatica globale”.

Il riferimento è alla questione “Loss&Damage”, il meccanismo di finanziamento per risarcire per perdite e danni subiti i Paesi più minacciati per i cambiamenti climatici, senza esserne responsabili, distinto dal Fondo per il Clima, peraltro non ancora onorato del tutto dai Paesi ricchi, nonostante. Vanuatu era stato il primo Stato ad avere sollevato nel 1991 tale fondo a cui per molto tempo i Paesi ricchi e responsabili dei cambiamenti climatici si erano a lungo opposti fino all’ultima Conferenza ONU sul Clima di Sharm el-Sheikh (COP27) dove è stata decisa la creazione di un fondo per assistere le nazioni in via di sviluppo e altrimenti vulnerabili che sopportano in modo sproporzionato gli effetti del riscaldamento globale, anche se si deve decidere quanti soldi ci saranno nel fondo e chi vi dovrà contribuire.

La situazione di Vanuatu è simile a quella di altri piccoli Stati del Gruppo Asia-Pacifico (Vulnerable Twenty) all’interno Climate Vulnerable Forum, fondato nel 2009 e composto da 55 Paesi tra i più minacciati dai cambiamenti climatici, che alla vigilia della COP27 aveva presentato un Rapporto commissionato ad un gruppo di istituti e organismi di ricerca indipendenti che evidenziava come i cambiamenti climatici negli ultimi due decenni avessero già eliminato un quinto della ricchezza di questi Paesi, pari a 525 miliardi di dollari, chiedeva l’istituzione immediata di un finanziamento internazionale, separato dal Fondo per il Clima di 100 miliardi di dollari l’anno, concordato COP16 di Cancún (2010) ed ufficialmente istituito alla COP17 di Durban ma no ancora onorato del tutto dai Paesi industrializzati, dedicato ad azioni di adattamento a livello di crisi per danni e perdite

In occasione della COP26 di Glasgow, aveva fatto il giro del mondo il video del Ministro degli Esteri di Tuvalu, il quarto più piccolo Stato al mondo (poco più di 10.000 abitanti) e il 2° per altezza media sul livello del mare (4,5m) dopo le Maldive, che lanciava il suo appello con le ginocchia immerse nell’acqua del mare per denunciare i rischi a cui sta andando incontro il suo Stato polinesiano, come altri arcipelaghi abitati del Pacifico.

Mentre il Fondo “Loss&Damage” dovrebbe compensare ciò che è già andato perduto a causa dei cambiamenti climatici, e i danni funzionerebbe retroattivamente, la richiesta di un parere consultivo dell’ICJ è diretta a influenzare le politiche nazionali in futuro, nonché ad aprire nuove strade all’interno legge internazionale.

Vanuatu non sta cercando di mettere in atto nuove restrizioni, ma di chiarire gli obblighi esistenti per prevenire danni all’ambiente, come previsto nell’United Nations Convention on the Law of the Sea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani – ha affermato il Ministro per i cambiamenti climatici di Vanuatu, Ralph Regenvanu riferendosi alla storica risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che lo scorso luglio ha dichiarato l’accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile, un diritto umano universale Vorrei essere molto chiaro sul fatto che i procedimenti consultivi dell’ICJ che chiediamo in questa risoluzione non sono contenziosi e la nostra domanda non è diretta a nessuno Stato, non intende incolpare, svergognare o altrimenti chiedere un giudizio”.

Un nuovo modello globale messo a punto da ricercatori delle Università di Melbourne (Australia), di Twente (Paesi Bassi) e di Berlino per analizzare le inondazioni costiere estreme previste in oltre 9.000 località per gli anni 2050 e 2100, sulla base degli scenari previsti dall’IPCC, prevede devastanti impatti socio-economici per effetto delle

Sebbene di natura non vincolante, l’opinione dell’ ICJ, “potrebbe essere un importante catalizzatore per l’azione climatica urgente, ambiziosa ed equa necessaria per fermare il riscaldamento globale e per limitare e rimediare ai danni ai diritti umani indotti dal clima – ha dichiarato l’Alto commissario ONU per i diritti umani, Volker TürkGli Stati hanno l’obbligo di mitigare e adattarsi e di affrontare le perdite e i danni derivanti dai cambiamenti climatici. Non vediamo l’ora di condividere questa esperienza in questo processo altamente significativo davanti alla Corte Internazionale di Giustizia”.

In copertina: Il ministro degli Esteri di Tuvalu Simon Kofe lancia con le ginocchia immerse nell’acqua del mare l’appello alla COP26 per denunciare i rischi a cui sta andando incontro il suo Stato, come altri arcipelaghi abitati del Pacifico, per l’innalzamento del livello del mare, indotto dai cambiamenti climatici.

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