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Big della finanza: continuano ad investire nei combustibili fossili

Secondo un Rapporto di Greenpeace presentato a Davos, i big della finanza presenti al WEF con i propri CEO sono esposti finanziariamente con le major dei combustibili fossili, principali colpevoli della crisi climatica, per un valore di 1.400 miliardi di dollari.

In occasione del World Economic Forum (Davos, 21-24 gennaio 2020), Greenpeace International ha pubblicato il Rapporto dal titolo dal titolo “It’s the finance sector, stupid” che, prendendo come riferimento il periodo che va dalla firma dell’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni (2015) al 2018, emerge che le 24 banche presenti a Davos hanno finanziato l’industria dei combustibili fossili per un valore di circa 1.400 miliardi di dollari, che equivale al patrimonio complessivo dei 3,8 miliardi di persone più povere del Pianeta nel 2018.

Non abbiamo più tempo da perdere con chiacchiere e falsi annunci – ha affermato Jennifer Morgan, Direttore esecutivo di Greenpeace International – I decisori politici e le autorità che regolano il settore devono mettersi all’opera prima che sia troppo tardi. Gli attori della finanza mondiale devono cambiare atteggiamento e smettere di comportarsi come se tutto andasse bene, perché non è così. Siamo in emergenza climatica e non ci sarà economia su un Pianeta morto”.

I dati sugli investimenti fossili, raccolti da BankTrack (organizzazione che monitora il settore finanziario), mostrano che JP Morgan, la banca d’investimento di Wall Street, ha fornito dal 2015 a oggi circa 195 miliardi di dollari a società di combustibili fossili. Inoltre, dieci delle principali banche al mondo hanno fornito al settore fossile circa 1 miliardo di miliardi di dollari di aiuti finanziari. Oltre a quello di JP Morgan, si trovano i nomi di Citi, Bank of America, RBC Royal Bank, Barclays, MUFG, TD Bank, Scotiabank, Mizuho e Morgan Stanley. Ma la maggiore preoccupazione di Greenpeace riguarda i fondi pensione, tre dei quali detengono investimenti fossili per almeno 26 miliardi di dollari. Si tratta del piano pensionistico degli insegnanti dell’Ontario, del comitato per gli investimenti del piano pensionistico del Canada,e del PensionDenmark.

Tutto questo avviene, sottolinea l’associazione ambientalista, mentre alcune società finanziarie pubblicamente affermano di star facendo fronte alla crisi climatica (soprattutto dopo aver visto crescere le preoccupazioni dell’opinione pubblica), citando iniziative come i green bond e le linee guida ONU sugli investimenti responsabili. Ad esempio, BlackRock, la più grossa società di investimento al mondo, ha annunciato la scorsa settimana che avrebbe posto la sostenibilità al centro del suo modello di investimento attivo. Tuttavia, il braccio di investimento passivo continuerà ad investire in aziende di combustibili fossili.

Se un settore non è assicurabile, non è neppure finanziabile”, afferma Greenpeace. Continuare a finanziare l’espansione dei combustibili fossili equivale oggi ad alimentare una crisi che, anche se genera profitti a breve termine, causerà inevitabilmente una catastrofe economica insieme all’emergenza climatica.

Le banche, gli assicuratori e i fondi pensione qui a Davos sono colpevoli dell’emergenza climatica, ha aggiunto la Morgan – e nonostante gli avvertimenti, stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale sostenendo l’industria dei combustibili fossili. Questi uomini presenti a Davos sono a dir poco ipocriti in quanto affermano di voler salvare il pianeta ma lo stanno di fatto uccidendo per un profitto a breve termine”.

C’è da osservare, peraltro, che il cosiddetto ritorno sugli investimenti (EROI)per i combustibili fossili, rispetto a quello per le rinnovabili è molto più equilibrata di quanto non lo fosse qualche tempo fa.

Uno Studio condotto da scienziati del Sustainability Research Institute dell’Università di Leeds (GB) nell’ambito del Programma del Centro di ricerca energetica del Regno Unito e pubblicato su Nature Energy la scorsa estate, calcolando l’EROI per i combustibili fossili per un periodo di 16 anni, ha scoperto che allo stadio di prodotto finito si arriverebbe a rapporti assai vicini a quelli delle fonti rinnovabili circa 6:1 e, potenzialmente, nel caso dell’elettricità, a 3:1.

Per cui gli investitori sono in grado di affrontare un blocco patrimoniale determinato dalla caduta della domanda di combustibili fossili per effetto della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio o il sovrainvestimento contribuirà all’eccesso di emissioni da combustibili fossili, alla mancata transizione e ai costi finanziari di un clima drammaticamente cambiato.

Un altro Studio, in questo caso di ricercatori italiani e pubblicato il 29 ottobre 2019 su Nature Climate Change, ha evidenzito per la prima volta come i rischi finanziari connessi ai danni per i disastri dei cambiamenti climatici minino la stabilità anche di un settore apparentemente meno esposto, valutando i costi che la finanza pubblica dovrebbe sostenere per difendersi da questa instabilità.

Allora perché continuare a tenere in piedi un modello economico che sta portando l’umanità a “punti di non ritorno” e creato così forti disuguaglianze che continuano ad aumentare e vengono viste come driver dei rischi globali dal Rapporto delWorld Economic Forum (WEF)?

Klaus Schwab, il fondatore del WEF,  che alla vigilia Forum ha invitato i partecipanti di quest’anno a rendere le loro imprese e istituzioni a zero emissioni di carbonio entro il 2050 al più tardi, in un articolo, pubblicato il 2 dicembre 2019 su Project Syndate, parlando della necessità di un “capitalismo delle parti interessate” in alternativa dell’attuale “capitalismo degli azionisti”, scriveva che “Insieme alle pressioni del settore finanziario per aumentare i risultati a breve termine, l’attenzione concentrata sui profitti ha fatto sì che il capitalismo degli azionisti fosse sempre più disconnesso dall’economia reale. Molti si rendono conto che questa forma di capitalismo non è più sostenibile. La domanda è: perché gli atteggiamenti hanno iniziato a cambiare solo ora? Una probabile ragione è l’effetto ‘Greta Thunberg’. La giovane attivista climatica ci ha ricordato che l’adesione all’attuale sistema economico rappresenta un tradimento delle generazioni future, a causa della sua insostenibilità ambientale […] I leader aziendali hanno ora un’incredibile opportunità. Dando un significato concreto al capitalismo delle parti interessate, possono andare oltre i propri obblighi legali e mantenere il proprio dovere nei confronti della società. Possono avvicinare il mondo al raggiungimento di obiettivi condivisi, come quelli indicati nell’accordo sul clima di Parigi e nell’agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Se vogliono davvero lasciare il segno nel mondo, non c’è alternativa”.

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