Tra i numerosi Rapporti pubblicati in occasione del Vertice sul Clima dell’ONU, quello della Federazione Internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (IFRC) segnala che in una situazione di business-as-usual i costi umanitari per fronteggiare la crisi climatica potrebbero arrivare a 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2030.
In occasione del Summit sul Clima (New York, 23 settembre 2019) indetto dal Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres, la Federazione Internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (IFRC) ha pubblicato il Rapporto “The Cost of Doing Nothing” (I costi del non far nulla) che sottolinea come il numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria ogni anno a causa di catastrofi climatiche potrebbe raddoppiare entro il 2050.
Il Rapporto, infatti, stima che a causa di tempeste, siccità e inondazioni il totale delle persone colpite potrebbe superare i 200 milioni all’anno, rispetto ai 108 milioni di oggi. Una tale situazione, vi si legge, comporterebbe un enorme impegno finanziario, con costi umanitari legati al clima che saliranno a 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, nello scenario più pessimistico.
Si sottolinea, inoltre, che questi dati, pur drammatici, potrebbero risultare sottostimati in quanto non tiene conto di come i cambiamenti climatici possano influire sui “fattori trainanti dei conflitti o sui potenziali impatti e costi futuri di epidemie o ondate di calore“.

“Questi risultati confermano l’impatto che i cambiamenti climatici stanno avendo e continueranno ad avere su alcune delle persone più vulnerabili del mondo – ha affermato il Presidente della più grande rete umanitaria del mondo,Francesco Rocca in occasione della presentazione del Rapporto – Dimostra anche la tensione che l’aumento delle catastrofi legate al clima potrebbe causare alle agenzie di aiuto e ai donatori. Il rapporto mostra i costi chiari e spaventosi di non fare nulla. Ma mostra anche che c’è la possibilità di fare qualcosa. Ma ora è il momento di agire con urgenza. Investendo nell’adattamento climatico e nella riduzione del rischio di catastrofi, anche attraverso gli sforzi per migliorare l’allerta tempestiva e l’azione umanitaria preventiva, il mondo può evitare un futuro segnato dall’aumento della sofferenza e dall’aumento dei costi di risposta umanitaria”.
Il Rapporto, che si basa [ndr: qui per la metodologia usata] sul lavoro e sulla metodologia del Rapporto Shock Waves della Banca Mondiale, e attinge ai dati delle Nazioni Unite, al database internazionale dei disastri (EM-DAT) e alle statistiche sui disastri dell’IFRC, e tiene conto dei tassi di crescita globale, della disuguaglianza, della demografia e del clima evidenzia che siamo di fronte a una scelta netta: attraverso azioni che privilegiano lo sviluppo inclusivo e rispettoso del clima, il numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria internazionale potrebbe ridursi a 68 milioni entro il 2030 e, addirittura a 10 milioni, entro il 2050, con una diminuzione del 90% rispetto ad oggi.
“In questo rapporto, presentiamo alcune delle potenziali conseguenze nel caso in cui la comunità globale non riesca a rafforzare l’ambizione di affrontare i crescenti rischi in un clima che cambia – ha sottolineato Julie Arrighi, Consulente del Centro per il clima dell’IFRC e tra i principali autori del Rapporto – Mostra anche alcuni dei potenziali risultati positivi se effettivamente la comunità globale agisce ora per costruire resilienza, adattarsi e affrontare l’attuale crisi climatica. Speriamo che questo rapporto aiuti a dare slancio durante il prossimo Vertice sull’azione per il clima e oltre per aumentare gli investimenti in uno sviluppo inclusivo e rispettoso del clima, comprese le emissioni ridotte, ma soprattutto i rinnovati sforzi per adattarsi ai crescenti rischi“.
Come sappiamo, però, i risultati del Vertice non sono stati pari alle aspettative e, soprattutto, alle indicazioni degli scienziati su quel che bisogna fare per fronteggiare la crisi climatica e umanitaria incombente.
In copertina: Le piogge monsoniche che hanno flagellato nel luglio 2019 la la regione meridionale dell’Asia hanno reso ancora più drammatica la situazione dei Rohingya nei campi profughi allestiti in Bangladesh.