Una ricerca pubblico-privata sull’entità di una carbon tax per contrastare i cambiamenti climatici, basata su un modello di macro-finanza indica che, contrariamente a quanto previsto dalle attuali analisi economiche, è meglio introdurre prezzi alti all’inizio per poi diminuirli a mano a mano che si riduce l’incertezza e le tecnologie per la mitigazione saranno meno onerose.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi per contrastare la crisi climatica, la tassazione sulle emissioni di carbonio regolata in modo preciso in base a fattori ambientali, economici e sociali, dovrebbe essere ben più elevata di quella attualmente prevista.
È questa l’indicazione che emerge da uno Studio condotto da ricercatori della Columbia Business School dell’Università di New York , del Center for Environment dell’Università di Harvard e della società di investimenti newjorkese Kepos Capital, pubblicato dalla prestigiosa rivista Proceedings of the National Accademies of Sciences (PNAS), volto ad individuare un sistema di calcolo del valore della tassazione sulle emissioni di CO2 (carbon tax) che tenga conto dei costi che ricadono sugli individui in termini di danni al sistema agro-alimentare, alle infrastrutture vulnerabili quali quelle costiere e i rischi correlati sulla salute umana.
Gli economisti concordano ormai ampiamente sul fatto che uno dei metodi più efficaci per affrontare i cambiamenti climatici è l’introduzione di una tassazione sull’inquinamento della CO2 per spingere aziende e consumatori a passare a pratiche e prodotti più rispettosi dell’ambiente.
Mentre finora i modelli più diffusi hanno previsto un aumento graduale della carbon tax, quello dai ricercatori denominato “EZ Climate” perché si basa sul modello econometrico dei rischi finanziari di Epstein-Zin, che sfrutta ipotesi probabilistiche sui rendimenti negativi, utilizzato nello studio per calibrare i percorsi dei prezzi del biossido di carbonio, partendo dal presupposto che le conseguenze economiche, inevitabili, dell’impatto climatico non sono attualmente quantificabili in modo certo, prevede un prezzo aggressivamente elevato all’inizio per poi diminuire a mano a mano che si riduce l’incertezza.
“Il modello che abbiamo sviluppato – ha spiegato il co-autore dello Studio Gernot Wagner, Professore associato al Dipartimento di Studi Ambientali dell’Università di New York, nonché autore di “Climate Shock. The Economic Consequences of a Hotter Planet” (2015) uno dei libri più recensiti e acclamati dai media statunitensi, che indica perché e come dovremmo affrontare l’impatto dei cambiamenti climatici e i danni economici che deriverebbero se non lo facessimo – evidenzia che, tenendo conto dell’incertezza correlata all’evoluzione climatica, c’è la necessità di stabilire prezzi alti subito, per vederli decrescere in seguito in coerenza con la diminuzione dell’incertezza, mentre l’evoluzione tecnologica renderà economicamente più vantaggiose le azioni di mitigazione climatica. I costi del ritardo sarebbero davvero enormi”.
I ricercatori hanno considerato la CO2 come un bene che produce rendimenti negativi, anziché aumentare di valore nel tempo, e la decarbonizzazione come una copertura assicurativa contro i disastri. Lo Studio non fornisce una risposta su quale dovrebbe essere il prezzo iniziale della carbon tax, dipendendo dagli scenari utilizzati per calibrare il modello. Ma potrebbe arrivare a 200 dollari per tonnellata, molto più alto della maggior parte delle politiche in atto o in esame in tutto il mondo oggi.
E sarebbe pur sempre inferiore a quanto ipotizzato nel Rapporto speciale (AR15) dell’ottobre dello scorso anno del Gruppo Intergovernativo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (IPCC) sugli scenari per poter limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C entro la fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali, secondo quanto prevede l’Accordo di Parigi. Vi si stima che per rimanere entro tale limite la carbon tax dovrebbe andare da 135 a 5.500 dollari per tonnellata entro il 2030, e da 690 a 27.000 dollari entro il 2100.
I ricercatori hanno calcolato che rimandare una tassa sul carbonio di appena un anno determinerebbe ulteriori impatti dei cambiamenti climatici del costo di 1.000 miliardi di dollari, aumentando nel tempo a 24.000 miliardi dopo 5 anni e arrivando a 100.000 miliardi dopo 10 anni di ritardo.
“Per me, il risultato più sorprendente di questa ricerca è stata la velocità con cui si vede aumentare il prezzo da pagare a seconda del ritardo con cui si agisce – ha sottolineato a sua volta Robert Litterman fondatore della Società di investimenti Kepos Capital dopo essere stato a capo della Divisione gestione del rischio alla Goldman Sachs, un altro co-autore dello Studio di cui Kent Daniel, Professore di Economia e Finanza alla Columbia Business School, è l’autore principale – Quando abbiamo cercato di stabilire una politica dei prezzi per le emissioni di CO2 abbiamo provato ad adottare diverse date di partenza, accorgendoci subito che l’impatto degli effetti di mitigazione sono strettamente legati al momento in cui si inizia realmente ad attribuire un prezzo alle emissioni”.
Ricordiamo che il MATTM ha avviato una Consultazione pubblica aperta fino a 4 novembre 2019 sulla Strategia per decarbonizzare l’economia per dare a tutti la possibilità di formulare osservazioni e proposte attraverso la compilazione di un modulo.