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Conferenza UNFCCC di Bonn: nessun progresso su “Perdite e Danni”

Nonostante le conclusioni ottimistiche della Segretaria UNFCCC uscente, la Conferenza di Bonn che doveva affrontare anche il tema spinoso del sostegno finanziario per le azioni di adattamento, in particolare del nuovo meccanismo per aiutare i paesi vulnerabili a far fronte alle perdite e ai danni legati al clima deciso alla COP26 di Glasgow, non ha fatto progressi per le scarse indicazioni fornite in merito dai Paesi industrializzati.

Si è conclusa il 16 giugno 2022 dopo 2 settimane di colloqui la Conferenza di Bonn sui cambiamenti climatici, il primo incontro delle Parti dell’UNFCCC, dopo l’adozione alla COP26 di Glasgow dello scorso anno del Patto sul Clima, per preparare le decisioni per la COP27 in Egitto (Sharm-el-Sheikh, 7-18 novembre 2022).

All’ordine del giorno una serie di argomenti importanti, tra cui la necessità di un’azione climatica  più ambiziosa, tagli più profondi alle emissioni di gas serra, una maggiore resilienza adattarsi agli effetti del cambiamento climatico e sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo.  

Anche se resta ancora molto lavoro, le Parti hanno compiuto progressi in diverse aree tecniche qui a Bonn – ha affermato la Segretaria esecutiva dell’UNFCCC, Patricia Espinosa il cui mandato scadrà dopo 6 anni il mese prossimo – Tali passaggi sono una parte fondamentale dei negoziati e sono importanti per raggiungere gli obiettivi generali. Il mondo si sta predisponendo ad un generale spostamento verso l’attuazione dell’accordo di Parigi. Le principali decisioni politiche, in particolare sul finanziamento di perdite e danni, devono essere prese alla COP27. Ora dobbiamo garantire che Sharm el-Sheikh sia davvero il luogo in cui le importanti promesse dell’accordo di Parigi si trasformeranno in realtà. Sebbene la comunità internazionale abbia compiuto progressi in diverse aree, sappiamo anche che non è ancora all’altezza di diversi impegni in altre questioni: la mancata mobilitazione di 100 miliardi di dollari entro il 2020 è solo un esempio. E sappiamo anche che l’azione per il clima deve ancora riflettere il profondo cambiamento di trasformazione necessario in tutti i settori per costruire un futuro più sostenibile e resiliente“.

In particolare, la Conferenza ha completato il primo dialogo tecnico del Global Stocktake, il processo “per fare il punto sull’attuazione dell’accordo di Parigi, con l’obiettivo di valutare i progressi collettivi globali verso il raggiungimento dello scopo dell’accordo e dei suoi obiettivi a lungo termine” (art. 14), anche al fine di rafforzare continuamente i Piani climatici nazionali dei Paesi, noti come contributi determinati a livello nazionale (NDC).

L”ultimo Rapporto di Sintesi dei NDC, presentati prima della COP26 dello scorso anno aveva confermato che il mondo è ancora lontano dalla traiettoria di stabilizzazione della temperatura globale a 1,5 °C, dal momento che nell’insieme si tradurrebbero in un aumento considerevole delle emissioni globali di gas serra nel 2030, rispetto al 2010 ci circa il 16%.

Inoltre, gli ultimi Rapporti del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) mostrano che un tale aumento, se non modificato rapidamente, può portare a un aumento della temperatura di circa 2,7 °C entro la fine del secolo.

 Il Global Stocktake e le altre discussioni alla Conferenza sul clima di Bonn hanno dimostrato le molte lacune esistenti nell’azione per il clima, ma anche le opportunità – ha affermato Marianne Karlsen, Presidente dell’organismo sussidiario per l’attuazione (SBI) – Sono rincuorata dal fatto che i governi e numerose parti interessate abbiano presentato soluzioni, opportunità, innovazioni e migliori pratiche da tutto il mondo. E abbiamo constatato un impegno senza precedenti di organismi non appartenenti alle Parti che hanno un ruolo chiave da svolgere nell’aiutare i governi a raggiungere gli obiettivi climatici“.

Ma il problema più scottante è ancora il finanziamento promesso dai Paesi ricchi, non ancora concretizzatosi. Inoltre, nell’ambito del Patto per il clima di Glasgow, le nazioni più ricche avevano deciso di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento e di discutere proposte per un nuovo meccanismo per aiutare i paesi vulnerabili a far fronte alle perdite e ai danni  legati al clima (Glasgow Dialogue on Funding Arrangements for Loss and Damage), dopo la presentazione di uno Studio commissionato da Christian Aid che aveva messo in evidenza il devastante impatto economico dei cambiamenti climatici sui Paesi più vulnerabili del mondo, stimando che in uno scenario di aumento alla fine del secolo di 2,9 °C è atteso al 2050 un calo medio del PIL in questi Paesi del 19,6% e del 63,9% entro il 2100. Anche se si riuscisse a contenere l’’aumento della temperatura globale a 1,5 °C come stabilito nell’Accordo di Parigi, i Paesi vulnerabili dovrebbero affrontare una riduzione media del PIL del -13,1% entro il 2050 e del -33,1% entro il 2100. Ma non sono stati fatti progressi e poche indicazioni sono state date in merito dalle nazioni industrializzate che temono che questo possa essere considerato un’ammissione di responsabilità per avere causato i cambiamenti climatici, dando adito anche a richieste di risarcimento per tutte le future perdite correlate al clima.

Ma i Paesi in via di sviluppo sono rimasti uniti nella loro richiesta di una struttura per il finanziamento di perdite e danni e hanno ribadito che le discussioni in merito dovranno essere nell’agenda cella COP27 in Egitto.

C’è anche la situazione geopolitica che non aiuta a superare le diffidenze dei Paesi più vulnerabili nei confronti dei Paesi ricchi, temendo che i governi potrebbero aumentare la produzione nazionale di combustibili fossili in risposta all’impennata dei prezzi dell’energia, seguita dalla guerra in Ucraina.

Le persone e il pianeta non possono permettersi l’irresponsabilità e la mancanza di ambizione dell’UE alla quale abbiamo assistito nelle ultime settimane a Bonn – ha commentato in merito Chiara Martinelli, Direttrice di CAN Europe – L’UE sta perdendo completamente il senso di cosa significhi essere un leader climatico. L’UE dovrebbe smettere di bloccare i progressi in materia di perdite e danni e aumentare i finanziamenti per l’adattamento. I Paesi europei hanno anche urgente bisogno di aumentare massicciamente i propri obiettivi climatici ed energetici, piuttosto che sostituire petrolio e gas dalla Russia con quelli dei Paesi in via di sviluppo, bloccandoli ulteriormente nei combustibili fossili. Questo è ciò che dovrebbero fare i leader del clima”. 

Immagine di copertina: fonte CAN Europe

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