Il primo Rapporto UNESCO sui serbatoi di blue carbon nelle aree marine protette del Patrimonio Mondiale dell’Umanità indica che circa il 10% delle emissioni globali di gas serra nel 2018 è stato custodito da questi ecosistemi unici, svolgendo un ruolo centrale nell’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici, ma il loro degrado o il mancato ripristino potrebbe costituire una grave minaccia.
In occasione dell’avvio del Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile (2021-2030), proclamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite con l’obiettivo primario di sostenere i Paesi nel raggiungimento dell’Obiettivo 14 (Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile) dell’Agenda 2030, l’UNESCO, a cui è stato demandato il coordinamento delle attività attraverso la Commissione Oceanografica Intergovernativa (IOC), ha pubblicato il 25 febbraio 2021 la sua prima valutazione scientifica globale sul carbonio blu degli ecosistemi nei suoi siti marini Patrimonio dell’Umanità, che mette in evidenza il valore essenziale di questi habitat nella lotta ai cambiamenti climatici.
Il Rapporto “Custodians of the globe’s blue carbon assets”, verrà ufficialmente presentato il 2 marzo 2021 nel corso di una Conferenza stampa in cui l’autore principale, il Professor Carlos Duarte della King Abdullah University of Science and Technology (Arabia Saudita) e la Dott.ssa Fanny Douvere, membro del Programma marino Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, riveleranno che nel 2018 lo stoccaggio di carbonio del patrimonio marino mondiale è stato equivalente al 10% delle emissioni annuali di gas serra del Pianeta, consentendo di immagazzinare in sicurezza miliardi di tonnellate di CO2 e altri gas serra al di fuori dell’atmosfera.
A dicembre 2020, tutti gli ecosistemi del patrimonio mondiale marino comprendevano un’area di 207 milioni di ettari, pari al 10% di tutte le Aree marine protette a livello globale. Questi siti, pur rappresentando meno dell’1% degli oceani del mondo, ospitano almeno il 21% della superficie totale degli ecosistemi di blue carbon e il 15% di quello del mondo.
I siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO hanno un valore universale inestimabile. Sono riconosciuti dalla comunità internazionale come elementi la cui conservazione è essenziale per le generazioni future.
“Situati lungo la costa – ha sottolineato Ernesto Ottone Ramirez, Assistente Direttore Generale per la Cultura dell’UNESCO – gli ecosistemi di blue carbon svolgono un ruolo ecologico importante nel ciclo del carbonio e dei nutrienti, costituendo vivai e habitat per molte specie marine e terrestri, ma anche azioni di protezione delle coste e di conservazione dei mezzi di sussistenza e di benessere per le popolazioni locali”.
Questi 50 ecosistemi includono le mangrovie delle Sundarbans (India e Bangladesh), che fanno parte della più grande foresta di mangrovie del mondo; il Parco nazionale delle Everglades (Stati Uniti) e Shark Bay (Australia occidentale), sede del più grande ecosistema di alghe marine documentato al mondo; la Grande Barriera Corallina, che ospita il più grande ecosistema di fanerogame del pianeta; e il Mare di Wadden (Danimarca, Germania, Paesi Bassi), dove si trovano i prati salmastri e le spiagge fangose più estese del Pianeta. I siti marini Patrimonio dell’Umanità ospitano anche uno degli organismi viventi più antichi e prolifici del mondo: le praterie marine di posidonia di Ibiza (Spagna).
Tuttavia questi ecosistemi marini unici devono affrontare molte sfide, che vanno dall’inquinamento, in particolare dei rifiuti di plastica, ai cambiamenti climatici. Valutando il valore del carbonio di questi siti e raccomandando strategie specifiche di conservazione del carbonio blu, i risultati della ricerca dell’UNESCO indicano la via da seguire per gli Stati, le Regioni e le popolazioni locali che intendono conservare queste aree e attuare strategie relative al carbonio blu.
Negli ultimi dieci anni, gli scienziati hanno scoperto che le praterie di fanerogame marine, le paludi salmastre di marea e le mangrovie, denominate “ecosistemi di blue carbon“, sono tra i più potenti pozzi di carbonio della biosfera. Aiutano a mitigare i cambiamenti climatici sequestrando e immagazzinando grandi quantità di carbonio dall’atmosfera e dall’oceano.
“Poiché hanno questa grande capacità di immagazzinare carbonio, gli ecosistemi di carbonio blu diventano fonti di emissioni di CO2 quando vengono degradati o distrutti – ha avvertito il Prof. Carlos Duarte – Proteggere e ripristinare questi ecosistemi è un’opportunità unica per mitigare i cambiamenti climatici. Preservando gli ecosistemi di carbonio blu, è possibile proteggere le grandi riserve di carbonio che si sono accumulate lì nel corso dei millenni. Una volta ripristinati, possono ridiventare serbatoi di assorbimento del carbonio“.
I finanziamenti per la conservazione degli ecosistemi di blue carbon nei siti marini del Patrimonio mondiale UNESCO potrebbero essere incentivati attraverso strategie specifiche, in base alle quali i Paesi che hanno dimostrato i benefici del ripristino e della conservazione degli ecosistemi degradati ricevano crediti di carbonio.
Queste strategie possono consentire agli ecosistemi di riacquistare la loro funzione vitale e aiutare le nazioni a rispettare i loro impegni ai sensi dell’Accordo di Parigi sul clima. Ad oggi, purtroppo, pochissimi Paesi hanno integrato strategie di blue carbon nelle loro politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Il Rapporto è stato redatto utilizzando le informazioni dei gestori dei siti del Patrimonio Mondiale, i dati pubblicati nella letteratura scientifica e del World Carbon Atlas del Global Carbon Project, ed è stato finanziato dalla King Abdullah University of Science and Technology (Arabia Saudita), dall’Agenzia francese per la biodiversità e dal Principato di Monaco.
S.G.
In copertina: Atollo di Aldabra, uno dei Patrimoni mondiali marini dell’UNESCO alle Seychelles (Fonte: UNESCO / FotoNatura).