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AlmaLaurea 2019: i profili dei laureati e la loro condizione occupazionale

Il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea ha presentato gli annuali Rapporti sulle principali caratteristiche dei laureati e sulla posizione da loro conseguita nei mercati del lavori in Italia, Europa e nel resto del mondo.

In occasione del Convegno “Università e mercato del lavoro”, tenutosi il 6 giugno 2019  presso l’Università “La Sapienza” di Roma, sono stati presentati i Rapporti 2019 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea ha presentato i Rapporti 2019 relativi a Profilo dei Laureati e alla Condizione occupazionale.

Le Indagini hanno coinvolto i laureati di 75 Università aderenti al Consorzio, in particolare:
– per il primo, sono state analizzate le performance formative di oltre 280 mila laureati nel 2018: tra questi, 160 mila laureati di primo livello, 82 mila dei percorsi magistrali biennali e 37 mila magistrali a ciclo unico;
– per il secondo, sono le condizioni di occupazione e lavoro di circa 640 mila laureati di primo e secondo livello del 2017, 2015 e 2013, contattati rispettivamente a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo.

Dal Rapporto “Profilo dei Laureati”, emerge che dopo il calo vistoso perdurato fino all’Anno accademico 2013-14, dall’anno accademico 2014-15 si è osservata una ripresa delle immatricolazioni, confermata anche negli anni successivi, che sono arrivate nel 2017-18 a +9,3% rispetto al 2013/14 (fonte MIUR).

Nonostante ciò, dal 2003/04 al 2017/18 le università hanno perso oltre 40 mila matricole, registrando una contrazione del 13,0%. Il calo delle immatricolazioni risulta più accentuato nelle aree meridionali (-26,0%), tra i diplomati tecnici e professionali e tra coloro che provengono dai contesti familiari meno favoriti, con evidenti rischi di polarizzazione.

È per i giovani del Sud e delle Isole che il fenomeno migratorio assume, invece, proporzioni considerevoli – si legge –  il 26,4% decide di conseguire la laurea in atenei del Centro e del Nord, ripartendosi equamente tra le due destinazioni. Un altro aspetto interessante riguarda i laureati provenienti dall’estero: oltre il 90% sceglie un ateneo del Centro-Nord”.

I laureati del Centro rimangono nella medesima ripartizione geografica nell’87,8% dei casi; del restante 12,2% la maggioranza (ossia il 9,5%) ha optato per atenei del Nord.

La quasi totalità dei laureati che hanno ottenuto il titolo di scuola secondaria di secondo grado al Nord ha scelto un ateneo della medesima ripartizione geografica (97,2%).

Per quanto riguarda infine i laureati provenienti dall’estero: oltre il 90% sceglie un ateneo del Centro-Nord.

Il contesto familiare ha un forte impatto sulle opportunità di completare il percorso di istruzione universitaria: fra i laureati, infatti, si rileva una sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale.

I laureati AlmaLaurea 2018 provengono per il 32,0% e il 22,4% da famiglie della classe media, rispettivamente impiegatizia e autonoma, per il 22,4% da famiglie di più elevata estrazione sociale (ove i genitori sono imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) e per il 21,6% da famiglie in cui i genitori svolgono professioni esecutive (operai ed impiegati esecutivi). La percentuale dei laureati di più elevata estrazione sociale sale al 33,0% fra i laureati magistrali a ciclo unico, percorso di studio che, com’è noto, comporta una previsione di investimento di durata maggiore rispetto alle lauree di primo livello. I laureati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario sono il 29,9% (nel 2008 erano il 25,5%).

Il contesto culturale e sociale della famiglia influisce anche sulla scelta del corso di laurea: i laureati provenienti da famiglie con livelli di istruzione più elevati hanno scelto più frequentemente corsi di laurea magistrale a ciclo unico (il 42,9% ha almeno un genitore laureato) rispetto ai laureati che hanno optato per un percorso “3+2” (26,6% per i laureati di primo livello e 30,8% per i magistrali biennali).

Per quanto riguarda il tasso di occupazione, che include anche coloro che sono impegnati in attività di formazione retribuita, è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 72,1% tra i laureati di primo livello e al 69,4% tra i laureati di secondo livello del 2017. Il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione che, rispetto al 2014 (anno in cui si sono osservati i primi segnali di miglioramento), risulta aumentato di 6,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 4,2 punti per i laureati di secondo livello. Si tratta di segnali positivi che, tuttavia, non sono ancora in grado di colmare la significativa contrazione del tasso di occupazione osservabile tra il 2008 e il 2014 (-17,1% per i primi; -15,1% per i secondi). La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è nel 2018, in media, pari a 1.169 euro per i laureati di primo livello e 1.232 euro per i laureati di secondo livello. Rispetto all’indagine del 2014 le retribuzioni reali (ovvero che tengono conto del mutato potere d’acquisto) a un anno dal conseguimento del titolo figurano in aumento: +13,4% per i laureati di primo livello, +14,1% per quelli di secondo livello. L’aumento rilevato, tuttavia, non è ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel periodo più difficile della crisi economica che ha colpito i neolaureati, ovvero tra il 2008 e il 2014 (-22,4% per il primo livello, -17,6% per il secondo livello). Nel 2018, a un anno dal conseguimento del titolo, la forma contrattuale più diffusa è il lavoro non standard, prevalentemente alle dipendenze a tempo determinato, che riguarda oltre un terzo degli occupati. Oltre la metà degli occupati, a un anno, considera il titolo di laurea “molto efficace o efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro.

Nel 2018, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è pari all’88,6% per i laureati di primo livello e all’85,5% per i laureati di secondo livello. Tali tassi risultano in tendenziale aumento, rispetto al 2015, del 3,0% e dello 0,8% rispettivamente. Resta però vero, anche in questo caso, che questi segnali positivi intervengono dopo anni di significativa contrazione del tasso di occupazione che, tra il 2012 e il 2015, è diminuito del 5,0% per i laureati di primo livello e del 5,7% per quelli di secondo livello. Nel 2018, a cinque anni dalla laurea, la retribuzione mensile netta è pari a 1.418 euro per i laureati di primo livello e 1.459 euro per i laureati di secondo livello.

Rispetto al 2015 si rileva un aumento delle retribuzioni reali (ovvero che tengono conto del mutato potere d’acquisto) sia tra i laureati di primo livello (+2,4%) sia tra quelli di secondo livello (+4,1%), intervenute dopo le generalizzate contrazioni degli anni precedenti: nel periodo 2012-2015 la contrazione è stata pari a -3,0% e -5,0%, rispettivamente, per i laureati di primo e secondo livello. Nel 2018, a cinque anni dal conseguimento del titolo, la forma contrattuale più diffusa è il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato, che riguarda oltre la metà degli occupati. Quasi due terzi degli occupati, a cinque anni, considera il titolo di laurea “molto efficace o efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro.

 

 

 

 

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