Una nota stampa di CNI, CNG e Fondazione Inarcassa, diffusa in occasione della Giornata Nazionale della prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico (14 maggio 2025), ribadisce la necessità costante delle istituzioni e degli operatori del settore verso le criticità, sia strutturali che non, che interessano il nostro territorio in relazione al rischio idrogeologico.
In occasione dell’evento “Regolamentazione efficace, pianificazione omogenea e tecnologie innovative per la tutela del territorio“, organizzato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), dal Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG) e dalla Fondazione Inarcassa, celebrativo della Seconda Giornata Nazionale della prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico (14 maggio 2025), è stata prestata particolare attenzione agli strumenti di programmazione, a livello nazionale e locale, di opere per la prevenzione e per la mitigazione del rischio idrogeologico, oltre che agli strumenti di governance delle politiche di intervento in questo ambito.
Il territorio dell’Italia, per le sue caratteristiche morfologiche, litologiche e idrografiche è naturalmente predisposto a fenomeni franosi e alluvionali. L’Italia, oltre tutto, è anche un Paese fortemente antropizzato con quasi 8.000 comuni, 59.459 nuclei urbani, una rete autostradale di 6.487 km, una ferroviaria di circa 16.000 km, una rete stradale principale di circa 360.000 km e una densità di popolazione di circa 200 abitanti/km.
Negli ultimi 25 anni, per affrontare il problema del dissesto idrogeologico sono stati spesi quasi 20 miliardi di euro, per un totale di 25.539 interventi. Non basta. Si stima un fabbisogno minimo di altri 9,3 miliardi di euro per opere di prevenzione e mitigazione già in fase istruttoria. Questo valore rappresenta le richieste di finanziamento provenienti dagli Enti locali, registrate sulla Piattaforma RENDIS (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo).
In tutto questo resta molto alto il rischio alluvioni. Secondo i dati ISPRA sono 6,8 milioni gli abitanti che risiedono in aree a rischio alluvionale medio e 2,4 milioni vivono in zone alluvionali ad alto rischio, complessivamente il 15% della popolazione. Gli edifici in zone alluvionali ad alto e medio rischio sono 2,1 milioni, il 15% del totale.

Ciò che sembra emergere dai dati disponibili, si legge nella Nota stampa diffusa per l’occasione, è che nel nostro Paese non vi sia un sostanziale problema di carenza di risorse per interventi attraverso cui affrontare i fenomeni di dissesto idrogeologico.
I ritardi nella realizzazione delle opere sono quelli che accomunano tutto il sistema delle opere pubbliche italiane, ritardi generati più da complessità di tipo burocratico che da questioni legate eminentemente alla progettazione e, forse, ancor meno alla realizzazione dei lavori. Dato l’ampio sistema di monitoraggio e di studio dei fenomeni legati al dissesto idrogeologico è possibile affermare che il livello di attenzione al problema nel nostro Paese è elevato.
Ciò nonostante il Paese sembra ormai caratterizzarsi per una allerta permanente. È sufficiente citare alcuni eventi molto recenti: dal 2022 si contano almeno 3 eventi alluvionali gravi che hanno coinvolto le Marche, 6 eventi alluvionali con danni ingenti che hanno coinvolto ampi territori dell’Emilia-Romagna, un evento grave in vaste aree del Piemonte ad aprile 2025, oltre all’alluvione distruttiva di Ischia nel 2022.
Migliorare la governance nell’uso delle risorse finanziarie.
Per andare più alla radice del problema occorrerebbe considerare due elementi. Si legge ancora. Anzitutto, la presenza nel nostro Paese di un sistema di governance delle risorse e degli interventi che pur realizzato da enti competenti richiederebbe un maggiore coordinamento. Inoltre, è necessario aggiornare le modalità e gli strumenti di programmazione degli interventi, anche avvalendosi dei più recenti apparati di monitoraggio e di telerilevamento estremamente efficaci e che consentirebbero di aggiornare di continuo e migliorare le modalità di intervento puntuale sul territorio, non tanto e non solo in casi di emergenza
Aggiornare e rendere più efficaci gli strumenti di programmazione degli interventi di difesa del suolo
La gestione del rischio idrogeologico è una questione di elevata complessità, i processi non sono facilmente semplificabili e vanno affrontati definendo modelli affidabili che consentano l’ attenta valutazione del rischio residuo fin dalla fase di progettazione per una corretta gestione dello stesso post operam.

Non esiste un’unica soluzione ma un ventaglio di soluzioni che includono sia interventi strutturali che non strutturali. Nello specifico andranno effettuate azioni di adattamento agli eventi metereologici estremi sempre più frequenti. Sarà dunque necessario attuare un piano pluriennale che preveda sempre di più l’impiego di risorse dedicate alla progettazione e realizzazione di interventi di tipo strutturale cioè opere di sistemazione idraulica e geomorfologica, utile ad evitare che i fenomeni si riattivino, si verifichino o comunque utili a mitigarne gli effetti.
Tuttavia queste tipologie di interventi anche se utili e necessarie, da sole non possono consentire la soluzione di tutte le criticità presenti sul territorio. Vi è quindi un ulteriore aspetto che riguarda la necessità di aggiornare e di rendere omogeni tra loro i principali strumenti a supporto della programmazione, progettazione e monitoraggio dei territori a rischio.
I Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) redatti dalle ex Autorità di Bacino rappresentano degli strumenti di pianificazione di eccellenza a livello europeo. L’evoluzione continua e le dinamiche geomorfologiche del territorio, anche in relazione ai cambiamenti climatici, non ci consentono però pause su questo tema. Molti PAI necessitano di un aggiornamento che, al contrario di quanto avvenuto in passato, dovrebbe avvenire attraverso una metodologia omogenea. In diversi casi inoltre non hanno coperto l’intero territorio. Essendo gli stessi PAI un riferimento per la pianificazione territoriale, per la programmazione degli interventi strutturali e per la pianificazione di emergenza, aggiornarli è una necessità imprescindibile. Occorrerebbe inoltre procedere alla redazione dei Piani di Gestione delle frane prevedendo le necessarie risorse economiche.
Occorre completare la Cartografia Geologica d’Italia attraverso il Progetto Carg, coordinato dall’ISPRA.
Il progetto prevede il finanziamento, attualmente parziale, per la produzione della cartografia geologica e geotematica del territorio nazionale, al fine di consentire la conoscenza fisica e geologica del territorio e del suo sottosuolo, tale conoscenza ne garantisce la cura e la tutela, oltre che aiutare nella prevenzione dei rischi geologici.
Va adeguata la Pianificazione Urbanistica Comunale. Occorre incentivare i Comuni a recepire la Pianificazione di Bacino nei propri strumenti urbanistici. Questo consentirebbe di impedire le costruzioni nelle aree pericolose e di attuare uno sviluppo territoriale compatibile e sostenibile con l’assetto geologico del territorio, attraverso strumenti quali la rigenerazione urbana e la delocalizzazione nei casi più problematici.
Occorre inoltre procedere alla redazione ed attuazione dei Piani di Protezione Civile, quale supporto operativo fondamentale per la gestione delle emergenze al fine di ridurre il danno, in caso di eventi, soprattutto in termini di salvaguardia della vita umana. Molti Comuni li hanno redatti, ma non vengono adeguatamente aggiornati con la ciclicità necessaria per mancanza di fondi dedicati: in riferimento a quanto previsto dalle linee guida per la redazione degli stessi, emanate nel 2021, e la competenza che hanno le Regioni di emanare specifiche linee guida, si segnala che per gli adempimenti dei Comuni, compreso il caricamento nel portale MMASE, non sembrerebbe ad oggi essere prevista una norma “perentoria” che ne imponga l’adozione per le amministrazioni locali. Su questo versante sarebbe opportuno che “il modello di intervento”, che rappresenta il “fulcro” dei piani, sia sottoposto a verifica/validazione da soggetti terzi.
Infine sarebbe utile perfezionare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), che si configura come uno strumento fondamentale di indirizzo per le istituzioni a tutti i livelli di governo del territorio, ai fini dell’integrazione della tematica dell’adattamento negli strumenti di programmazione e pianificazione settoriale. Le azioni previste dal PNACC dovrebbero però meglio identificare le priorità, definendo i criteri per i piani regionali e locali e determinando le risorse finanziarie destinate. Tutto ciò consentirebbe di raggiungere gli obiettivi primari del PNACC, mettendo in campo azioni di adattamento e riducendo le cause del cambiamento climatico.