Secondo un nuovo Studio che ha correlato l’esposizione prolungata al biossido di azoto (NO2) e l’alta mortalità dei malati da Covid-19, il 78% dei decessi si è verificato in sole 5 regioni europee, 4 in Italia (la pianura padana), le più esposte a tale inquinante atmosferico.
Sono sempre più numerosi gli Studi pubblicati in questo periodo di emergenza sanitaria da Covid-19 che correlano l’elevata mortalità del virus nelle aree con permanenti alti livelli di inquinamento atmosferico.
In particolare, ha suscitato interesse, almeno in Italia, i risultati di uno Studio, condotto da ricercatori italiani che avrebbero individuato una correlazione tra gli alti tassi di mortalità da Covid-19 osservati nel nord Italia e il grado di inquinamento dell’aria nella stessa regione.
Anche lo Studio condotto dal Dipartimento di Biostatistiche dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health, supporta la tesi del rapporto tra letalità di Covid-19 e alti livelli di inquinamento, osservando che i tassi più di mortalità dei contagiati negli Stati Uniti coincidono con le aree di più marcate concentrazioni di polveri sottili tanto che “un solo milligrammo per metro cubo in più di PM2,5 determina un aumento del tasso di mortalità da Covid-19”, come ha dichiarato la principale autrice e co-Direttore della Harvard Data Science Initiative, Francesca Dominici, uno dei tanti ricercatori italiani che per svolgere la sua attività è emigrata negli Stati Uniti dove ha conquistato un ruolo di prestigio nelle politiche sulla qualità dell’aria.
Ora lo Studio “Assessing nitrogen dioxide (NO2) levels as a contributing factor to coronavirus (COVID-19) fatality”, pubblicato il 20 aprile 2020 su Science of the Total Environment e condotto dal ricercatore post-Dottorato presso l’Istituto di Geoscienze e Geografia all’Università Martin Luther di Halle (Germania), Yagon Ogen, avrebbe rilevato la correlazione tra l’esposizione a lungo termine a biossido di azoto (NO2) e alto numero di decessi per i malati di Covid-19.
Se gli studi precedenti erano pre-stampe che in questo momento di emergenza per la pandemia del nuovo coronavirus i ricercatori si affrettano a diffondere qualora contengano elementi che possono incidere nell’azione di contrasto al Covid-19, questo nuovo Studio ha già superato la fase peer reviewed.
Questo Studio si è concentrato sui livelli di biossido di azoto, un inquinante atmosferico che proviene
dalla combustione di combustibili fossili, dalle emissioni di scarico delle
auto e dall’uso di fertilizzanti a base di azoto utilizzati in agricoltura, e
che stato riconosciuto come responsabile di causare molti tipi di malattie
respiratorie e cardiovascolari nell’uomo. È anche un gas serra più potente di 200-300 volte
della CO2, sebbene in atmosfera ce ne sia di meno.
“Poiché
il nuovo coronavirus colpisce soprattutto il tratto respiratorio – ha
affermato Ogen – è ragionevole supporre
che potrebbe esserci una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e il numero
di decessi per COVID-19“.
Per lo studio il ricercatore ha combinato tre serie di dati.
– I livelli di inquinamento in gennaio e febbraio 2020 di NO2, prima che iniziassero i focolai di coronavirus, misurati dal satellite Sentinel 5P dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che controlla costantemente l’inquinamento atmosferico sulla Terra. Sulla base di questi dati, Ogen ha definito una panoramica per le regioni con livelli elevati e prolungati di inquinamento.
– I dati dell’Agenzia meteorologica statunitense (NOAA) sui flussi d’aria verticali, sulla base del presupposto che se l’aria è in movimento, anche gli inquinanti vicino al suolo si diffondono, mentre se l’aria è ferma possono essere inalati con maggiore probabilità e quantità dagli individui, provocando problemi alla salute quantità maggiori e quindi portano a problemi di salute. Utilizzando questi dati, il ricercatore è stato in grado di identificare gli hotspot in tutto il mondo con alti livelli di inquinamento atmosferico e contemporaneamente bassi livelli di movimento dell’aria.
– I dati sui decessi correlati al Covid-19, analizzando in particolare i dati provenienti da Italia, Francia, Spagna e Germania, scoprendo che “le regioni con un alto numero di decessi avevano anche livelli particolarmente elevati di biossido di azoto e una quantità particolarmente bassa di scambio d’aria verticale”.
“Quando guardiamo il Nord Italia, l’area intorno a Madrid e alla Provincia di Hubei [ndr: la regione dove è situata Wuhan, sede del focolaio iniziale], per esempio – ha osservato Ogen – hanno tutte qualcosa in comune: sono circondate da montagne che fanno ristagnare l’aria e mantenere elevati i livelli di inquinamento”.
Il merito della sua analisi consiste nel fatto che si basa su singole regioni e non confronta solo i Paesi: complessivamente, mostra che delle morti per coronavirus avvenute in 66 regioni amministrative in Italia, Spagna, Francia e Germania, il 78% si è verificato in sole 5 regioni, 4 delle quali in Padania, che sono anche le più inquinate.
“Anche se possiamo ottenere il valore medio dell’inquinamento atmosferico di un Paese questo dato potrebbe variare notevolmente da regione a regione e quindi non essere un indicatore affidabile – ha sottolineato Ogen – I risultati indicano che l’esposizione a lungo termine a questo inquinante può essere uno dei più importanti contributori alla mortalità causata dal virus Covid-19 in queste regioni e forse in tutto il mondo“.
“Tuttavia la mia ricerca sull’argomento è solo un’indicazione iniziale che potrebbe esserci una correlazione tra il livello di inquinamento dell’aria, il movimento dell’aria e la gravità del decorso della epidemia di coronavirus – ha precisato il ricercatore – Questa correlazione dovrebbe ora essere esaminata per altre regioni e inserita in un contesto più ampio. Ora è necessario esaminare se la presenza di una condizione infiammatoria iniziale è correlata alla risposta del sistema immunitario al coronavirus”.
Resta comunque il fatto che, secondo l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) “Qualità dell’aria in Europa 2019”, il nostro Paese ha il triste primato in Europa per il numero di morti premature all’anno dovute a NO2: 14.600.