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Microplastiche nel piatto: quelle ambientali sono più di quelle del cibo

microplastiche nel piatto

di Carmela Marinucci

Un recente Studio, condotto dall’Università Heriot-Watt – Center for marine biodiversity & biotechnology  di Edimburgo (Low levels of microplastics (MP) in wild mussels indicate that MP ingestion by humans is minimal compared to exposure via household fibres fallout during a meal) e pubblicato sul numero di giugno 2018 (Vol. 237) di Environmental Pollution, rileva che in un pasto principale che dura una ventina di minuti rischiamo di ingurgitare involontariamente e inconsapevolmente circa 114 particelle di materiale plastico.

Ma in questo caso le microplastiche e micro fibre di plastica inghiottite non provengono dalla catena alimentare attraverso i pesci e molluschi contaminati dei nostri mari, a causa dello sversamento di microplastiche primarie, bensì derivano da fonti circostanti l’ambiente familiare.

Secondo i ricercatori , il rischio di ingerire plastiche consumando mitili è assai inferiore rispetto all’esposizione da fibre provenienti da arredi domestici e tessuti sintetici che precipitano nel piatto durante il consumo dei pasti. Mettendo durante i pasti sul tavolo da pranzo di alcune case dei campione, accanto ai piatti dei contenitori (piastra di Petri) con trappole appiccicose per le polveri, i ricercatori si sono accorti che al termine di un pasto della durata di 20 minuti sono stati trovati fino a 14 minuscoli pezzi di plastica nelle piastre, l’equivalente di 114 fibre di plastica che cadevano in media su un piatto per il pranzo, date le sue dimensioni molto più grandi.

Pertanto, una persona potrebbe arrivare ad inghiottire fino a 68.415 fibre di plastica pericolose all’anno, semplicemente sedendosi a mangiare e indipendentemente dal cibo che consuma, delle quali solo 100 potrebbero derivare dal consumo di cozze.

Questi risultati possono essere sorprendenti per qualcuno che si aspetta che le fibre di plastica nel pesce e nei frutti di mare siano superiori a quelle presenti nella polvere domestica – ha sottolineato il co-autore dello Studio Theodore Henry, Professore di Tossicologia presso la School of Life Sciences dell’Università Heriot-Watt e a Capo del Programma di ricerca Real Risk Nano, un progetto finanziato dal Governo britannico destinato a  studiare le fonti e i percorsi nell’ambiente marino delle microplastiche – Non sappiamo da dove provengano queste fibre, ma è probabile che si trovino all’interno delle case e nell’ambiente circostante”.

Il problema delle microplastiche continua ad attirare i titoli dei media con domande chiave sui rischi per la salute umana e sulle creature marine, secondo i ricercatori tuttavia non ma al momento secondo i ricercatori non esistono al momento prove sufficienti per conoscere il vero impatto di queste plastiche sugli ecosistemi marini.

Ci sono lacune importanti nella nostra comprensione della plastica – ha sottolineato Ana I. Catarino, ricercatrice presso la School of Life Sciences dell’Università Heriot-Watt e principale autore dello Studio – Non è irragionevole per le persone riempire questi spazi vuoti con ipotesi parziali. I finanziamenti per la ricerca scientifica sono limitati e non possiamo aspettare che ci fornisca risposte complete prima di agire. Tuttavia, dobbiamo evitare speculazioni indebite e rischi esagerati, e impegnarci viceversa per arrivare a prove concrete. Altrimenti la nostra capacità di gestire l’inquinamento da plastiche nel modo più efficace verrebbe sminuita e non avremmo una chiara visione delle giuste priorità”.

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