Secondo il nuovo Rapporto Mal’Aria di Legambiente le città capoluogo italiane analizzate sono ben lontane dal divenire clean cities e conseguire i valori limite di qualità dell’aria per particolato (PM10 e PM2.5) e biossido di azoto (NO2) previsti al 2030 dalla nuova Direttiva Qualità dell’Aria ambiente, nonostante siano ancora la metà di quelli delle Linee Guida dell’OMS.
Quello appena trascorso è stato un anno di poche luci e molte ombre per le città italiane in tema di inquinamento atmosferico, essendosi registrati dei valori complessivamente più bassi rispetto al 2022 per quanto riguarda i principali inquinanti monitorati, ma i meriti di questo miglioramento registrato sono purtroppo riconducibili quasi esclusivamente alle favorevoli condizioni metereologiche che hanno caratterizzato i mesi invernali del primo semestre del 2023 e il periodo autunnale dell’anno appena terminato.
È quanto emerge dal Rapporto “Mal’Aria di città 2024”, redatto la Legambiente nell’ambito di Clean Cities, la Campagna itinerante con tappa in 18 Capoluoghi italiani per chiedere città più sane e vivibili, il raggiungimento delle zero emissioni e il radicale miglioramento della qualità dell’aria, e presentato l’8 febbraio 2024.
Nonostante una riduzione dei livelli di inquinanti atmosferici nel 2023, si legge nel report, le città faticano ad accelerare il passo verso un miglioramento sostanziale della qualità dell’aria. I loro livelli attuali sono stabili ormai da diversi anni, in linea con la normativa attuale, ma restano distanti dai limiti normativi al 2030 della nuova Direttiva sulla Qualità dell’Aria ambiente adottata dalla Commissione UE e attualmente alla fase conclusiva del trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio UE, con il tentativo da parte di alcuni Stati membri di inserire deroghe e proroghe, nonostante preveda limiti dimezzati rispetto a quelli delle Linee guida dell’OMS e la comunità scientifica abbia recentemente lanciato il monito che ritardare di 10 anni l’allineamento a quelli dell’OMS comporterebbe oltre 327.600 morti prematuri in tutta Europa.
Mal’Aria 2024 ha analizzato i dati del 2023 nei capoluoghi di provincia, sia per quanto riguarda i livelli delle polveri sottili (PM10, PM2.5) che del biossido di azoto (NO2), evidenziando che 18 città delle 98 monitorate hanno superato gli attuali limiti normativi per gli sforamenti di PM10 (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo). Erano state 29 le città fuorilegge nel 2022 e 31 nel 2021. In testa alla “mala” classifica delle città c’è Frosinone (con la centralina di Frosinone Scalo) con 70 giorni di sforamento, il doppio rispetto ai valori ammessi, seguita da Torino (Grassi) con 66, Treviso (strada S. Agnese) 63 e Mantova (via Ariosto), Padova (Arcella) e Venezia (via Beccaria) con 62. Anche le tre città venete, Rovigo (Centro), Verona (B.go Milano), e Vicenza (Ferrovieri), superano i 50 giorni, rispettivamente 55, 55 e 53. Milano (Senato) registra 49 giorni, Asti (Baussano) 47, Cremona (P.zza Cadorna) 46, Lodi (V.le Vignati) 43, Brescia (Villaggio Sereno) e Monza (via Machiavelli) 40. Chiudono la lista Alessandria (D’Annunzio) con 39, Napoli (Ospedale Pellerini) e Ferrara (Isonzo) con 36.
“I dati di Mal’Aria 2024 ci dicono che il processo di riduzione delle concentrazioni è inesistente o comunque troppo lento – ha spiegato Andrea Minutolo, Responsabile scientifico di Legambiente – Ad oggi, infatti, ben 35 città dovranno intensificare gli sforzi per ridurre le loro concentrazioni di PM10 entro il 2030, con una percentuale di riduzione compresa tra il 20% e il 37%, mentre per il PM2.5 il numero di città coinvolte sale a 51, con una riduzione necessaria tra il 20% e il 57%. Non migliore la situazione per quanto riguarda l’NO2, dove 24 città dovranno ridurre le emissioni tra il 20% e il 48%. Alla luce degli standard dell’OMS, che suggeriscono valori limite molto più stringenti dei valori di legge attuali e che rappresentano il vero obiettivo per salvaguardare la salute delle persone, la situazione diventa ancora più critica. Bisogna determinare una svolta a livello nazionale e territoriale per ridurre l’impatto sanitario sulla popolazione italiana, il costo ad esso associato, e il danno agli ambienti naturali”.
I miglioramenti rispetto all’anno precedente, secondo Legambiente, sono principalmente attribuibili alle condizioni meteorologiche “favorevoli” che hanno caratterizzato il 2023, anziché a un effettivo successo delle azioni politiche intraprese per affrontare l’emergenza smog. Se il 2030, il termine previsto dalla nuova Direttiva UE, fosse già qui, il 69% delle città risulterebbe fuorilegge per il PM10, con le situazioni più critiche a Padova, Verona e Vicenza con 32 µg/mc, seguite da Cremona e Venezia (31 µg/mc), e infine da Brescia, Cagliari, Mantova, Rovigo, Torino e Treviso (30 µg/mc). Non diversa sarebbe la situazione per il PM2.5: l’84% delle città sarebbero oltre i limiti, con i valori più alti registrati a Padova (24 µg/mc), Vicenza (23 µg/mc), Treviso e Cremona (21 µg/mc), Bergamo e Verona (20 µg/mc). Il biossido di azoto (NO2) è l’unico inquinante in calo negli ultimi 5 anni, ma il 50% delle città resterebbe comunque fuori legge. Napoli (38 µg/mc), Milano (35 µg/mc), Torino (34 µg/mc), Catania e Palermo (33 µg/mc), Bergamo e Roma (32 µg/mc), Como (31 µg/mc), Andria, Firenze, Padova e Trento (29 µg/mc) sono le città con i livelli più alti.
“Ancora una volta l’obiettivo di avere un’aria pulita nei centri urbani italiani rimane un miraggio, come dimostra la fotografia scattata dal nostro rapporto Mal’Aria di città – ha affermato Giorgio Zampetti, Direttore generale di Legambiente – Le fonti sono note così come sono disponibili e conosciute le azioni e le misure di riduzione delle emissioni, ma continuiamo a registrare ancora forti e ingiustificati ritardi nel promuovere soluzioni trasversali. Serve quindi un cambiamento radicale, attuando misure strutturali ed integrate, capaci di impattare efficacemente sulle diverse fonti di smog, dal riscaldamento degli edifici, dall’industria all’agricoltura e la zootecnia fino alla mobilità, dove le misure di riduzione del traffico e dell’inquinamento possono ben conciliarsi con una maggiore sicurezza per pedoni e ciclisti, come dimostra l’importante intervento della città a 30km/h di Bologna voluto dal sindaco Matteo Lepore e dall’amministrazione comunale. Un intervento già realizzato in diverse città europee che chiediamo sia sempre più diffuso anche in quelle italiane”.
Ricordando che le sorti della salute dei cittadini europei saranno determinate nel trilogo, e che in Italia ci sono 47.000 decessi prematuri all’anno a causa del PM2.5, l’Associazione del Cigno Verde chiede che il Governo italiano non ostacoli ulteriormente questo percorso e che si evitino deroghe e clausole che possano giustificare ritardi nel raggiungimento degli obiettivi.
Per uscire dalla morsa dell’inquinamento, secondo l’Associazione del Cigno Verde,, bisogna tenere conto delle diverse realtà territoriali e agire sulle diverse fonti di emissioni di inquinanti atmosferici in maniera sinergica. Solo così si potrà nel medio periodo tornare a respirare aria pulita nelle nostre città. A tal fine vengono formulate alcune proposte:
– Muoversi in libertà e sicurezza per le città. Servono investimenti massicci nel TPL, incentivi all’uso del trasporto pubblico, mobilità elettrica condivisa anche nelle periferie, implementare ZTL, LEZ (Low emission zone) e ZEZ (Zero emission Zone), elettrificazione anche dei veicoli merci digitalizzare i servizi pubblici, promuovere l’home working, ampliare reti ciclo-pedonali e ridisegnare lo spazio urbano, a misura di persona con limiti di velocità a “città 30”, rendendo al contempo la mobilità non solo più pulita, ma più sicura e realmente inclusiva.
– Riscaldarsi bene e meglio. Bisogna vietare progressivamente le caldaie e generatori di calore a biomassa nei territori più inquinati; negli altri invece supportare l’installazione di tecnologie a emissioni “quasi zero”, con sistemi di filtrazione integrati o esterni, o soluzioni ibride.
– Occuparsi anche delle campagne. In aree rurali con agricoltura e allevamento intensivo, le emissioni agricole possono superare quelle industriali o urbane. Occorre dunque vigliare sul rispetto dei regolamenti per lo spandimento e rapido interramento dei liquami, e promuovere investimenti agricoli verso pratiche che riducano le emissioni ammoniacali, come la copertura delle vasche di liquami e la creazione di sistemi di trattamento, soprattutto per la produzione di biometano.
– Monitorare per la tutela della salute. È inoltre necessario cambiare anche la strategia di monitoraggio sinora impiegata, aumentando il numero di centraline di monitoraggio in modo da garantire una copertura di tutte le principali aree urbane del Paese. Con la prossima adozione di nuovi limiti più allineati con quelli dell’OMS, infatti, molte delle aree che ora sono in regola non lo saranno più e la verifica costante e puntuale della situazione sarà ancora una volta quanto mai necessaria. Oggi sono disponibili sensori a basso costo che si possono affiancare alle centraline tradizionali, rendendo il monitoraggio distribuito, capillare e scientificamente fondato secondo il paradigma delle smart cities.