Pur con le rassicurazioni delle autorità di governo nicaraguense, rimangono le perplessità sugli impatti ambientali e sociali della costruzione del Canale che collegherà Atlantico e Pacifico, facendo concorrenza a quello di Panama, e sui rischi legati alla presenza di vulcani attivi.
Nonostante le manifestazioni dei contadini e l’opposizione dei gruppi ambientalisti locali, hanno preso ufficialmente il via con due distinte cerimonie il 22 dicembre 2014 i lavori per la costruzione del Canale del Nicaragua che collegherà l’Atlantico (il Mar dei Carabi) con il Pacifico.
Una ha avuto luogo di prima mattina a Brito cittadina a 5 km dalla costa Pacifica, dove ci sarà una porta di accesso con il taglio dell’istmo di Rivas, la lingua di terra di 10 km che separa le acque del lago Cocibolca, mare dolce come viene denominato dai nativi in lingua nahua, e quelle dell’Oceano Pacifico. Vi hanno preso parte il Vicepresidente del Nicaragua Omar Halleslevens e Wang Jing, Presidente della società di telecomunicazioni Hong Kong Nicaragua Canal Development Investment Co Ltd. che ha ottenuto dal Parlamento nicaraguense l’appalto per la costruzione in cambio del diritto di esclusiva allo sviluppo e alla gestione del Gran Canale del Nicaragua per 100 anni dal momento dell’effettiva entrata in funzione del Canale.
“Il progetto del Canale è il più importante nella storia dell’umanità – ha affermato Wang Jing – Invito i nicaraguensi a partecipare a questo processo storico che farà diventare realtà un vostro sogno centenario e porterà benefici economici, sociali ed ambientali per tutta la regione”.
Il riferimento è all’iniziale progettazione del Canale da parte di Napoleone III ben prima di quello di Panama, a cui peraltro avevano mostrato interesse gli Stati Uniti, salvo declinare l’intenzione nel momento in cui acquisirono i diritti francesi sul Canale di Panama i cui lavori vennero iniziati nel 1907 e si conclusero nel 1914, con tempi inferiori a quelli che sarebbero occorsi, allora, per quello nicaraguense.
L’altra cerimonia si è svolta nel pomeriggio a Managua, la capitale, con la presenza del Presidente Daniel Ortega e dello stesso Wang Jing.
“Lo sviluppo nell’area lungo il canale sarà migliore di quel che c’è adesso – ha affermato Ortega, riferendosi alle condizioni economiche del Nicaragua, uno dei paesi più poveri dell’America Latina – Come ben sanno i contadini e i produttori, che vengono a chiederci di cominciare a costruire le strade, e che tali progetti creeranno maggior benessere a loro e alle loro famiglie”.
I lavori di costruzione del canale e delle opere infrastrutturali previste (oltre alle strade, un aeroporto, un villaggio turistico e un complesso commerciale di libero scambio) impiegherebbero per 5 anni 250.000 tra addetti diretti ed indiretti (la popolazione del Paese centro-americano è di circa 6 milioni di abitanti, il 48% dei quali vive al di sotto della soglia di povertà e ben l’80% vive con meno di 2 dollari al giorno).
Sono i molti a ritenere che dietro HKND Group che nel frattempo avrebbe coinvolto nell’impresa investitori privati di tutto il mondo dei quali non si conoscono i nomi, ci sarebbe in realtà il coinvolgimento diretto del Governo cinese, stante il costo totale stimato in 50 miliardi di dollari, quattro volte il PIL del Nicaragua, e i tempi previsti per la realizzazione entro il 2019 e che il Gruppo non sarebbe in grado di rispettare se non tramite la collaborazione dei tecnici del Changjiang Institute e della China Railroad Construction Corp, colossi dell’engineering di proprietà statale che hanno lavorato per la costruzione della Diga delle 3 Gole sul fiume Yang-tze.
Si pensa che la Cina voglia rimanere defilata fino alla conclusione dell’opera, per non subire gli impatti mediatici negativi in caso di insuccesso, mentre ne deriverebbe influenza politica ed economica nella regione qualora l’operazione si concludesse positivamente.
Maersk, il maggiore operatore mondiale nel trasporto marittimo di container, ha dichiarato ufficialmente di supportare la costruzione del “Gran Canal Interoceánico” perché il Canale di Panama “anche con le modifiche che si stanno apportando, non riuscirà a supportare il passaggio delle nuove navi triple E”.
C’è da osservare che l’endorsement della Compagnia danese nei confronti del “Gran Canal Interoceánico” è dettato da motivi economici, dal momento che le tariffe di transito a Panama sono aumentate e aumenteranno ulteriormente per recuperare gli investimenti per i lavori di ampliamento, dalla scelta strategica di ridurre il numero delle navi, aumentandone la stazza e la riduzione del tragitto nord Atlantico – nord Pacifico e viceversa di circa 800 km.
Gli USA non hanno rilasciato commenti ufficiali al riguardo, ma non dovrebbero essere entusiasti del progetto, dal momento che la creazione di questa via alternativa su cui non sarebbero in grado di esercitare la loro influenza, come avviene ora con Panama, cambierebbe la situazione politico-economica della regione a favore di chi ne eserciterà il controllo.
Inoltre, nell’operazione si è pure inserita la Russia che nel settembre scorso avrebbe concluso con il Nicaragua un accordo di appoggio militare-politico per provvedere alla sicurezza della costruzione e alla sua protezione contro le possibili provocazioni.
Se gli aspetti politico-economici del progetto non sono chiari, altrettanto poco noti sono gli studi tecnici e ambientali.
Neppure il percorso del Canale è ancora ben definito, anche se di certo il porto di ingresso-sbocco sul Pacifico è, come detto Brito, mentre quello sull’Atlantico-Mar dei Carabi è Punta Gorda (tra le varie soluzioni sul tappeto, sarebbe quindi la Ruta 4 quella prevalente).
In tal caso, la lunghezza complessiva del canale sarebbe di 278 km, di cui una cospicua parte nel lago Cocibolca (109 km), la larghezza tra i 230 m e i 520 m, con una profondità tra i 28 m e i 30 m e per una durata media del percorso di 30 h circa.
Il Gruppo HKND ha dato incarico alla società di consulenza britannica Environmental Resources Management, leader a livello mondiale, per la valutazione dell’impatto ambientale e sociale del progetto che prevede di spostare circa 30.000 persone di 40 villaggi che saranno attraversati dal canale.
I contadini locali sono preoccupati che il progetto possa comportare l’esproprio dei terreni senza un equo compenso.
La Società, pur richiesta di dare indicazioni in merito, si è rifiutata di fornire indicazioni più dettagliate, limitandosi a dichiarare che nel processo di ESIA (Environmental and Social Impact Assessment) sono coinvolti esperti di scienze sociali, ecologica, economia e cambiamenti climatici, coinvolgendo le popolazioni indigene e le comunità locali, ma che “Come ogni ESIA indipendente predisposta, i risultati finali non includeranno le raccomandazioni in merito alla opportunità o meno che il progetto venga portato a termine”.
Gli ambientalisti locali riuniti nel Gruppo Cocibolca affermano che è irresponsabile avviare la costruzione prima che le valutazioni dell’ESIA si siano concluse.
In particolare, desta allarme la sorte del Lago Nicaragua che con i suoi 8.624 km² di superficie è per estensione il secondo lago dell’America latina, superato solo dal Titicaca, e che subirà inevitabilmente i rischi di inquinamento da traffico marittimo e di salinizzazione delle sue acque, con conseguente sconvolgimento dell’ecosistema che ospita, unico bacino lacustre al mondo, una specie di squalo (Carcharhinus leucas) e di pesce sega (Pristis perotteti) e la Riserva mondiale della Biosfera sull’isola vulcanica di Ometepe, per non parlare del potenziale rischio legato all’attività sismica dei vulcani attivi nelle vicinanze.
Le autorità governative rassicurano che gli agricoltori riceveranno un giusto indennizzo, che il progetto avrà un impatto minimo sull’ambiente e che i piani includono l’impegno non solo di riparare i danni ambientali, ma di recuperare le zone completamente danneggiate.
Nel frattempo, però, continuano per le strade le manifestazioni degli oppositori dell’opera, che si connotano anche di ragioni politiche.
In copertina: mappa dell’America centrale, in rosso i percorsi proposti per il canale (2013). In blu: il Canale di Panama