Circular economy

Imballaggi: dalla plastica al chitosano

I risultati del Progetto europeo PRIMA Fedkito, coordinato dall’Università di Pisa e conclusosi recentemente, mostrano che è possibile ridurre l’uso della plastica negli imballaggi per proteggere frutta, verdura, carne, formaggi e prosciutti in stagionatura, con vaschette, pellicole e spray a base di chitosano, il biopolimero più abbondante in natura estratto in questo caso dalle mute delle mosche soldato (Hermetia illucens) allevate su scarti alimentari.

Tra il 15 e il 50% del cibo fresco prodotto a livello globale viene perso dopo il raccolto e durante lo stoccaggio. La qualità e la durata di conservazione degli alimenti freschi sono principalmente influenzate da danni meccanici, deterioramento microbiologico e attacchi di insetti.  Frutta e verdura che non mostrano sintomi al momento del raccolto possono essere state attaccate da funghi e parassiti in campo e successivamente sviluppare infestazioni, se le condizioni di conservazione non sono adatte. Questo è anche il caso della carne e dei prodotti lattiero-caseari che vengono attaccati da insetti nocivi durante la macellazione o la maturazione dei prodotti e risultano quindi dipendenti dalle buone condizioni igieniche. Gli attacchi di parassiti e lo sviluppo di agenti patogeni fungini non solo riducono il valore di mercato del cibo, ma espongono anche i consumatori al rischio di ingestione di metaboliti tossici, comprese le micotossine.

Per risolvere questi problemi, FEDKITO (FrEsh FooD sustainable paKaging in the cIrcular ecOnomy), progetto conclusosi il mese scorso nell’ambito di PRIMA (Partnership for Research and Innovation in the Mediterranean Area), attualmente il più importante programma di ricerca dell’area euro-mediterranea, propone l’utilizzo del chitosano (CHT), uno dei conservanti testati nell’industria alimentare che, dopo la cellulosa, è il più abbondante biopolimero presente in natura, in forma liquida, spray o di innovativi imballaggi  aromatizzati con oli essenziali (EO) per ridurre l’uso della plastica nel packaging.

“Il chitosano è una sostanza del tutto naturale biodegradabile che ha molteplici usi in agricoltura biologica e nell’industria cosmetica, farmacologica, medica, veterinaria e tessile – ha spiegato Barbara Conti, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa e Coordinatrice del Progetto che ha visto anche il coinvolgimento dell’Università di Bologna, dell’Università Hassan II di Casablanca in Marocco, dell’Università della Tessaglia in Grecia, della Sorbona e del Centre Technique Industriel de la Plasturgie et des Composites di Francia, del Centro di Biotecnologia di Borj Cedria in Tunisia e come partner aziendali 2 italiane, Gusto Parmigiano e l’Azienda agricola Salvadori FurioGeneralmente si ricava dall’esoscheletro di crostacei o dalle pareti cellulari dei funghi, ma anche da insetti. Seguendo un criterio di economia circolare noi per produrlo abbiamo utilizzato le pupe di Hermetia illucens (Diptera Stratiomyidae), conosciuta anche come mosca soldato nera, allevata su scarti organici della filiera alimentare“.

Inoltre, le larve di Hermetia illucens sono una fonte alternativa di proteine e grassi per l’alimentazione di animali domestici e d’allevamento; il materiale organico usato come substrato di crescita delle larve può essere impiegato come fertilizzante o trattato per la produzione di biogas; il frass (gli escrementi) può essere venduto come ammendante.

Due vaschette prodotte con chitosano, a destra con l’aggiunta oli essenziali (Fonte: Università di Pisa)

Per potenziare gli effetti protettivi del chitosano, i ricercatori hanno inoltre sperimentato l’aggiunta di oli essenziali che già da soli hanno proprietà insetticide e fungicide. Il risultato sono stati imballaggi aromatizzati in modo diverso, con un valore aggiunto dal punto di vista sensoriale, come ad esempio uno spray al chitosano e pepe nero per esaltare le caratteristiche organolettiche e l’aspetto brillante e fresco di piccoli hamburger.

Un ulteriore passo avanti della sperimentazione è stata la produzione di imballaggi non solo sostenibili ma intelligenti. L’unità di ricerca dell’Università di Bologna diretta dalla Professoressa Elisa Michelini ha infatti messo a punto dei biosensori di nuova generazione, economici e molto semplici da usare, da applicare sulle confezioni in chitosano per monitorare la presenza e la quantità di contaminanti, batteri, micotossine, ma anche la qualità del cibo confezionato.

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