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Gli idrocarburi policiclici aromatici danneggiano il cuore dei pesci

idrocarburi policiclici aromatici danneggiano cuore pesci

Pubblicato online il 31 gennaio 2017 su Nature lo Studio “A Novel Cardiotoxic Mechanism for a Pervasive Global Pollutant“, coordinato dall’Università di Stanford – Hopkins Marine Station, ha rilevato che l’esposizione ad un tipo di idrocarburo policiclico aromatico (IPA) presente nel petrolio può determinare gravi effetti cardiovascolari nei pesci e che sarebbero necessari approfondimenti per verificarne gli impatti su quelli umani.

Già nel 2014, lo stesso gruppo di ricercatori aveva pubblicato su Science un precedente studio correlato agli effetti sulla vita marina del disastro della piattaforma della Deepwater nel Golfo del Messico, conseguente lo scoppio del pozzo Macondo nel 2010, e che aveva provocato lo sversamento in mare di 4 milioni di barili di greggio.
Nell’occasione, gli scienziati avevano studiato le reazioni all’inquinamento da IPA del tonno rosso dell’Atlantico (Thunnus thynnus), uno scombride che compie grandi viaggi transoceanici e che può superare i 3m di lunghezza e un peso di 600-700kg, scoprendo che tali idrocarburi bloccano alcuni meccanismi regolatori che controllano il passaggio degli ioni di calcio e potassio nelle cellule cardiache, con conseguenti alterazioni dei battiti e rallentamento delle capacità riproduttive.

Che gli IPA fossero cancerogeni era risaputo, ma lo studio aveva per la prima volta indicato la capacità di avere effetti anche cardiotossici.

Ora, utilizzando tre distinti approcci di elettrofisiologia cardiaca su diverse specie di pesci strettamente affini per cellule atriali e ventricolari, quali il maccarello del Pacifico (Scomber japonicas), il tonno pianna gialla (Thunnus albacares) e il tonno pinna blu del Pacifico (Thunnis orientalis) che i ricercatori di Stanford studiano da oltre un ventennio presso il Centro di Ricerca e Conservazione del Tonno presso l’Acquario di Monterrey Bay (California), si è fornita la prova diretta che il fenantrene è in grado di determinare le aritmie cardiache e indurre a contrazioni le cellule isolate del cuore.
Nel breve termine, la disfunzione cardiaca in questi pesci può incidere realmente sulle attività metabolicamente impegnative come nuotare, riprodursi, alimentarsi – ha affermato uno dei co-autori dello Studio, Holly Shiels Professoressa associata del Dipartimento di Scienze della Vita all’Università di Manchester – A lungo termine, con una funzionalità cardiaca compromessa l’esito potrebbe risultare fatale“.

A livello cellulare, questi pesci di notevoli dimensioni con grande equilibrio aerobico sono simili ai vertebrati superiori, tra cui i mammiferi e gli uccelli, per cui gli effetti cardiotossici del fenantrene potrebbero incidere anche su di loro, nonché sugli uomini, dal momento che tutti questi hanno metodi simili di regolare l’attivazione delle cellule del cuore.
Il meccanismo che altera la funzione cardiaca nei pesci e la proteina che il fenantrene blocca, sono presenti anche negli esseri umani – ha sottolineato Fabien Brette, principale autore dello studio – Quello che abbiamo constato sulle cellule cardiache dei pesci può verificarsi anche su cellule cardiache umane, con rischi di effetti collaterali letali“.

Il fenantrene, infatti, è un contaminante ubiquitario che per effetto del largo consumo di petrolio è presente sui suoli di siti industriali, nelle acque di deflusso e nell’aria e come inquinante atmosferico potrebbe entrare nel flusso sanguigno attraverso le vie respiratorie.

Una migliore comprensione del collegamento tra il fenantrene e la salute umana, affermano i ricercatori, potrebbe portare ad approfondimenti sugli aspetti dannosi di bruciare i combustibili fossili e di individuare, quindi, le opzioni per ridurre tale rischio, come selezionare quei petroli che rilasciano meno fenantrene.

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